540_I CINQUE DELL'ADAMELLO ; Italia 1954. Regia di Pino Mercanti.
Curioso film che racconta di cinque alpini rimasti sepolti
sotto una coltre di ghiaccio durante la Prima
Guerra Mondiale, I
cinque dell’Adamello di Pino Mercanti, riesce, pur con qualche fatica di
troppo, a portare a casa un risultato più o meno dignitoso. Non è certo un
capolavoro, è evidente, e nemmeno un film di particolare rilievo: ma Mercanti
ci mette cura nell’imbastire la sua trama corale e anche se non possiede il
ritmo narrativo per appassionare con quello lo spettatore, si aiuta in quel
senso con i tanti intermezzi musicali. Le tante canzoni, nel film, più che far
pendere il genere della pellicola verso il musical,
cercano di alleggerire la narrazione restituendo, nel contempo, l’atmosfera del
tempo, e quest’ultima cosa in modo certamente efficace. Possono invece poco per
dare più verve al testo, che è anche gravato da alcuni orpelli stucchevoli come
i ripetuti stacchi palesemente ridondanti (la bambola punita picchiandola sul
lavandino che si dissolve nell’analogo movimento della bacchetta
dell’ausiliario nella classe scolastica e via di questo passo). E va anche
detto che il tema degli accennati struggenti passaggi musicali di fatto
alimenta la vetusta retorica dell’epoca che, nel film, fa più di qualche
capolino qua e là. Può essere che, nel 1954, con l’Italia che faticava ad
uscire dal dopoguerra, si cercasse di recuperare lo spirito patriottico legato
alla Grande Guerra, ma di fatto il ricorso ai temi d’annunziani fa correre più di un rischio al tenore del racconto.
E’ un peccato, dal punto di vista cinematografico, perché si tratta di uno
stile pesante ed eccessivo, ma non se consideriamo l’opera come una sorta di ‘documento
storico’ su un certo modo italiano, retorico ed accorato, di ‘raccontare’ la patria.
Questi aspetti, certamente presenti nel film, non lo permeano del tutto, perché
la storia corale ha il vantaggio di avere tanti personaggi, in particolar modo
i cinque alpini poi finiti sotto ghiaccio che, con la loro carica umana, chi
più chi meno, alleggeriscono i toni e rendono anche divertente il racconto. La
vicenda narrata è un lungo flashback, incorniciato dalle scene ambientate nei
più recenti giorni in cui furono rinvenuti i poveri alpini.
Tra gli interpreti
Fausto Tozzi è Leonida, figlio di uno dei cinque alpini del titolo, un
giornalista piuttosto scettico sull’opportunità di andare a recuperare le
salme; teme che la retorica popolare e delle istituzioni sia in agguato, non
sospettando il tiro mancino che gli riservano gli autori. Proprio mentre
commenta con disappunto la preghiera rivolta dai suoi compaesani ai cinque
caduti, che sono stati riseppelliti sotto una nuova valanga, il vento gli porta
tra i piedi il cappello di uno di loro, che scopre essere quello di suo padre.
Passaggio in tutta onestà davvero eccessivo ma, a quel punto, persino
tollerabile. Il padre di Leonida, Renato è l’alpino di idee rivoluzionarie interpretato da Franco
Balducci; Mario Colli è Momi, il padre della bambina un po’ capricciosa; Dario
Michelis è il d’annunziano Pinin; Walter Santesso è Piero, il ricco che vuole
fare l’inventore; Attilio Bossio è Doschei, il contrabbandiere.
Buone comparse,
ma nessuno con il piglio giusto per prendersi sulle spalle la storia e dargli
almeno un bello strappo: e così quello che rimane è un lavoro collettivo
comunque poco incisivo. Volendo, meglio fanno le ragazze della storia:
perlomeno tra loro c’è un’attrice di rango come Nadia Gray, a cui bastano pochi
minuti nei panni di Magda, la vedette del varietà, per tratteggiare un personaggio
affascinante, probabilmente il migliore del film. Certo, il Phisique du Role l’aiuta, questo è
innegabile; ma, che ci volete fare, il cinema è un arte prevalentemente visiva.
E anche Piera Simoni e Rita Rosa, pur non essendo interpreti particolarmente
memorabili, se la cavano in modo dignitoso. Ma certo non sono questi gli
elementi che possano salvare I cinque
dell’Adamello. Nel complesso il film risulta interessante perché riporta alla memoria un’idea patriottica
diffusa ai tempi della Grande Guerra e che la situazione tragica del secondo
dopoguerra aveva certamente disperso. Sul piano prettamente cinematografico,
con gli elementi a disposizione, si poteva certamente far meglio, ma
tant’è.
Sonia Gray
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