559_SILENCE ; Stati Uniti, Taiwan, Messico 2016. Regia di Martin Scorsese.
Se l’oggetto del film Silence
di Martin Scorsese fosse da ricercare in qualche ambito religioso o comunque
legato al concetto di Dio, saremmo di fronte, come semplici spettatori in un
cinematografo, ad una difficoltà non indifferente. Se tace il diretto
interessato, al cui silenzio fa più che altro riferimento il titolo del film,
che mai potremmo avere noi da dire? Forse, il tema religioso è ovviamente importante
per Scorsese ma, in questo caso, è più che altro da interpretare in senso
metaforico. Come del resto la questione storica, certamente fondamentale in un’opera che ha una
spiccata connotazione in questo senso; perché un’ambientazione in un
determinato luogo e in un preciso tempo, comporta una serie di considerazioni polito
sociali che ne derivano in modo quasi naturale. Ma anche li, forse non sono
questi aspetti ad essere il centro del discorso di Scorsese, forse il Giappone
dell’epoca Tokugawa è da intendersi come esempio di società chiusa a difesa di
sé stessa, delle sue regole, delle sue leggi, dei suoi usi e costumi, della sua
cultura e della sua religione ma, più di ogni altra cosa, dei privilegi ivi
connessi. Nel film i gesuiti padre Rodrigues (Andrew Garfield) e padre Garupe
(Adam Driver) portano avanti le ragioni del cristianesimo, mentre l’inquisitore
giapponese Inoue (Issei Ogata) e i suoi sottoposti, fanno notare come il paese
del sol levante avesse già una sua religione.
Anche al messaggio cristiano,
certamente valido perché predica la fratellanza tra gli uomini, i funzionari
della autorità giapponese contrappongono i valori della dottrina buddista. Sono
discussioni interessanti, con spunti degni di riflessione, ma che nel film non
vengono, in fondo, approfonditi più di tanto; ne mancherebbe comunque il tempo ma,
soprattutto, forse non sono il cuore del problema. Perché si potrebbe
facilmente far notare, ai pur lodevoli gesuiti che, se è vero che la religione
cristiana predica l’amore e la fratellanza, in quegli stessi tempi, in Europa la Chiesa appoggiava molte
teste coronate di monarchie che si fondavano ancora su uno spiccato
assolutismo. Per cui il discorso di Scorsese sembra essere più interessante se viene
inteso in modo più generico e meno inerente allo specifico mostrato: il
Giappone del XVII secolo è semplicemente una società che si fonda sul
privilegio, e quella cristiana è una dottrina che smuove le coscienze degli
umili perché offre loro un’opportunità di riscatto sociale, diversamente
proibitivo. Lettura un po’ troppo semplicistica? Forse, perché non tiene conto,
per fare un esempio tra i tanti possibili guardando il racconto del film, della
differente concezione tra occidentali e nipponici dell’importanza
dell’immagine.
E’ difficile, per noi europei, comprendere la portata del
fenomeno dello Yefumi, ovvero il
calpestare un’immagine cristiana sacra come modo per simboleggiare l’abiura;
anche gli stessi gesuiti, gente pratica, non ci avrebbero certo fatto cambio
della vita dei propri fedeli, mentre per i locali era un atto molto più grave. Questi
aspetti sono appunto esplorati dal film di Scorsese, forse a mostrare le grandi
differenze culturali tra i due popoli, ma manca il tempo per approfondire bene
tutta quanta la questione. Anche se viene un po’ il sospetto che, queste
presunte differenze tra i popoli e le rispettive culture, non alimentano più di
tanto una distinzione, ma piuttosto
indichino quanto la società umana sia simile, nei suoi cardini principali, ad
ogni latitudine.
Il Giappone (del 1600), ripete Inoue quasi fosse un mantra, è
una palude, e il seme del cristianesimo non può (e non deve) germogliare,
soprattutto perché è un seme pericoloso, perché porta una concezione diversa, e
questo destabilizza l’ambiente. Ecco quindi una valenza politica del messaggio
cristiano nel film, (e volendo ben vedere, in ogni contesto): ciò che
scombina lo status quo è sempre mal
visto da chi è al potere. Al di là dei contesti storici o geografici, il privilegio
è sempre in agguato, sempre lesto nel insediarsi e mal disposto a sloggiare. E’
quindi un film politico Silence, o la
traccia religiosa, pur se approfondita unicamente nelle possibilità che offre
il cinema, è comunque più interessante? Certamente una cosa non esclude
l’altra. E allora stia alla sensibilità dello spettatore portare nel cuore il
segno religioso, intimo e personale o, in caso di mancanza di sintonia in
questo senso, non sottovalutare il significato rivoluzionario della dottrina
cristiana.
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