532_VACANZE PER UN MASSACRO ; Italia, 1980. Regia di Fernando Di Leo.
Dopo i problemi con la censura e la delusione per il
risultato al botteghino di Avere
vent’anni, Fernando Di Leo, se rimane comunque in zona fortemente erotica
con Vacanze per un massacro, cerca,
aggiustando un po’ il tiro, di evitarsi nuovi guai con la distribuzione e
migliorare, al contempo, il gradimento del pubblico. La violenza, richiamata
sin dal titolo, c’è anche in questo film, ma è disgiunta dalle scene erotiche: c’è
qualche passaggio in cui si forza un po’ la mano anche in quel senso, ma la
questione sembra un po’ ambigua, ovvero con un discreto grado di consenso, o
comunque di accettazione opportunistica, tra le parti in causa. In quest’ottica
va considerato che nella storia occhieggia un po’ la sponda sadomaso: Sergio
(Gianni Macchia) chiama ripetutamente la moglie Liliana (Patrizia Behn) e la
cognata Paola (Lorraine De Selle) “schiave”,
mentre poi si sottomette sessualmente a quest’ultima nel rapporto adultero.
Questo manifesta la componente intercambiabile del sadomasochismo, per cui
dominante e dominato possono spesso cambiare agevolmente ruolo, e ne esplicita
la natura ludica, e quindi senza rimandi sociali o politici. Nel sesso,
insomma, un eccesso di ardore, (che può simulare le violenza in chiave
simbolica e non fisicamente rilevante, ovvio) può essere inteso come componente
di un normale rapporto di coppia. E,
visto che il cinema è una finzione, quindi una sorta di gioco, Di Leo forse
cerca di far capire che quella rappresentata è unicamente l’idea di violenza, e non violenza
concreta. Il fascino della violenza, intesa come manifestazione di forza,
virilità, è poi alla base dei rapporti sessuali tra il bandito Gio Brezzi (Joe
Dallesandro) e le due donne: in parte soggiogate e in parte affascinate
dall’aitante criminale. Non ci sono, in ogni caso, scene di stupro.
Se questi
aspetti vogliono forse chiarire alcune cose con la censura, che era stata
alquanto pesante nella citata pellicola precedente del regista pugliese, nei
confronti del pubblico l’autore riserva altre attenzioni. Di Leo era giunto
alla conclusione che l’impiego di attrici famose e amate come Gloria Guida e
Lilli Carati fosse stato deleterio per Avere
vent’anni: il pubblico, secondo il regista, non aveva probabilmente gradito
vederle coinvolte in una storia così tragica e violenta. Per Vacanze per un massacro, il cui cast è
stringatissimo, il regista sceglie due protagoniste belle ma sconosciute:
Lorraine De Selle ha un discreto curriculum, ma la vera sorpresa è Patrizia
Behn (Nei credits indicata come Patricia). Attrice praticamente mai vista e dal fascino esotico, nel film di Di Leo
non si spoglia, a differenza della De Selle, ma mostra eleganza e portamento
che esprimono in modo sontuoso e perfetto un tipo di raffinato gusto del periodo, spesso messo in
secondo piano da tendenze più caserecce.
Non a caso è a lei che il criminale offre la possibilità di salvezza.
Certo,
nell’economia sia narrativa che della simbolica traccia politica, la
motivazione è legata alle qualità morali della donna; ma anche il fascino che
emana la figura della Behn ha il suo peso. Si accennava alla traccia politica:
in un film in cui Di Leo deve, per i motivi dei suddetti problemi con la
censura, stilizzare ulteriormente la violenza mostrata, per evidenziarne la
matrice simbolica e non realistica, il disegno critico da parte dell’autore
emerge in modo ancora più naturale. Il terzetto di villeggianti, di estrazione
borghese, con idee e abitudini emancipate, rappresenta l’elite della società
italiana: attenta alle apparenze, sia nei fatti che nei discorsi politicamente
impegnati, è in realtà intrisa di inganni e tradimenti.
La pellicola è cosparsa
di simboli che ambientano la vicenda
sia come tipico film di genere
all’italiana, sia conferendogli al tempo stesso una valenza di critica politica:
la macchina targata Milano anche se ci si trova in periferia di Roma, (e la
città lombarda è la capitale borghese del paese), le canzoni che fungono da
colonna sonora, (Dimenticare di
Roberto Soffici e A parte il fatto di
Iva Zanicchi), il J&B Scotch Whisky, al cinema onnipresente emblema della
società del benessere (che Di Leo ripropone addirittura nella scatola da sei
bottiglie, soluzione già vista ne Il boss,
1973). Gio Brezzi, spietato criminale, è invece semplicemente un termine di
paragone: accanto a lui, Sergio e Paola sembrano addirittura peggiori.
Paola è
doppia e traditrice, mentre il bandito ha una sua linearità di comportamento,
sbagliata ma almeno coerente. Sergio, nonostante non sia un criminale, è
mostrato comunque come violento, vista la passione per la caccia, e spara per
uccidere (anche se gli uccellini) molto più spesso rispetto a quanto non faccia
Gio Brezzi nel film. Inoltre è bugiardo e traditore, a differenza di
quest’ultimo; a corollario di una netta inferiorità rispetto al criminale, è
anche meno bravo a fare all’amore (almeno stando ai dialoghi, piuttosto
insistiti su questo tasto), attività che, comunque, prevede attenzione per il
partner e non solo per sé stessi.
Liliana è la vera vittima: una persona borghese
ma pulita, che ha avuto ingenuamente
fiducia nel sistema, e che viene tradita da questo. La soluzione che gli
prospetta Gio Brezzi, andarsene con lui insieme ai soldi del bottino
recuperato, dimenticando (e qui
ritorna in mente la canzone di Soffici) tutto quanto, mette la donna di fronte
ad un bivio. Fossimo stati cinque anni più tardi, in pieni anni ottanta, magari
Liliana avrebbe preso l’occasione della vita al volo, partendo con Gio Brezzi.
Ma si è detto: Patrizia Behn è uno splendido esempio di raffinatezza e stile
degli anni settanta. Come due colpi di doppietta alla schiena del bandito.
Lorainne De Selle
Patricia Behn
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