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venerdì 5 agosto 2022

U311 CHERKASY

IL RITORNO DELLO ZAR: #L'ORA DELLA FINE

1062_311 CHERKASY . Ucraina, 2019;  Regia di Tymur Yashchenko. 

Nel finale del film, Misha (Evgeniy Lamakh), lascia una festa in suo onore e se ne va, zaino in spalla, con l’intenzione di arruolarsi nell’esercito ucraino che si appresta a combattere i separatisti. Particolari secondari ma comunque vistosi, in dosso ha una felpa sportiva da baseball di New York e in testa un cappellino della squadra di calcio olandese dell’Ajax. Due evidenti simboli occidentali. In pratica, la manovra russa di annessione della Crimea, improntata ad una certa diplomazia della prepotenza, se così si può definire, ha avuto anche i suoi effetti collaterali indesiderati. Misha può essere, e probabilmente è, nell’idea del regista di U311 Cherkasy, Tymur Yashchenko, il simbolo dell’Ucraina del dopo Crimea. Coloro i quali non avevano partecipato alle proteste di Maidan e nemmeno colto il significato che avevano, come Misha, un tranquillo ragazzo della campagna ucraina, ora sono fermamente schierati con il fronte europeista e filo occidentale di Kiev. Arruolato insieme all’amico Lev (Dmitriy Sova), un tipo anche più problematico di lui, sulla nave U311 Cherkasy, che dà il nome al lungometraggio, Misha sarà protagonista con la maggior parte dell’equipaggio di un’eroica resistenza all’aggressione russa. Il Cherkasy passerà alla Storia come l’ultima nave della Marina Militare Ucraina ad arrendersi o, a seconda della prospettiva, a seguire l’invito russo ad unirsi alla flotta dell’ingombrante vicino. Mosca, infatti, dopo i fatti di Maidan, aveva colto tutto il mondo sul tempo riuscendo ad annettere la Crimea alla propria Federazione; per quel che riguardava le navi ucraine di stanza nella penisola, nettamente inferiori per numero a quelle del Cremlino (che aveva ottenuto accordi per mantenere la propria base navale a Sebastopoli), vennero consigliate di passare direttamente sotto la bandiera russa. 

Una dopo l’altra le navi da guerra ucraine cedono alla pressione di Mosca; notare che si cercò, almeno come linea di impostazione, di presentare la cosa come naturale e perfino vantaggiosa, per i marinai. Perlomeno per gli ufficiali, ai quali venne proposto il quadruplo dello stipendio percepito fino ad allora; e, nel complesso, anche nel film di Yashchenko si sottolinea la presenza sul molo degli omini verdi, gli anonimi soldati inviati dal Cremlino per garantire la sicurezza e/o fungere anche da evidente monito a chi avesse qualcosa da obiettare sulla pratica dell’annessione della Crimea al suo nuovo/vecchio padrone. Il regista, per mezzo dei marinai del suo film, ci scherza su, facendo riferimento alla fantascienza, laddove gli omini verdi sono in genere i marziani. In definitiva è un modo efficace per rappresentare il fenomeno: little green men e persone gentili sono altre leggiadre definizioni per questa subdola invasione che il Cremlino operò mandando i suoi militari senza insegne in un territorio di un altro stato, cercando (riuscendoci) di ottenere i propri scopi senza creare eccessivi problemi di ordine pubblico. La massiccia presenza degli omini verdi poteva, per la verità, essere una concausa di qualche subbuglio ma di sicuro fu nel complesso l’antidoto per questa stessa eventualità. In effetti sembra fantascienza: un’invasione pacifica fatta da reparti d’élite di uno degli eserciti più efficienti e spietati al mondo; ma tant’è. L’azzardo russo funzionò quasi completamente anche per la marina, laddove l’autonomia e l’integrità delle navi da guerra poteva, in effetti, rappresentare qualche difficoltà in più, come difatti si concretizzarono poi sul Cherkasy. Il dragamine ucraino, una volta bloccato dalla flotta russo il suo accesso dal Lago Donuzlav al Mar Nero, e vista la sua insistenza a non cambiare casacca, viene attaccato apertamente da motonavi e elicotteri in quella che è una battaglia vera e propria. 

