551_RIFLESSI SULLA PELLE (The Reflecting Skin); Regno Unito 1990. Regia di Philip Ripley.
Spiazzante opera prima del polivalente artista inglese
Philip Ridley, Riflessi sulla pelle è
un dramma che ha la potenza visiva e, soprattutto, la penetrante angoscia di un
sontuoso horror. Ridley è un autore
che, nella sua variegata produzione artistica, spesso si rivolge ai ragazzi e
anche Riflessi sulla pelle è in
genere inteso come una sorta di percorso di iniziazione per il giovanissimo
protagonista, Seth Dove (Jeremy Cooper). In effetti il film è impostato sul
punto di vista del ragazzino di nove anni e, in un certo senso, asseconda anche
le aberrazioni della realtà che il piccolo percepisce, dalle quali Ridley
attinge per caricare di tensione le sue immagini. Sarebbe però riduttivo
pensare che Riflessi sulla pelle
racconti di come il suo giovane protagonista impari a distinguere il bene dal
male e si renda conto solo nel finale, splendido e terribile, dei suoi errori.
Quello della difficoltà di lasciare l’infanzia ed entrare nel mondo degli
adulti, con le sue sfumature e complessità, è certamente un tema ma Ridley lo
affianca ad uno più complessivo in un parallelo che offre molte sponde.
Innanzitutto quella legata al titolo dell’opera: i Riflessi sulla pelle sono, infatti, quelli della rana gigante che
viene fatta scoppiare nel traumatizzante incipit ma anche quelli della foto del
bambino giapponese esposto alle radiazioni che Cameron (Viggo Mortesen) mostra
al fratellino. La crudeltà dei tre bambini che aprono il racconto, l’estrema
crudeltà si potrebbe dire, si trova quindi aumentata esponenzialmente nel
comportamento degli adulti durante la guerra. L’idea che l’infanzia possa essere
in qualche modo definita come età
dell’innocenza è abbastanza remota da considerare, vedendo le gesta di Seth
e dei suoi due amici, eppure il tema del paradiso
perduto è proposto nel racconto in modo anche esplicito.
La madre di Seth,
Ruth (Sheila Moore) è solita chiamare ‘Isole
del paradiso’ quell’arcipelago dove il figlio maggiore Cameron è di stanza
sotto le armi. Quelle isole che l’uomo confesserà, una volta tornato a casa,
che i test nucleari stanno distruggendo. E la stessa ambientazione del film, le
immense distese di grano, che Ridley utilizza in modo molto evocativo insieme
allo sconfinato cielo, pullulano di rottami arrugginiti: anche quello è un
paradiso terrestre distrutto nel suo essere trasformato in discarica. Del resto
molti dei personaggi della storia hanno nomi biblici e Joshua (David Longworth)
si comporta come un dissennato profeta.
Ci sono quindi le difficoltà a comprendere
la complessità della vita e del mondo degli adulti, che sono alla base di ogni
racconto di formazione, ma quello che si presenta a Seth è un luogo ostile e
infido che ha volutamente rovesciato i cardini della morale. Salta agli occhi
come i quattro giovanotti viaggino
indisturbati sull’elegante Cadillac
Fleetwood 60 Special seminando morte mentre lo sceriffo e i suoi aiutanti
si accaniscano contro il povero Luke (Duncan Fraser), padre di Seth, unicamente
reo di aver avuto qualche scappatella omosessuale e di una certa debolezza
d’animo. E questo è l’elemento realistico legato alla vicenda gialla della storia, che parla di tre
delitti, due ragazzini e una donna, ma il film è costellato da riferimenti
simbolici.
Fuoco e acqua sono elementi contrapposti e lo si evidenzia anche
nella scena in cui la madre ordina a Seth di spegnere la lampada ad olio perché
è già tardi e, per punizione, lo costringe a bersi un’intera caraffa piena
d’acqua. L’acqua, simbolo di vita, diviene così, nel distorto mondo orchestrato
da Ridley, strumento di punizione; e sarà nell’acqua del serbatoio della casa
di Seth il luogo in cui verrà trovato il corpo del piccolo Eben, il primo degli
assassinati della storia. Non è quindi soltanto il piccolo protagonista a
faticare nel comprendere il mondo dei grandi quanto questo a confondere il
significato delle cose: qui l’acqua è diventata veicolo di morte.
