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mercoledì 3 agosto 2022

CRIMEA AS IT WAS

IL RITORNO DELLO ZAR: #L'ORA DELLA FINE

1060_CRIMEA AS IT WAS . Ucraina, 2016;  Regia di Kostiantyn Kliatskin. 

Prodotto dal collettivo Babylon’ 13, un’equipe di documentaristi che ha preso a cuore la questione Ucraina durante la crisi con la Russia cominciata nel 2014, Crimea: As It Was si presenta come un documentario meno fazioso di quanto sia comune in questi casi. Intendiamoci: è evidente che a suonare sia una campana ucraina, sulla questione, ma l’autore Kostiantyn Kliatskin, non lesina scene che, nel bilancio, non tornano certo a vantaggio della sua sponda. Naturalmente, in linea teorica, chi si prende la briga di dirigere un documentario dovrebbe avere un’unica parte con cui schierarsi, ovvero quella della realtà oggettiva. Impresa più facile a dirsi che a farsi, anzi forse proprio impossibile. Eppure Crimea: As It Was, con le sue scene di gente russofona residente in Crimea entusiasta ad inneggiare Putin, si guadagna il rispetto che si ha per le opere che almeno provano ad essere super partes. Anche l’arrivo delle Persone Educate, ovvero le truppe militari russe inviate sul suolo ucraino in modo del tutto abusivo, è un altro elemento che depone a favore dello sguardo tutto sommato asciutto di Kliatskin. L’operazione comandata da Mosca, inviare militari (pare reparti scelti e non sprovveduti) per proteggere la popolazione di etnia russa in Crimea, (oltre il confine di un altro stato sovrano senza prendere accordi con il governo locale, mandando i soldati in questione con divise senza mostrine o segni di riconoscimento), è un atto gravissimo e giustificherebbe l’assoluta indignazione da parte ucraina. Poco varrebbe la giustificazione del Cremlino che a Kiev era avvenuto un colpo di stato organizzato e sostenuto dai paesi occidentali; l’invio di militari per operazioni oltreconfine, in incognito poi, non è comunque un atto tollerabile. Anche l’idea che i russi residenti in Crimea andassero tutelati regge assai poco; del resto, se le motivazioni fossero valide, Mosca avrebbe mandato i militari in veste ufficiale e non con mimetiche che lo stesso Putin fa notare, in una conferenza stampa riportata nel documentario, si sarebbero potute comprare in un qualunque negozio di articoli militari. 

C’è da considerare, tra l’altro, che una presenza militare russa in Crimea era prevista dai trattati stipulati in precedenza ma proprio l’aver mandato soldati senza insegne di riconoscimento a questo punto diveniva chiaro indice di malafede. Ecco, il tono del testo di Kliatskin, anche in questi frangenti, non si scalda più di tanto: c’è sì qualche passaggio che mostra la preoccupazione e anche la tensione della popolazione della Crimea (quella di lingua ucraina, perlopiù) per la presenza di truppe militari straniere oltretutto avvolta nel mistero sia per la mancanza di mostrine sia per l’incomprensibilità dei loro scopi. Tuttavia già la definizione che ne viene data, Omini Verdi, non sembra adeguata ad un racconto che intenda incendiare i toni; era forse l’appellativo che venne dato al tempo ma la narrazione avrebbe potuto far riferimento ai reparti d’élite russi ai quali i militari pare appartenessero (qualche fonte cita gli Specnaz). Quando poi Kliatskin si occupa della marina, con ampie interviste a due alti ufficiali ucraini, emerge da un lato la determinazione russa, dall’altro le titubanze di Kiev che invitava i suoi ad attendere non si sa bene cosa. Insomma, la prepotenza russa sull’operazione che ha condotto la Crimea tra le braccia di Mosca (con un innegabile consenso di buona parte della popolazione locale) emerge comunque dal documentario anche se Kliatskin non sembra caricare gli eventi a proprio favore. E il suo lavoro ha proprio il sapore di un prodotto genuino, sincero, vero. E che non dissipa affatto i dubbi di legittimità sulla congiunta operazione (militare, politica e referendaria) che ha sancito il ritorno a casa (vero o presunto che sia) della penisola affacciata sul Mar Nero.   



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