519_I SETTE SENZA GLORIA (Play Dirty); Regno Unito, 1969. Regia di André De Toth.
Forte dell’esperienza come regista della seconda unità in Lawrence d’Arabia, il solido André De Toth ritorna sugli stessi scenari desertici con I sette senza gloria, un film ambientato in nordafrica durante la
II Guerra Mondiale. Il titolo italiano sembra rievocare I Magnici Sette, western del 1960 di John Sturges, mentre nell’originale Play dirty ci si riferisce maggiormente al più recente Quella sporca dozzina di Robert Aldrich, per via del termine dirty, sporco, comune ai due film. E in quello del regista di origine ungherese si gioca sporco d’avvero, con un Michael Caine,
che interpreta il capitano Douglas, costretto ad adeguarsi in fretta ad una
guerra senza regole, né da una parte, né dall’altra. Il problema è che si fa
già fatica a capire quali siano le parti in causa, con i soldati che cambiano
divisa alla bisogna. Significativa la scena iniziale dove lo spietato capitano
Cyril Leech (Nigel Davenport) sta arrivando alla guida di un fuoristrada mentre
ascolta Lili Marleen e, prima di
varcare il posto di blocco, sintonizza la radio su una stazione che passa You are my sunshine e si cambia il
berretto, togliendo quello tedesco in favore di quello inglese. Due semplici
tocchi per saltare, almeno all’apparenza, barricata. Insomma nella sabbia del
deserto, con divise e mezzi mimetici, è davvero difficile fare distinzione: che
in effetti i personaggi non fanno, passando per le armi nemici, amici, e
perfino alcuni assistenti sanitari protetti
dall’insegne della croce rossa. A seguito di quell’emblematico passaggio, c’è l’intermezzo
con l’infermiera tedesca che viene in quel primo momento risparmiata.
L’intervallo
sembra avere un tenore leggero quando la ragazza mette sotto in uno scontro
fisico uno dei terribili sette della missione, ma vira leggermente durante il
tentato stupro. I toni tornano però in fretta farseschi, grazie all’arabo medicato
dalla ragazza che spara nelle chiappe al compagno che voleva violentare la stessa.
Insomma, non succede niente di scabroso, non è quello il tema della pellicola. Il
punto focale del regista è la guerra e la sua mancanza di senso: l’obiettivo
per il quale i sette soldati rischiano e perdono la pelle è un deposito
posticcio, finto, fasullo come gli ideali militari. E se per caso venisse anche
trovato un deposito di carburante vero, in un attimo possono cambiare gli
ordini e preservare quel carburante può diventare più importante della vita di
quegli stessi uomini mandati in missione per distruggerlo. Nessuna regola è
certa, nessuna divisa, nessuna bandiera: nemmeno quella bianca sotto la quale i
due sopravvissuti del manipolo vengono mitragliati e uccisi per una semplice
vista.
Un film forse minore, nella carriera apprezzabile del regista, ma
di cui vanno ricordati i momenti topici (il disinnesco della mina, la scalata
del dirupo con gli automezzi) e il gusto amaro e disilluso.
Come regista, anche De Toth, un po' come i suoi personaggi, è rimasto senza gloria, ad Hollywood, ma seppe comunque farsi valere.
Come regista, anche De Toth, un po' come i suoi personaggi, è rimasto senza gloria, ad Hollywood, ma seppe comunque farsi valere.
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