544_L'UOMO DAGLI OCCHI DI GHIACCIO ; Italia, Regno Unito, 1971. Regia di Alberto De Martino.
Nel 1971 Alberto De Martino è già un regista che vanta un
discreto numero di pellicole al suo attivo, di vario genere e, visto che Gli insaziabili aveva ottenuto una buona
distribuzione, prova ad insistere sul genere giallo-poliziesco. Si ripete
quindi la formula del film americano
girato all’italiana, ma con una sostanziale modifica: se il precedente film
disponeva di un cast internazionale (tra cui Dorothy Malone e John Ireland) ed era
girato interamente in Italia, per questo L’uomo
dagli occhi di ghiaccio succede praticamente l’opposto: si impiegano attori
del nostro cinema ma ci si trasferisce in Nuovo Messico per ambientare e
soprattutto riprendere in loco la storia. E proprio sulla resa del protagonista
principale inciampa un po’ tutta quanta l’architettura imbastita da De Martino:
la storia è buona, il ritmo anche, così come l’ambientazione e pure la colonna
sonora caratteristica tiene botta ma Antonio Sabato, nel ruolo di prim’attore,
convince davvero poco. Meglio, assai molto meglio, Barbara Bouchet, splendida
attrice tedesca ormai adottata stabilmente dal cinema nostrano. Peraltro nel
cast ci sono anche attori statunitensi, tra questi merita di essere ricordato
il bravo e noto Victor Buono, che contribuiscono all’ambientazione americana
della storia. Pur essendo un poliziesco,
il film non mette al centro un investigatore o un poliziotto, ma un giornalista,
confermando l’impressione che si intenda restare nella scia del precedente Gli insaziabili. Va detto che si tratta
di una scelta narrativa effettivamente un po’ ardita, nel momento in cui il
film è di pura azione e il protagonista, un giornalista, si troverà coinvolto
in situazioni che, almeno professionalmente, non dovrebbero vederlo troppo preparato.
L’impressione generale non è brutta, ma il film sembra più che altro una copia, una sorta di falso: quale significato può esserci nell’andare fino nel sudovest
americano per girare una storia del genere? Non si poteva ambientare in Italia?
Sono domande illegittime, d’accordo,
nel senso che l’autore può e deve, giustamente, fare quello che vuole, ma se
avessero una risposta plausibile, dissiperebbero l’impressione di una storia
ambientata negli Stati Uniti solo per scimmiottare il cinema americano e trovare
un facile e superficiale riscontro nel pubblico. Insomma, un’opera che sembra
anche fatta con discreta professionalità, ma troppo impersonale per, non si
pretende essere, ma almeno sembrare, vera.
Barbara Bouchet
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