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lunedì 10 febbraio 2020

I SETTE SENZA GLORIA

519_I SETTE SENZA GLORIA (Play Dirty); Regno Unito, 1969. Regia di André De Toth.

Forte dell’esperienza come regista della seconda unità in Lawrence d’Arabia, il solido André De Toth ritorna sugli stessi scenari desertici con I sette senza gloria, un film ambientato in nordafrica durante la II Guerra Mondiale. Il titolo italiano sembra rievocare I Magnici Sette, western del 1960 di John Sturges, mentre nell’originale Play dirty ci si riferisce maggiormente al più recente Quella sporca dozzina di Robert Aldrich, per via del termine dirty, sporco, comune ai due film. E in quello del regista di origine ungherese si gioca sporco d’avvero, con un Michael Caine, che interpreta il capitano Douglas, costretto ad adeguarsi in fretta ad una guerra senza regole, né da una parte, né dall’altra. Il problema è che si fa già fatica a capire quali siano le parti in causa, con i soldati che cambiano divisa alla bisogna. Significativa la scena iniziale dove lo spietato capitano Cyril Leech (Nigel Davenport) sta arrivando alla guida di un fuoristrada mentre ascolta Lili Marleen e, prima di varcare il posto di blocco, sintonizza la radio su una stazione che passa You are my sunshine e si cambia il berretto, togliendo quello tedesco in favore di quello inglese. Due semplici tocchi per saltare, almeno all’apparenza, barricata. Insomma nella sabbia del deserto, con divise e mezzi mimetici, è davvero difficile fare distinzione: che in effetti i personaggi non fanno, passando per le armi nemici, amici, e perfino alcuni assistenti sanitari protetti dall’insegne della croce rossa. A seguito di quell’emblematico passaggio, c’è l’intermezzo con l’infermiera tedesca che viene in quel primo momento risparmiata. 

L’intervallo sembra avere un tenore leggero quando la ragazza mette sotto in uno scontro fisico uno dei terribili sette della missione, ma vira leggermente durante il tentato stupro. I toni tornano però in fretta farseschi, grazie all’arabo medicato dalla ragazza che spara nelle chiappe al compagno che voleva violentare la stessa. Insomma, non succede niente di scabroso, non è quello il tema della pellicola. Il punto focale del regista è la guerra e la sua mancanza di senso: l’obiettivo per il quale i sette soldati rischiano e perdono la pelle è un deposito posticcio, finto, fasullo come gli ideali militari. E se per caso venisse anche trovato un deposito di carburante vero, in un attimo possono cambiare gli ordini e preservare quel carburante può diventare più importante della vita di quegli stessi uomini mandati in missione per distruggerlo. Nessuna regola è certa, nessuna divisa, nessuna bandiera: nemmeno quella bianca sotto la quale i due sopravvissuti del manipolo vengono mitragliati e uccisi per una semplice vista.
Un film forse minore, nella carriera apprezzabile del regista, ma di cui vanno ricordati i momenti topici (il disinnesco della mina, la scalata del dirupo con gli automezzi) e il gusto amaro e disilluso.
Come regista, anche De Toth, un po' come i suoi personaggi, è rimasto senza gloria, ad Hollywood, ma seppe comunque farsi valere.







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