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domenica 29 marzo 2020

SIAMO UOMINI O CAPORALI

543_SIAMO UOMINI O CAPORALI ; Italia, 1955. Regia di Camillo Mastrocinque.

Che Totò sia un artista in senso universale è indiscutibile: in genere siamo abituati a vederlo solo come attore e, nello specifico, come attore prevalentemente comico; ma il principe della risata è in realtà un artista a tutto tondo, capace di cimentarsi in diverse discipline artistiche. Siamo uomini o caporali potrebbe essere un efficace esempio della sua poliedricità: nel film, sotto la regia di Camillo Mastrocinque, Totò è cabarettista, attore comico e drammatico e, volendo, anche satirico; suo è il soggetto e collabora anche come sceneggiatore; infine è anche compositore e interprete di una tipica canzone napoletana. C’è quindi molto di Totò, in questo Siamo uomini o caporali, e infatti il film è meno comico, meno leggero, di altre interpretazioni dell’artista napoletano. Purtroppo è proprio questo suo lato più sentito, più vero, ad essere anche il più debole. Intendiamoci, ci sono alcuni passaggi in Siamo uomini o caporali in cui si ride, soprattutto per certe gag rocambolesche (ad esempio quelle negli studi di Cinecittà); da questo punto di vista, il film ha alcuni ottimi spunti comici. Ma, seppur piacevoli e divertenti, questi sprazzi, questi guizzi, non bastano a salvare l’opera da un certo fastidio che suscita il qualunquismo melodrammatico che Totò può, in questo film, spargere a piene mani. Se questa sua tendenza a suscitare pietismo con cui giustificare le proprie disgrazie (ma anche lacune), riaffiora qua e là in quasi tutte le sue interpretazioni, Siamo uomini o caporali ne è invece permeato in tutti i suoi fotogrammi. Ha torto marcio Totò quando dice che ‘caporali si nasce, non si diventa’, arrivando cioè a dividere il mondo in ‘buoni e cattivi’, come nemmeno negli asili insegnano più (se mai l’hanno fatto). 

E vedere il dottore che, in uno dei passaggi seri del lungometraggio, ammette di aver imparato più con il colloquio con Totò che in vent’anni di carriera, farebbe sorridere, se non fosse chiaro che in quel frangente del soggetto, il principe della risata è invece serissimo. La cosa che stride maggiormente è che a salire in cattedra (perché di questo si tratta, della pretesa di Totò di insegnare come si vive) è proprio chi, almeno sullo schermo, ha sempre razzolato male. E’ difficile, anzi impossibile, raccogliere la critica al mondo dello spettacolo e la sua attenzione al solo aspetto estetico della donna, (si veda il colonnello/produttore americano Mr. Black), se poi lo stesso Totò imbastisce un numero cabarettistico che si basa essenzialmente sulle grazie della compagna Sofia (Fiorella Mari). Così come c’è da rimanere basiti nel veder organizzare una satira critica verso il gerarca fascista, mentre si impersona chi truffa, per soldi, la povera gente incolonnata ad aspettare il proprio legittimo turno. 

Quello che proprio non torna, e che mai potrà tornare, è la giustificazione, con Totò nemmeno sottointesa ma direttamente esplicita, che l’ingiustizia diffusa (e qui impersonata dai vari caporali), legittimi l’arte di arrangiarsi truffando non solo la legge ma anche il prossimo, e volendo dirla proprio tutta, fornisca anche un alibi per le colpevoli incompetenze, inefficienze e incapacità.
Questi giudizi negativi sono maggiormente legati alla morale che viene proposta del film, un punto di analisi che potrebbe anche rimanere secondario in un’opera del genere, se non fosse così pesantemente evidenziato dagli autori stessi. 

Tornando all’opera sotto ad un livello più tecnico, l’idea di far interpretare i caporali, ovvero i vari personaggi che approfittano della situazione per maltrattare il prossimo, da un unico attore (Paolo Stoppa) è certamente interessante; in parte identifica meglio il bersaglio della critica nello specifico spezzone di racconto filmico, e può anche essere un’accusa al trasformismo di chi è scaltro a cambiar bandiera pur di non perdere i propri privilegi. Ma, nel complesso, questo nuoce all’armonia del film; questa frammentazione della trama, nella quale abbiamo diverse situazioni in cui Totò (l’uomo) è contrapposto ai vari caporali (il capo delle comparse, il gerarca fascista, l’ufficiale nazista, il colonnello americano, il direttore di giornale, il figlio dell’industriale), alla fine è gestita in modo troppo grezzo.
Insomma, un film che non funziona, ma non si può dire ‘nonostante Totò’: il comico napoletano è infatti, almeno in questa occasione, il primo della lista degli insufficienti.




Fiorella Mari



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