515_L'AVVENTURIERO DI MACAO (Macao); Stati Uniti, 1952. Regia di Josef Von Sternberg.
Nel 1952 Howard Hughes, il vulcanico patron della RKO Radio Pictures, punta ancora sull’accoppiata
Robert Mitchum e Jane Russell, nonostante non fosse rimasto troppo soddisfatto
dal primo tentativo. Il suo tipo di donna,
il film che vedeva all’opera le due star insieme, uscito l’anno precedente per
la regia di John Farrow (almeno nominalmente), pur se non fosse poi neanche
così male, non era certo passato alla storia del cinema come capolavoro. Quella
produzione era stata infatti piuttosto tribolata, con l’inserimento di Richard
Fleischer (e dello stesso Hughes) in corsa, per sistemare un lavoro che proprio
non soddisfaceva il boss della RKO. L’avventuriero
di Macao viene così affidato ad un maestro come Josef Von Sternberg, che nel
curriculum vantava tra gli ultimi suoi lavori un noir esotico d’eccellenza come
I misteri di Shanghai. Purtroppo da
quel tempo erano passati più di dieci anni e Von Sternberg non riuscì, con L’avventuriero di Macao, a ripetere la
qualità delle sue opere migliori. Hughes, ancora insoddisfatto, anche stavolta
chiese aiuto ad un altro regista, in questo caso Nicholas Ray, per mettere un
po’ di verve nel finale, aggiungendo sostanzialmente una scazzottata tra Nick
Cochran, il protagonista interpretato da Mitchum, e Halloran, il suo avversario
(Brad Dexter). Ma, in fondo, il produttore aveva torto di lamentarsi del lavoro
di Von Sternberg: certo, il regista non aveva più la vena creativa dei tempi
del connubio con la Dietrich ,
ma sapeva il fatto suo. Oltretutto, la storia che aveva per le mani, era un
prodotto piuttosto convenzionale e non era certo semplice né scontato cavarci
un capolavoro.
E poi, forse, i problemi, se così si possono chiamare, erano già
alla base di quello che era il presunto punto di forza dell’operazione: se
Mitch era comunque perfetto per interpretare un noir, qualche dubbio, pur con una certa sorpresa, la Russell lo faceva venire.
Il protagonista di un noir è, in genere, un individuo fondamentalmente positivo
che le circostanze hanno messo un po’ su una strada equivoca. E’ chiaro che
serve un interprete che trasmetta un’aria inquieta, ambigua, perché non tutte
le persone che hanno problemi vi si lasciano traviare. E Mitchum è l'ideale in questo
senso. La dark lady, la figura femminile del noir, abitualmente deve invece essere totalmente ambigua; non necessariamente
negativa, ma nemmeno troppo scontatamente buona. Insomma, come la Margie che, in L’avventuriero di Macao, è interpretata,
al solito divinamente, dalla formidabile Gloria Grahame.
Peccato non sia la
figura femminile centrale, in ogni caso, lei è la perfetta la femme fatale della storia: infatti è
l’unico personaggio che, fino alla fine, non si capisce bene se sia totalmente
cattivo, se abbia qualche barlume positivo o faccia le cose, comprese quelle
buone, per mero interesse. E non è un dettaglio da poco, perché in una sorta di
limbo, che è rappresentato da Macao, i personaggi si muovono in una terra di
mezzo in cui nessuno è quello che sembra ma di cui, abbastanza velocemente,
si capisce quale sia la vera natura. L’ex colonia portoghese è,
nell’interpretazione di Von Sternberg, come lo spazio tra le maglie di una
rete: al suo interno è concessa libertà di movimento, ma guai ad uscirne. Il
regista abbozza qualche idea in tal senso, le reti dei pescatori, il poliziotto
che si finge venditore di calze di nylon, le stesse calze della Russell che
irretiscono Mitchum, ma non c’è l’adeguato sviluppo.
Che poteva essere l’uso
della rete come schermo, ad esempio; in effetti, nella zona franca di Macao, i
protagonisti della storia celano la propria vera identità e vengono scambiati
per altri: Cochran sembra il poliziotto atteso da Halloran che, a sua volta,
sembra un rispettabile uomo d’affari; mentre il vero poliziotto, Cramer
(William Bendix), come detto, si spaccia per commesso viaggiatore. Chi invece è
la classica eroina dal cuore di panna
che ostenta una strafottenza troppo posticcia per essere credibile è Julia, a
cui la Russell
fornisce un’interpretazione eccessivamente stereotipata sul suo tipico cliché. Sia
chiaro, l’attrice è indiscutibilmente bella, ha certamente il physique du rôle e si esibisce in un
discreto numero canoro inguainata in un interessantissimo vestito. Tuttavia, se
come dark lady non convince del
tutto, quando Margie, il personaggio della Grahame, la definisce ‘scimmietta’, forse già ne intuisce l’indole adatta ad opere più leggere, dove in effetti la Russell troverà una dimensione più adeguata.
Jane Russell
Gloria Grahame
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