524_LA CADUTA DELLA CASA USHER (La chute de la Maison Usher); Francia, 1928. Regia di Jean Epstein.
Nel 1928, il cinema aveva già assistito all’esordio del
primo film sonoro, (in genere considerato Il
cantante di Jazz di Alan Crosland, del 1927) e il suo completo avvento era
ormai imminente, ma il cinema muto fece in tempo a piazzare ancora alcuni
capolavori, basti citare proprio uno dei più tardi ovvero, Tempi Moderni
del grande Charlie Chaplin, che uscì nelle sale addirittura nel 1935. Alla fine
degli anni venti, insomma, il cinema muto
aveva acquisito una tale consapevolezza dei codici narrativi permessi dalla
nuova arte che, se avrebbero subito l’ulteriore impennata imminente
dell’ausilio dell’audio, permetteva già in quei termini di produrre film con
una notevole proprietà di linguaggio. E’ un po’ in questo senso che dobbiamo
approcciare a queste opere, La caduta
della Casa Usher di Jean Epstein come altri lavori del tempo. E’ chiaro che,
se vogliamo una versione filmica più a noi accessibile del racconto del sommo
maestro Edgar Allan Poe, che ne è il principale ispiratore, ci possiamo
rivolgere a I vivi e i morti, film
del 1969 di Roger Corman che, sebbene riporti delle modifiche in sede di
sceneggiatura (in ogni caso opera del grandissimo Richard Matheson), necessarie
all’adattamento, ci lascerà un po’ delusi se confrontato col testo scritto, ma
ci permetterà una fruizione più chiara degli eventi. Ma qui occorre una piccola
digressione, per inquadrare meglio la situazione. Il cinema, con l’avvento del
sonoro, si pose (giustamente) l’ambizione di divenire un’arte universale, che
comprendesse cioè tutte (o quasi) le conoscenze artistiche dell’umanità: non
solo le immagini della pellicola potevano rappresentare ciò che fotografia o
pittura avevano fino allora incarnato, ma con l’ausilio del loro movimento, vera peculiarità del cinema,
rendevano concrete quelle intuizioni di fenomeni moderni come l’impressionismo pittorico, ad esempio che,
con quell’idea di cogliere l’attimo, sembrava
volere catturare su tela proprio la dinamicità della vita reale. E le stesse sequenze
di immagini potevano interpretare racconti, a questo punto, visto la
possibilità offerta dai dialoghi, in modo davvero completo. La messa in scena
del teatro poteva essere qui affinata, resa più funzionale, mantenendo la
sacralità della visione collettiva e contemporanea della sala.
La musica, ora
spesso piegata al servizio del cinema, ne era divenuta una delle coordinate
portanti di grandissima efficacia e, nei casi migliori, se ne era perfino
alimentata, in un rapporto reciproco, si pensi a certe colonne sonore
magnifiche rese memorabili anche grazie alle storie dei film che esse stesse
accompagnavano. E poi l’architettura, con le ambientazioni, il décor, con il regista che era divenuto,
a tutti gli effetti, una sorta di supremo architetto, ovvero colui che
coordinava tutte quante le differenti anime artistiche della nuova arte
universale. Tutto questo era il cinema sonoro: ma non sempre girava ogni cosa
alla perfezione. Ad esempio, il citato I
vivi e i morti, un onesto e bel film d’atmosfera horror, è ben confezionato
ma, pur con tutto l’apparato prima descritto, non riesce a cogliere lo spirito
del racconto di Poe; anche giustamente, è un’altra cosa, è un film.
Questo va
sempre tenuto presente perché, nonostante quanto affermato prima nell’elogio alle
potenzialità della settima arte, il
cinema è il cinema, coi suoi pregi e i suoi limiti, e la letteratura è la
letteratura, con relativi punti a favore o meno. Ad esempio i tempi di
fruizione, che nella lettura possono essere differenti da persona a persona, o
ai luoghi dove ci si approccia al testo, in una solitudine che, per il cinema,
solo l’home video ha introdotto su larga scala. Tutto questo sembra centrare
poco, però, con La caduta della Casa
Usher di Epstein che è un film muto. Ma serve a fornirci le motivazioni
alla base della considerazione che si tratti comunque di un lavoro notevole, un
assoluto capolavoro.
