543_SIAMO UOMINI O CAPORALI ; Italia, 1955. Regia di Camillo Mastrocinque.
Che Totò sia un artista in senso universale è indiscutibile:
in genere siamo abituati a vederlo solo come attore e, nello specifico, come
attore prevalentemente comico; ma il principe
della risata è in realtà un artista a tutto tondo, capace di cimentarsi in
diverse discipline artistiche. Siamo uomini o caporali potrebbe essere
un efficace esempio della sua poliedricità: nel film, sotto la regia di Camillo
Mastrocinque, Totò è cabarettista, attore comico e drammatico e, volendo, anche
satirico; suo è il soggetto e collabora anche come sceneggiatore; infine è
anche compositore e interprete di una tipica canzone napoletana. C’è quindi
molto di Totò, in questo Siamo uomini o
caporali, e infatti il film è meno comico, meno leggero, di altre
interpretazioni dell’artista napoletano. Purtroppo è proprio questo suo lato
più sentito, più vero, ad essere anche il più debole. Intendiamoci, ci sono
alcuni passaggi in Siamo uomini o caporali
in cui si ride, soprattutto per certe gag rocambolesche (ad esempio quelle
negli studi di Cinecittà); da questo punto di vista, il film ha alcuni ottimi
spunti comici. Ma, seppur piacevoli e divertenti, questi sprazzi, questi
guizzi, non bastano a salvare l’opera da un certo fastidio che suscita il
qualunquismo melodrammatico che Totò può, in questo film, spargere a piene
mani. Se questa sua tendenza a suscitare pietismo con cui giustificare le
proprie disgrazie (ma anche lacune), riaffiora qua e là in quasi tutte le sue
interpretazioni, Siamo uomini o caporali
ne è invece permeato in tutti i suoi fotogrammi. Ha torto marcio Totò quando
dice che ‘caporali si nasce, non si
diventa’, arrivando cioè a dividere il mondo in ‘buoni e cattivi’, come nemmeno negli asili insegnano più (se mai
l’hanno fatto).
E vedere il dottore che, in uno dei passaggi seri del
lungometraggio, ammette di aver imparato più con il colloquio con Totò che in
vent’anni di carriera, farebbe sorridere, se non fosse chiaro che in quel frangente
del soggetto, il principe della risata
è invece serissimo. La cosa che stride maggiormente è che a salire in cattedra
(perché di questo si tratta, della pretesa di Totò di insegnare come si vive) è
proprio chi, almeno sullo schermo, ha sempre razzolato male. E’ difficile, anzi impossibile, raccogliere la
critica al mondo dello spettacolo e la sua attenzione al solo aspetto estetico
della donna, (si veda il colonnello/produttore americano Mr. Black), se poi lo
stesso Totò imbastisce un numero cabarettistico che si basa essenzialmente
sulle grazie della compagna Sofia (Fiorella Mari). Così come c’è da rimanere
basiti nel veder organizzare una satira critica verso il gerarca fascista,
mentre si impersona chi truffa, per soldi, la povera gente incolonnata ad
aspettare il proprio legittimo turno.
Quello che proprio non torna, e che mai
potrà tornare, è la giustificazione, con Totò nemmeno sottointesa ma
direttamente esplicita, che l’ingiustizia diffusa (e qui impersonata dai vari caporali), legittimi l’arte di
arrangiarsi truffando non solo la legge ma anche il prossimo, e volendo dirla
proprio tutta, fornisca anche un alibi per le colpevoli incompetenze,
inefficienze e incapacità.
Questi giudizi negativi sono maggiormente legati alla morale che viene proposta del film, un
punto di analisi che potrebbe anche rimanere secondario in un’opera del genere,
se non fosse così pesantemente evidenziato dagli autori stessi.
Tornando
all’opera sotto ad un livello più tecnico, l’idea di far interpretare i caporali, ovvero i vari personaggi che approfittano
della situazione per maltrattare il prossimo, da un unico attore (Paolo Stoppa)
è certamente interessante; in parte identifica meglio il bersaglio della
critica nello specifico spezzone di racconto filmico, e può anche essere
un’accusa al trasformismo di chi è scaltro a cambiar bandiera pur di non
perdere i propri privilegi. Ma, nel complesso, questo nuoce all’armonia del
film; questa frammentazione della trama, nella quale abbiamo diverse situazioni
in cui Totò (l’uomo) è contrapposto
ai vari caporali (il capo delle
comparse, il gerarca fascista, l’ufficiale nazista, il colonnello americano, il
direttore di giornale, il figlio dell’industriale), alla fine è gestita in modo
troppo grezzo.
Insomma, un film che non funziona, ma non si può dire ‘nonostante Totò’: il comico napoletano
è infatti, almeno in questa occasione, il primo della lista degli
insufficienti.
Fiorella Mari
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