560_SUA ECCELLENZA DI FERMO' A MANGIARE ; Italia 1961. Regia di Mario Mattoli.
Commedia farsesca che ha momenti assolutamente
irresistibili, Sua Eccellenza di fermò a
mangiare di Mario Mattoli è un film a cui manca forse un minimo di
struttura morale, necessaria in ogni storia, anche nella più leggera, per poter
dirsi davvero compiuta. Ed è un vero peccato, perché il pretesto narrativo con
cui la vicenda si innesca è sorprendente e spassoso e il nostro stupore nel
sentire annunciare l’arrivo del dottor Tanzarella (Totò) è quantomeno pari a
quella di Ernesto (Ugo Tognazzi). In realtà Totò è un elegante truffatore che
coglie al volo l’occasione per ricattare Ernesto, reo di tradire la moglie,
salvo poi insistere nella parte del medico del Duce per sfruttare ulteriormente
la situazione. C’è la scena del trapano, all’osteria, che è un altro esempio
mirabile di costruzione dei meccanismi basati sugli equivoci, arte che la
commedia italiana non sempre sviluppava come sapeva fare, preferendogli
scorciatoie di grana più grossa. Che, alla lunga, emergono anche qui,
soprattutto quando entra in gioco l’Eccellenza del titolo, ovvero un ministro
del governo del Ventennio,
interpretato da Raimondo Vianello. Qui il soggetto insiste gratuitamente sulla
scarsa virilità mostrata dall’uomo nell’attività maschile per antonomasia, in
una forma un po’ leziosa, (anche considerato il periodo d’uscita del film, che
è del 1961) pur di prendere in giro alcuni argomenti cari a Mussolini e al suo
regime. Il che sembra, più che altro, una ruffianata alla classe governativa
del tempo: la satira politica ha un senso quando il regime è in carica, assai
meno decenni dopo. Nonostante dai titoli di testa la sua sia presentata come
semplice partecipazione, Totò è
l’indiscusso mattatore; la coppia Tognazzi e Vianello, già collaudata
dall’esperienza televisiva, cede infatti il passo al principe della risata a cui si ascrivono i momenti migliori del
lungometraggio.
Debole, ed è
clamoroso visto il tema e le possibilità del testo, l’apporto femminile alla
riuscita del film: Virna Lisi (Silvia), la splendida moglie di Ernesto, esce
davvero con le ossa rotte dalla storia o, per usare una definizione cara agli
italiani, cornuta e mazziata. Tre
mesi di reiterati tradimenti di Ernesto sono cancellati e perdonati per il
semplice fatto che la ragazza non è abbastanza focosa. Certo, c’è la critica ad
un certo perbenismo incarnato dalla donna ma che suona come mera
giustificazione al confronto di un atto come procurarsi un’amante e poi dedicarcisi
per un trimestre intero. Ma anche l’amante in questione, Lauretta (Lauretta
Masiero), non è che ci faccia una gran figura: compartecipe della figuraccia
sessuale del ministro, quando Silvia decide di sciogliersi un po’ viene messa
prontamente da parte. La contessa (Lia Zoppelli) madre di Silvia, preoccupata
solo degli aspetti sociali e dalle eventuali opportunità di trarre qualche
vantaggio, sembra quella che conosce come stare al mondo: è infatti lei che
consiglia la figlia di farsi istruire dall’amante del marito su come
comportarsi. E l’iniziale indignazione di Silvia è uno dei pochi moti
condivisibili del passaggio. Che in una farsa sono peraltro leciti, sia chiaro,
ma, curiosamente, il film di Mattoli ironizza su certi aspetti (la donna che
viene cornificata, il ventennio fascista) mentre su altri atteggiamenti sembra
approvare compiaciuto (la sanatoria
ottenuta dal marito senza pagare alcun pegno, la truffa perpetrata da Totò con
il ricamo finale del furto delle posate d’oro). E’ il solito vizio italiano e
della commedia italica: si può prendere in gioco chi è inoffensivo (gli onesti,
gli ingenui, i regimi ormai passati) ma chi fa il furbo e la sfanga non può che avere la generale
approvazione.
Lauretta Masiero
Virna Lisi
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