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sabato 4 aprile 2020

GLI EROI DEL PACIFICO

546_GLI EROI DEL PACIFICO (Back to Bataan); Stati Uniti 1945. Regia di Edward Dmytryk.

La Seconda Guerra Mondiale finì nel settembre del 1945; Gli eroi del Pacifico uscì nelle sale americane nel maggio dello stesso anno. E’ chiaro che in questo caso si potrebbe pienamente parlare di film di propaganda più che di guerra, nel senso che una cera faziosità nell’approccio è naturale e in fondo anche logica. Ma il regista, Edward Dmytryk, è comunque molto bravo perché, pur in un simile contesto, riesce a dare il giusto spazio alla popolazione filippina, issandola a vera protagonista della storia raccontata. Storia che un narratore esterno, ad inizio film, si premura di rassicurarci essere vera e per nulla inventata. Ma non serve sincerarsi di ciò in un Manuale di Storia; d’accordo, nel caso farlo non fa mai male, ma per comprendere un film in genere dovrebbe bastare quello che vediamo sullo schermo, anche se qualche generica nozione può tornare utile. Ad esempio che durante il conflitto e nel periodo immediatamente successivo, in America era diffuso un odio estremo nei confronti dei giapponesi, ben sintetizzato dalle parole dell’Ammiraglio William Bull Hasley: “l’unico giap buono è un giap che sia morto da sei mesi”. E’ evidente il richiamo ad altre parole, quelle attribuite al generale Sheridan “il solo indiano buono è l’indiano morto”, ma il cinema bellico hollywoodiano del tempo destinò un trattamento assai peggiore ai giapponesi di quanto non fece mai col western nei confronti dei pellerossa. E si può notare anche una più interessante differenza di trattamento per i nemici operata dal cinema americano all’interno della stessa Seconda Guerra Mondiale: nei confronti di tedeschi e italiani, infatti, l’odio non raggiungerà mai le vette riservate ai nipponici. 



La cosa fu notata anche a Washington, tanto che venne istituito un ufficio (il BMP, Bureau of Motion Pictures)  per cercare di smorzare gli eccessi di razzismo che dilagavano nei film bellici: in fondo l’America si professava antirazzista, contava su una popolazione multietnica e necessitava dell’appoggio di alleati nell’area del Pacifico dove divampava il conflitto. Anche Gli eroi del Pacifico ricalca grosso modo la risposta che Hollywood diede a questo lavoro di mediazione del BMP: i soldati giapponesi sono comunque mostrati crudeli e spietati (come del resto furono storicamente), ma senza indugiare e infierire eccessivamente sulle loro caratteristiche fisiche e morali. 

Evidentemente più di questo, ovvero una maggiore considerazione dell’altro, del nemico inteso come uomo esattamente come noi soltanto schierato dalla parte avversa, agli americani proprio non riusciva, soprattutto dopo Pearl Harbor e anche alla luce dell’estrema crudeltà che distinse i militari giapponesi impegnati nel conflitto. In fondo la guerra non era ancora finita, e questo va ricordato se quello di Dmytryk, come del resto anche altri film del tempo, può sembrare un tantino fazioso. Come si diceva, piuttosto, Gli eroi del Pacifico è da lodare per il ruolo riservato ai filippini, che possono ritenersi di diritto gli eroi del titolo italiano. Anche se, come da copione, il protagonista eroico è un attore yankee, nientemeno che John Wayne, nel ruolo del colonnello Madden. A contendergli la scena, se non a rubargliela almeno in parte, è però Anthony Quinn, che interpreta il capitano Bonifacio, illustre comandante della resistenza filippina. 

Quinn era di origine è messicana, e quindi appartenente ad una minoranza etnica negli Stati Uniti e, fino ad allora, non aveva ancora avuto grandissimo rilievo ad Hollywood. In Gli eroi del Pacifico gli spetta un ruolo importante, certamente più di spessore rispetto a quello del Duca, che invece interpreta il suo solito eroico yankee tutto d’un pezzo. A Bonifacio, Quinn conferisce i dubbi, i tormenti, che l’attore riusciva sempre ad esprimere in modo mirabile, in questo caso legati alla condizione disperata della popolazione filippina, ma anche alla storia privata del personaggio interpretato. La sua fidanzata, la bella Delisay (Fely Franquelli) era infatti divenuta attivista della propaganda antiamericana, addirittura la speaker di Radio Manila che incitava i filippini ad arrendersi ai giapponesi. Abbandonati dagli americani, (John Wayne a parte, naturalmente), decimati dalla crudeltà dei giapponesi, traditi da alcuni compatrioti, per Bonifacio e i suoi le cose erano davvero messe male. Ma Delisay faceva solo il doppio gioco e, se avessimo visto il film in lingua originale, avremmo potuto capire già dal titolo Back to Bataan (Ritorno a Bataan) che gli americani sarebbero prima o poi tornati (per la precisione con venti minuti in ritardo, fa notare il colonnello Madden) a liberare le Filippine. Non quindi arrivano i nostri, ma piuttosto ritornano i nostri, con gli americani nel ruolo dei buoni che per qualche decennio interpreteranno ancora convintamente e convincentemente. 






Fely Franquelli




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