Translate

giovedì 18 agosto 2022

FROST

IL RITORNO DELLO ZAR: #L'ORA DELLA FINE

1075_FROST . Lituania, Francia, Ucraina, Polonia, Svizzera, Monaco, 2017;  Regia di Sharunas Bartas.

C’è un dialogo, in Frost di Šarūnas Bartas, che è emblematico e non solo del film lituano del 2017 ma un po’ della situazione generale. Rokas (Mantas Jančiauskas), è un tranquillo ragazzo e ha sorprendentemente accettato di guidare un camion di trasporti umanitari dalla sua Lituania fino nell’est dell’Ucraina, dove infuria la guerra civile. Lo accompagna la fidanzata Inga (Lyja Maknavičiūtė), ragazza non certo bellissima e dal carattere taciturno, ma non del tutto passivo, che costituisce con Rokas una coppia non proprio ideale, da un punto di vista strettamente narrativo, per quello che si presenta a tutti gli effetti come un road movie. Perché se speriamo che siano i dialoghi tra i due a dare ritmo alla storia stiamo freschi; ma non è questo il senso del titolo del film. Del resto da un’opera di Bartas non è che ci si aspetti una narrazione forte, travolgente; però il regista sa molto bene il fatto suo e insieme ai due protagonisti ci porta nel cuore di quell’Europa che, per tanti occidentali, è invece ai margini dell’area di interesse, come dice sostanzialmente uno dei presenti alla sorta di festa nell’hotel in cui i nostri si fermano lungo la strada. Piuttosto, l’Ucraina è terra di confine, lo si ribadisce sempre nei dialoghi tra i presenti al party, una convention tra individui liberal chic tra cui è impossibile non restare affascinati dalla classe di Vanessa Paradis (nel ruolo di una giornalista un po’ disillusa). Il punto è che, sempre stando alle parole che si scambiano all’hotel i presenti, il concetto di confine è una cosa relativa; ora la guerra in Ucraina può interessarci per una questione di vicinanza geografica, mentre quella in Siria meno e altre in aree più remote del mondo, dalla nostra prospettiva europea, ancora meno. 

In sé è un concetto banale, ovvio, ma sdogana, in un certo senso, la generale indifferenza. Se ci sono indifferenti i morti nei conflitti in Africa, che capita comunque di vedere alla televisione o di averne in qualche modo notizia, perché mai dovrebbero preoccuparci quelli dell’Ucraina? Beh, forse occorre cambiare approccio alla cosa. Non a caso il protagonista del film, e il film stesso, è lituano; ovvero di un’altra zona di confine, una repubblica baltica ai confini e mai realmente al centro dell’Unione Sovietica prima e della scena europea ora. Chi meglio di un uomo che vive ai margini (della Comunità Europea) che si reca in una terra di confine (secondo alcune interpretazioni linguistiche, Ucraina significa appunto terra di confine) può simbolicamente interpretare lo stato d’animo apatico e fuori fuoco in cui ci troviamo un po’ tutti quanti? 

Da un punto di vista narrativo, non è nemmeno tanto chiaro perché Rokas accetti un simile incarico: non si parla di lavoro, in quanto non si fa menzione a nessuna paga. E’ un favore che fa ad un amico e questo sarebbe comprensibile, se non fosse che trasportare aiuti umanitari fino in zona di guerra non è una cosa particolarmente plausibile. Oltretutto affrontando un viaggio lunghissimo attraverso territori non propriamente turistici; ma Bartas è un narratore saggio ed evita di approfondire le motivazioni che spingono Rokas ad accettare. In questo modo non possiamo neppure obiettare sulla credibilità del pretesto, perché in sostanza non viene chiarito; il che è, anzi, un altro tassello a favore del senso del film, vedremo poi come. 

In ogni caso, il dialogo cruciale citato in apertura non è uno di quelli che si sentono nell’hotel dove avviene l’improvvisato ritrovo. No, le parole più incisive sono di un militare ucraino, un soldato di un reparto che ha il compito di recuperare i cadaveri e dare loro degna sepoltura. Già questo fatto è una sorta di pedigree dell’uomo che, pur se in guerra, fa comunque un lavoro nobile. Rokas, a quel punto, ha già fatto tantissima strada, attraverso la Polonia e poi nella stessa Ucraina: man mano che si avvicina, si lascia tiepidamente coinvolgere dall’interesse per quel che sta succedendo. Tiepidamente, perché si è detto che è un tipo tranquillo; e poi in fondo è lituano, cosa può interessagli quello che vogliono fare nel Donbass o giù di lì? Ma è a questo punto che il citato militare ucraino lo scuote, svegliandolo dal suo torpore. Non è vero che è poco interessato. 

Ha guidato uno scassato furgone stracarico per migliaia di chilometri, passando attraverso frontiere con dogane e ispezioni, muovendosi in territori che si fanno via via più pericolosi. Come può dirsi poco interessato o titubante nei confronti di un concetto come patria. Da un altro scambio di parole, in questo dialogo a pochi chilometri dal fronte, emerge un’altra frase se non banale non certo inedita: si va in guerra, non per sopravvivere o altro; si va in guerra per ammazzare. D’accordo, è la scoperta dell’acqua, non calda ma fredda (del resto il film si intitola Frost) e, proprio come una doccia gelata, riporta Rokas un minimo alla realtà. Ora vuole davvero capire cosa succede, si mette addirittura a filmare con lo smartphone: ma aveva ragione il militare ucraino, questo desiderio di sapere, di sapere la verità, e non le frottole raccontate da stampa e televisione, Rokas l’aveva sempre avuto dentro, si era solo assopito, congelato. Non è forse per questo, facendo riferimento al punto rimasto in sospeso, che aveva accettato l’incarico? E quell’indifferenza per eventi che saranno anche remoti ma in realtà riguardano ognuno di noi, così come la titubanza nel non sapere cosa faremmo nel caso coinvolti in prima persona, sono cose che valgono per tutti; noi spettatori compresi. In fondo, abbiamo tutti finito per crearci una nostra Lituania privata, un luogo dove farci i fatti nostri in santa pace guardando il mondo là fuori su YouTube giusto quando serve. Ora, però, non si tratta più di curiosità, di voglia, di desiderio, ma di necessità. Purtroppo, queste sono situazioni che non ammettono ritardi e ormai, se non è già troppo tardi, ci siamo dannatamente vicino. Nel qual caso, non rimarrà che consolarci con qualche pietosa bugia, che se la dici con sentimento potrà avere la parvenza di essere credibile, se non vera. Come Inga, bella quando mente e bellissima nella bugia che chiude il film. E coì facendo potremo tornare nello stato ibernato della nostra realtà.  



  Vanessa Paradis 





 
 Lyja Maknavičiūtė

Galleria di manifesti 






Nessun commento:

Posta un commento