571_LA TIGRE E' ANCORA VIVA - SANDOKAN ALLA RISCOSSA ; Italia, 1978. Regia di Sergio Sollima.
A poco più di un anno di distanza dalla trasmissione
televisiva della sceneggiato Sandokan,
il regista Sergio Sollima certa di riproporre, stavolta direttamente per il grande schermo, la ricetta che ha avuto un così
grande successo popolare. Diciamo subito che se si
vede questo La tigre è ancora viva:
Sandokan alla riscossa! avendo ancora negli occhi l’originale, non si può
non rimanere delusi. Ed è un peccato perché, tutto sommato, questo secondo
episodio dell’eroe di Emilio Salgari nell’interpretazione di Kabir Bedi è un
film piacevole. Fatica un po’ a carburare ma poi, quando arrivano le scene di
battaglia (in questo caso spesso un po’ troppo debitrici agli
spaghetti-western), e si rivedono in azione, insieme alla Tigre della Malesia,
Yanez de Gomera (Philippe Leroy), Tremal Naik (Kumar Ganesh) e tutti gli altri,
forse complice la nostalgia, ci si appassiona anche a questa nuova avventura
dei Tigrotti di Mompracem. Operazione nostalgia a parte (carta per altro
giocata in modo spudorato e consapevole da Sollima), il regista è nel complesso
bravo e riesce a mettere a segno almeno una scena di grande efficacia emotiva:
la morte della giovane Mita, uccisa per mano dei Rangers di James Brooks
(Adolfo Celi). In ogni caso tutto il finale del film è un crescendo avvincente al quale però manca la stoccata finale: Brooks che se ne va su una barca
ammettendo la momentanea sconfitta non ha certo una resa adeguata e nemmeno ce l’ha
può avere l’ipotetica storia d’amore tra Sandokan e Jamilah (una Teresa Ann
Savoy che non regge nemmeno lontanamente il ricordo della perla di Labuan).
Così questo La tigre è ancora viva: Sandokan alla riscossa! deve andare in archivio con un più di un rammarico, il minore dei quali è la delusione dello spettatore. Perché la tiepida accoglienza nelle sale del film, che fa seguito a quel Corsaro Nero che è un altro mezzo fiasco
di Sollima girato nella speranza di sfruttare la scia del successo televisivo
di Sandokan, ci dà un po’ la cifra
della qualità dei produttori nostrani. Se lo sceneggiato televisivo Sandokan è stato un successo senza
precedenti, lo si deve non certo al caso o alla fortuna; e nemmeno al soggetto
di base, perché il testo salgariano ha subito un trattamento adeguato, che pur
senza stravolgerne i temi, li ha resi congeniali al media televisivo. Insomma
il risultato è merito proprio della realizzazione tecnica dell’opera: ben
quattro anni, con la troupe stanziata per otto mesi nell’estremo oriente, le
scenografie, la scelta del cast, la musica, tutto fu studiato e sviluppato alla
stregua di un vero e proprio kolossal.
Questo è il motivo del successo di Sandokan, un’opera dove l’impegno
profuso dalla produzione esaltò il talento del regista e degli attori. Ottenuto
il meritato riconoscimento, ci si aspetterebbe che si pensi a ripetere la
formula, al massimo migliorandola laddove fossero emersi dei limiti. Ma no,
perché darsi tanta pena? Il produttore italiano pensa subito a sfruttare quel
lavoro il più velocemente possibile, tanto che nell’arco di un anno, escono non
uno ma ben due (il secondo Sandokan e Il
Corsaro Nero, che vede impegnati Kabir Bedi e Carole André) tentativi di
ripetere il successo dello sceneggiato. Ma è possibile in così pochi mesi
ripetere un exploit che al contrario aveva richiesto anni? No; e il dramma è
che facilmente gli stessi produttori che hanno organizzato tutto ciò,
metteranno poi una pietra sopra al genere piratesco
con la presunta motivazione che non piace al pubblico.
Teresa Ann Savoy
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