550_LA RIVOLTA DEI BARBARI ; Italia, 1964. Regia di Guido Malatesta.
Quando, nel dicembre del 1964, La rivolta dei barbari di Guido Malatesta esce nelle sale, Per un pugno di dollari di Sergio Leone,
non solo è uscito da un pezzo, ma continua a riempire i cinema italiani. Qual è
l’attinenza tra il mediocre film di Malatesta e il capolavoro di Leone? Che il
primo è datato praticamente fuori tempo massimo, oltre a quel limite che si può
proprio identificare con l'uscita del capostipite degli spaghetti western. Il peplum,
genere a cui si ascrive diligentemente il film del regista nato a Gallarate,
non gode abitualmente di grande considerazione ma, di fatto, nell’Italia del
dopoguerra, preparò la strada a quel cinema che si fonda prevalentemente
sull’azione avventurosa. Western, thriller, polizieschi: non solo i registi si
fecero le ossa, ma tutto il movimento cinematografico in generale in Italia
divenne industria anche grazie al peplum. E se questo un tempo forse
poteva anche essere inteso in senso negativo, oggi sappiamo bene che non è
affatto così, visto che dal cinema popolare si possono attingere
interessanti riflessioni e spunti, oltre a molti film certamente godibili sul
piano dell’intrattenimento. Il peplum,
per una svariata serie di motivi che vanno dall’enorme numero di pellicole che
venivano sfornate ad ogni stagione alla possibilità di riutilizzare gli stessi
scenari per diversi film, permise una serializzazione che purtroppo, con
l’andar del tempo, livellò la produzione eccessivamente verso la mediocrità. In
questo senso La rivolta dei barbari
può anche essere un ottimo esempio: il film non ha difetti vistosi ma non
eccelle praticamente in nulla. La qualità migliore è probabilmente il ritmo
narrativo, sostenuto dai numerosi scontri all’arma bianca tra legionari romani
e barbari e anche tra gli stessi legionari e i pretoriani, in una sorta di derby romano.
Grazia Maria Spina
Importante, nell’economia
della storia, anche la doppia traccia sentimentale, laddove lo charme dell’unica
‘star’ del cast Grazia Maria Spina (è Livia), nonostante qualche posa statica
di troppo, straccia la sparuta concorrenza, compresa quella maschile. Questo
nonostante Malatesta conosca bene il genere e sappia che nel peplum il fascino legato alla fisicità
dell’eroe di turno sia anche più importante di quello della controparte femminile,
si pensi al filone dei forzuti nel quale i protagonisti ostentano i loro
possenti corpi. In effetti ciò lo si può notare anche ne La rivolta dei barbari, nelle gambe esibite da Roland Carey (nei
panni del console Dario) o di Gabriele Antonini (Marco), che poco hanno però a
che spartire con i vigorosi machi di
altre pellicole di questo tipo. In fin della fiera, uno degli aspetti più
curiosi di tutta quanta l’operazione è che, a parte una debolissima trama
gialla, come luoghi comuni narrativi
il film può benissimo essere paragonato ad un western: agguati, attacchi al
convoglio, assalti alla fortificazione, frecce e lance che volano e uccidono,
fino all’arrivano i nostri che chiude
la questione. In pratica Malatesta e i suoi collaboratori, in attesa che la
produzione adeguasse scenografie e costumi, si erano portati aventi con il
canovaccio: gli spaghetti western
avevano ormai preso il posto dei peplum.
Grazia Maria Spina
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