La strategia degli omini verdi, sul mare, ha avuto evidentemente bisogno di un leggero aumento di intensità. Infine un manipolo di incursori russo sale a bordo della nave ormai danneggiata dagli scontri e dagli stessi marinai ucraini che non intendendono consegnarla in buono stato al nemico. La morte di Lev, ucciso a sangue freddo dai militari russi, è uno dei simboli collaterali dell’annessione: ‘se accettate avrete benefici, se rifiutate piombo’. A questo punto può venire da chiedersi se ci furono effettivamente morti durante queste operazioni. Non è poi così importante. U311 Cherkasy è un film bellico ispirato da un fatto vero. Non necessariamente deve aderire in ogni dettaglio alla realtà degli eventi. In ogni caso, se le Persone Gentili avevano il fucile da guerra non deve essere poi considerato così strano se lo si veda poi all’opera. 

Tra l’altro, nel suo tentativo di romanzare i fatti, U311 Cherkasy, considerato l’inesperienza di Yashchenko e la complessità storico militare del tema, è un film straordinariamente buono. Va considerato, infatti, che succede ben poco, nella storia, che di concreto (al di là degli episodi di nonnismo o altre amenità militaresche) si basa sulla tensione indotta dal blocco russo e dall’attesa di ordini che da Kiev non arrivano. La prepotente risolutezza russa e l’incertezza del governo di Kiev, che non comunica l’ordine di partire per Odessa quando forse era ancora possibile, costituiscono uno squilibrio che grava tutto su ufficiali e marinai della Cherkasy nella loro decisione di non cedere alle lusinghe del nemico. Yashchenko è bravo, nel mantenere il racconto sobrio, concedendosi due citazioni notevoli ma perfettamente calzanti. La corazzata Potëmkin (capolavoro del 1925, regia di Sergej Ėjzenštejn), sebbene impegnativo, era un rimando quasi inevitabile: anche sulla Cherkasy come sulla Potëmkin i marinai si oppongono alle angherie dello zar di turno, oggi Vladimir Putin, presidente della Federazione Russa, come allora Nicola II, reggente sul trono imperiale. La scena chiave è, ovviamente, il rancio dei marinai con i vermi, anticipata da una patata non pelata a dovere sul piatto del comandante (Roman Semysal). Volendo, il rimando ad Odessa, dove avvenne il famoso ammutinamento della Potëmkin, è qui solo nelle ambizioni del comandante della nave che rimane troppo a lungo in attesa di un ordine che da Kiev, nella concitazione di quei momenti, non arriverà. 

Il secondo riferimento è meno nitido, meno esplicito, e si palesa solo nel finale, nonostante aleggiasse già da tempo sulla storia. Tutti quei momenti intensi, soprattutto nelle canzoni cantate con enfasi e trasporto dai marinai, davano la giusta dimensione ad uno spirito di corpo forte e coeso ma anche allegro o comunque con una vena leggera. Canta che ti passa, si usa dire, del resto, e cantare è un’attività usata spesso dalle truppe ma c’è modo e modo di intonare una canzone. Ci si può riversare aggressività e odio, oppure racimolare le ultime speranze per provare a resistere ancora un po’ di fronte all’inevitabile. E quando vediamo gli irriducibili dell’equipaggio chiusi sotto coperta, con gli incursori russi già sul ponte della nave, ecco che si cristallizza nitidamente il ricordo di altri marinai costretti al chiuso di uno scafo e visti al cinema, quelli a bordo del sommergibile protagonista dello splendido U-Boot 96 (1981, regia di Wolfgang Petersen). It’s a long way to Tipperary, cantavano ironicamente i tedeschi, visto che Tipperary era una città irlandese dove attendeva la ragazza del cuore di un soldato inglese della Grande Guerra. La strada dei marinai tedeschi, verso un ipotetico idillio simile era assai ben più che lunga. Impossibile, molto più concretamente. I brani che ci accompagnano nel finale di U311 Cherkasy sono Voyni sveta (Guerrieri di luce), in origine una canzone bielorussa, e Montenegro, tratta dal film Uccello bianco con segno nero (1971, regia di Yuryi Illienko). Non si parla di ragazze trepidanti in attesa e se Misha viene accolto nel paesino natio come un eroe (ma nessuno parla in ricordo di Lev, ucciso dai russi), il ragazzo sa che non è il tempo per spassarsela. L’invasione è cominciata, ma non si tratta dei marziani.  


Galleria di manifesti 




2 commenti:

  1. A me "omini verdi" fa pensare a un'altra cosa...manco a farlo apposta! 😄
    Fra l'altro i sottomarini narrativamente mi hanno sempre colpito ed è per questo che li ho inseriti nel mio fumetto...🙂

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  2. I film di guerra navale sono sempre intriganti e quelli coi sottomarini sono il top. Qui non ci sono sommergibili o sottomarini ma la scena in cui l'equipaggio è chiuso sotto coperta mi ha ricordato U-boot 96, vero capolavoro.

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