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domenica 26 aprile 2020

SILENCE

559_SILENCE ; Stati Uniti, Taiwan, Messico 2016. Regia di Martin Scorsese.

Se l’oggetto del film Silence di Martin Scorsese fosse da ricercare in qualche ambito religioso o comunque legato al concetto di Dio, saremmo di fronte, come semplici spettatori in un cinematografo, ad una difficoltà non indifferente. Se tace il diretto interessato, al cui silenzio fa più che altro riferimento il titolo del film, che mai potremmo avere noi da dire? Forse, il tema religioso è ovviamente importante per Scorsese ma, in questo caso, è più che altro da interpretare in senso metaforico. Come del resto la questione storica,  certamente fondamentale in un’opera che ha una spiccata connotazione in questo senso; perché un’ambientazione in un determinato luogo e in un preciso tempo, comporta una serie di considerazioni polito sociali che ne derivano in modo quasi naturale. Ma anche li, forse non sono questi aspetti ad essere il centro del discorso di Scorsese, forse il Giappone dell’epoca Tokugawa è da intendersi come esempio di società chiusa a difesa di sé stessa, delle sue regole, delle sue leggi, dei suoi usi e costumi, della sua cultura e della sua religione ma, più di ogni altra cosa, dei privilegi ivi connessi. Nel film i gesuiti padre Rodrigues (Andrew Garfield) e padre Garupe (Adam Driver) portano avanti le ragioni del cristianesimo, mentre l’inquisitore giapponese Inoue (Issei Ogata) e i suoi sottoposti, fanno notare come il paese del sol levante avesse già una sua religione. 

Anche al messaggio cristiano, certamente valido perché predica la fratellanza tra gli uomini, i funzionari della autorità giapponese contrappongono i valori della dottrina buddista. Sono discussioni interessanti, con spunti degni di riflessione, ma che nel film non vengono, in fondo, approfonditi più di tanto; ne mancherebbe comunque il tempo ma, soprattutto, forse non sono il cuore del problema. Perché si potrebbe facilmente far notare, ai pur lodevoli gesuiti che, se è vero che la religione cristiana predica l’amore e la fratellanza, in quegli stessi tempi, in Europa la Chiesa appoggiava molte teste coronate di monarchie che si fondavano ancora su uno spiccato assolutismo. Per cui il discorso di Scorsese sembra essere più interessante se viene inteso in modo più generico e meno inerente allo specifico mostrato: il Giappone del XVII secolo è semplicemente una società che si fonda sul privilegio, e quella cristiana è una dottrina che smuove le coscienze degli umili perché offre loro un’opportunità di riscatto sociale, diversamente proibitivo. Lettura un po’ troppo semplicistica? Forse, perché non tiene conto, per fare un esempio tra i tanti possibili guardando il racconto del film, della differente concezione tra occidentali e nipponici dell’importanza dell’immagine. 


E’ difficile, per noi europei, comprendere la portata del fenomeno dello Yefumi, ovvero il calpestare un’immagine cristiana sacra come modo per simboleggiare l’abiura; anche gli stessi gesuiti, gente pratica, non ci avrebbero certo fatto cambio della vita dei propri fedeli, mentre per i locali era un atto molto più grave. Questi aspetti sono appunto esplorati dal film di Scorsese, forse a mostrare le grandi differenze culturali tra i due popoli, ma manca il tempo per approfondire bene tutta quanta la questione. Anche se viene un po’ il sospetto che, queste presunte differenze tra i popoli e le rispettive culture, non alimentano più di tanto una  distinzione, ma piuttosto indichino quanto la società umana sia simile, nei suoi cardini principali, ad ogni latitudine. 

Il Giappone (del 1600), ripete Inoue quasi fosse un mantra, è una palude, e il seme del cristianesimo non può (e non deve) germogliare, soprattutto perché è un seme pericoloso, perché porta una concezione diversa, e questo destabilizza l’ambiente. Ecco quindi una valenza politica del messaggio cristiano nel film, (e volendo ben vedere, in ogni contesto): ciò che scombina lo status quo è sempre mal visto da chi è al potere. Al di là dei contesti storici o geografici, il privilegio è sempre in agguato, sempre lesto nel insediarsi e mal disposto a sloggiare. E’ quindi un film politico Silence, o la traccia religiosa, pur se approfondita unicamente nelle possibilità che offre il cinema, è comunque più interessante? Certamente una cosa non esclude l’altra. E allora stia alla sensibilità dello spettatore portare nel cuore il segno religioso, intimo e personale o, in caso di mancanza di sintonia in questo senso, non sottovalutare il significato rivoluzionario della dottrina cristiana. 


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