E’ forse il
solo Luke, l’uomo gentile che legge storie di vampiri, a cercare nell’acqua il
valore salvifico, forse per purificarsi l’organismo dalla benzina che ormai lo
permea tanto da farlo persino puzzare. Il tema dell’odore ritorna in più di
un’occasione nel racconto (almeno tre,
numero di volte forse non casuale), un aspetto inconsueto in un film, in quanto
l’olfatto è un senso che il cinema non può stimolare. Eppure Ridley insiste su
questo tasto: c’è l’odore di benzina (una moderna versione dello zolfo?), il
profumo dell’acqua di colonia del marito defunto di Dolphin (l’odore della
morte?) e la puzza più misteriosa, quella che permette di localizzare l’angelo,
definita da Seth di pesce (che ci sia
di mezzo anche il mare, simbolo di vita, anch’esso deteriorato?) Tornando a
Luke, è certamente un personaggio ritratto con una certa benevolenza, eppure
anche il suo comportamento, nel momento cruciale, può essere fonte di equivoci:
si dà alle fiamme finendo arso vivo, confermando così temporaneamente gli
infondati sospetti circa la sua colpevolezza, nel momento in cui il fuoco è
erroneamente inteso come elemento purificatore. Ma, evidentemente, così come
l’acqua, anche il fuoco ha perso ogni sua valenza positiva; e infatti Luke non
è un colpevole in cerca di espiazione.
In ogni caso, sono quindi gli adulti,
con le loro scelte, a contribuire fortemente agli errori di valutazione che
portano Seth così lontano dalla via maestra: il padre che non lo assiste nella
lettura del racconto dei vampiri consente una serie di fraintendimenti che
trovano però conferme di natura assai più grave. Seth si è infatti convinto che
Dolphin (Lindsay Duncan) sia una vampira, sulla base di alcune coincidenze, ma
a confermare questa sua assurda e sbagliata idea occorrono elementi la cui
natura è grave e concreta. Preoccupato che il fratello si sia invaghito della
donna, trova nel dimagrimento di Cameron, nei suoi capelli trovati nel pettine
o nel sanguinamento delle gengive, le prove che la vampira ne stia prosciugando
l’essenza vitale.
Nel frattempo, tra l’altro, la donna, prima vedova
inconsolabile, ora ha trovato una nuova ragione di vita nel rapporto con Cameron
e questo si riflette naturalmente nel suo aspetto che sembra rifiorire. Se per
il rinvigorimento di Dolphin la ragione è ovvia, per il simultaneo deperimento
di Cameron giova ricordare gli esperimenti atomici a cui l’uomo ha assistito,
spesso toccando con mano le polveri che cadevano dopo le esplosioni. A
complicare, quindi, la possibilità di cogliere gli aspetti della vita adulta,
per un bambino già particolarmente difficili (si pensi alla scena in cui
Dolphin è seduta in preda a ricordi assai
vividi per il marito morto), ci si mettono anche le scelte scellerate
dell’umanità, come appunto l’incosciente utilizzo dell’energia atomica. Simbolicamente
gli elementi in gioco, o parte di essi, Ridley ce li fornisce nella scena delle
tre fotografie che Cameron tiene nel portafoglio e che mostra a Seth. In una
c’è il bambino giapponese con la pelle resa argentea dalle radiazioni, in
un'altra c’è una pin-up bionda e nella terza ci sono i due fratelli in
questione. Il pericolo, per i fratelli Dove, sono le radiazioni; Cameron sta
probabilmente morendo, ma Seth è distratto dalla donna bionda e, non
comprendendo ancora la natura dell’attrazione sessuale (che è il principale
scoglio verso la via adulta), finisce per vedere proprio in lei il pericolo. Il
numero tre, quello delle foto, tra l’altro, è una costante che accompagna tutta
la narrazione: tre sono i ragazzini e tre gli atti di crudeltà che commettono
nella prima scena, l’uccisione della rana, il crudele scherzo ai danni di
Dalphin e il bullismo nei confronti del più debole tra loro, Eben.
E di tre
persone è composto il nucleo famigliare principale che vediamo sullo schermo,
Seth e i due genitori; un numero che rimane inalterato pur nelle vicissitudini
della trama. Alla morte del padre torna il fratello e quando acquista
importanza la figura di Dolphin, che va a comporre il triangolo con Cameron e
Seth, la madre si defila divenendo sempre più taciturna. Tre sono gli scoppi
(la rana, il passerotto del racconto di Dalphin e il padre di Seth) e tre sono
naturalmente anche gli omicidi, in un costante e ripetuto gioco delle tre carte
dove, anche spostando e rispostando gli elementi, non si riesce mai a venire a
capo della soluzione. E certo non ci riesce Seth che, deliberatamente, decide
prima di tacere e poi, in un certo senso, quasi agevola il tragico scorrere
degli avvenimenti con una perfidia che appare davvero demoniaca. Del resto è
lui il custode dell’angelo caduto e la disperata madre del secondo bambino
trovato morto lo accusa apertamente. E, ad un certo punto, nello sguardo
inquietante del ragazzino può persino venire anche a noi il dubbio di vederci quello
di Satana; in fondo, il suo nome ne sembra anche il diminutivo. E non sarebbe
nemmeno strano, visto il realistico inferno in cui è capitato. Il mondo del
dopoguerra. Il nostro.
Lindsay Duncan
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