Perché al suo apice, il cinema muto, aveva altre mire,
probabilmente, rispetto a quanto noi ci aspettiamo da un film che, anche
involontariamente, fa appunto riferimento a quanto detto a proposito delle
potenzialità del cinema sonoro. Perché come atmosfera, come allucinante viaggio
ipnotico, quello di Jean Epstein è
un’autentica caduta in un maelstrom di inquietudine, angoscia, paura. Si possono
cogliere quei riferimenti ai testi di Poe, non solo La caduta della Casa degli Usher ma anche Il ritratto ovale o Ligeia,
ma difficilmente potremmo poi fare un esaustivo riassunto di quanto abbiamo
visto. Che, poi, nel caso dei film muti, tutto dipende dalle traduzioni
inserite nelle didascalie, o nelle musiche che vengono scelte per
l’accompagnamento che, al tempo, veniva fatto direttamente nella sala di
proiezione. Particolari secondari, certo, ma suggestivi e, visto che il cinema
muto è un cinema di grande potere evocativo, vanno a incidere in modo comunque
decisivo.
L’edizione diffusa dal Cinema Ritrovato di Bologna risale agli anni
Settanta del secolo scorso ed è, comunque, in questo senso una garanzia,
essendo stata restaurata da Marie Epstein, sorella di Jean e a sua volta
regista. Il sonoro venne a quel tempo curato dall’eminente Roland de Candé, per
la messa in onda all’interno di un programma televisivo francese: difficile
azzardare un’opinione se sia stata una scelta felice e fedele. Quella sonora è sempre
una soluzione un po’ opinabile all’interno del cinema muto, in quanto non sappiamo
quanto può essere strettamente legata agli intenti dell’autore, non avendo un
supporto tecnico che ci faccia da concreto testimone. Tuttavia l’enfasi della
messa in scena puramente visiva di La
caduta della Casa Usher è di tale portata che possiamo anche limitarci a
considerare l’accompagnamento sonoro un semplice dettaglio.
L’espressionismo tedesco, il fenomeno
cinematografico dell’epoca più adatto ad incarnare le storie fantastiche è, ne La caduta della Casa Usher, da parte di
Epstein, volto ad una maggiore influenza d’avanguardia.
Il regista francese insiste sulle trasparenze, sulle sovraimpressioni, dove le
ombre dell’espressionismo creavano piuttosto
una netta separazione tra chiaro e scuro e, riprendendo una certa vaghezza più
tipicamente impressionista, piuttosto
confonde, ipnotizza. L’uso del ralenti,
(quando nel cinema muto era più d’abitudine aumentare la velocità delle
immagini, si pensi alle comiche) è ricercato consapevolmente dall’autore per
piegare ai suoi intendimenti il tempo. Una possibilità concessa al cinema, ma
appunto non così scontata in questo tipo di applicazione, tesa, in questo caso,
ad aumentare la commozione comunicata, dilatando la manifestazione di un volto
che si liberi dai sentimenti, dalle emozioni, cercando cioè di raggelare in
quegli istanti, l’essenza stessa, l’anima,
della vita che abbandona il corpo. Notevole e autorevole anche l’uso del
montaggio, con le inquadrature che intervallano il pizzicare delle corde della
chitarra in modo che, anche senza l’ausilio del sonoro, la sequenza acquisti
comunque il ritmo, o perfino una sorta di musicalità, intesa dall’autore. Ma tutta
l’impostazione generale, l’uso di primi piani sui dettagli particolari, i
volti, le mani, a trasmettere l’ansia e la paura, o le atmosfere angosciose
delle riprese a più ampio respiro, per ammantare tutto il racconto
dell’angoscia tipica della poetica di Poe. E, in questo specifico senso, il
film di Jean Epstein rimane esempio insuperato e, forse, anche insuperabile; ma
non è quello il merito maggiore dell’opera.
Più che la cifra stilistica di Poe,
che comunque potremmo trovare efficacemente nei suoi scritti, quello che La caduta della Casa Usher di Jean
Epstein ci testimonia è si il clima di angoscia, ma quello che comunica non è
tanto quella del poeta americano ma prevalentemente quella che si respirava
all’epoca di uscita del film. Nel 1928, anno a metà strada tra la fine della
prima guerra mondiale e l’inizio della seconda, e di poco precedente alla crisi
mondiale del ’29, era certamente un sentimento che aleggiava come una terribile
premonizione. E la capacità di cogliere questa premonizione e concretizzarla in
un’opera, era peculiarità degli artisti di rango più elevato. Il terrore che
permea La caduta della Casa Usher è
quindi quello di una catastrofe incombente, ben peggiore di quella dalla quale
ci si era illusi di essersi liberati.
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