1675_AMERICA PAESE DI DIO, Italia, 1966. Regia di Luigi Vanzi
I Mondo movie, fino ad allora, si erano concentrati prevalentemente sui paesi esotici, dall’Africa all’Asia e per le isole sparse per gli oceani. Erano infatti quei paesi diversi per cultura, tradizioni e sviluppo, che fornivano maggiori spunti ai produttori degli shockumentary, i documentari sensazionalisti. Certo, anche i paesi occidentali avevano avuto il loro spazio, se si pensa che, proprio dal vecchio continente, con Europa di notte, era partito tutto quanto. Anche gli Stati Uniti, soprattutto grazie alla vivace vita notturna, avevano fornito materiale per i cosiddetti Mondo-sexy, il filone piccante del genere, quello che aveva appunto preso piede in principio, proprio sulle orme del citato capostipite di Alessandro Blasetti. Luigi Varzi aveva già dato il suo contributo, era stato in effetti tra i primi a seguire le orme del veterano del cinema italiano, e con il suo Il mondo di notte aveva allargato l’obiettivo su tutto quanto il globo, introducendo uno sguardo universale in questo particolare tipo di film. Stavolta fa un’operazione, in un certo senso opposta, concentrando cioè il suo obiettivo unicamente sugli Stati Uniti d’America. In effetti, se da un lato il paese a stelle e strisce era, già in quegli anni, la potenza imperialista per antonomasia, all’interno dei propri confini riusciva a mantenere una sorta di isolazionismo per cui, si può ben dire, che costituisse un mondo a sé stante. La struttura del lungometraggio, alla cui regia e a volte accreditato anche Agostino Sansone, è la solita dei Mondo movie, ovvero una serie di segmenti filmati di diversa natura e argomento. Il montaggio di Mario Serandrei, già in sala taglio per Europa di notte e Il mondo di notte, garantisce una sorta di continuità stilistica con il genere. In questo caso, oltretutto, si era, probabilmente, pensato ad evitare di annoiare lo spettatore con approfondimenti troppo specifici; il risultato diviene in parte controproducente, perché proprio l’eccessiva frammentazione e la mancanza di nessi strettamente logici, fanno scemare l’interesse in più di un’occasione. Nei suoi film, Jacopetti era geniale nel mantenere desta l’attenzione, cucendo i vari spezzoni con una miriade di intrecci e rimandi, ora in sintonia ora in distonia. Per America, paese di Dio, viene chiamato addirittura Italo Calvino per scrivere il commento, recitato poi dalla voce italiana più autorevole in abito cinematografico, quella di Emilio Cigoli, abituale doppiatore di John Wayne, Jean Gabin e tantissime altre star, di Hollywood e non. Il risultato non è negativo, ma nemmeno entusiasmante. Gli elementi gettati sullo schermo sono tanti, come detto mai approfonditi a dovere, comunque, perlomeno introdotti con efficacia: si va dai bianchi in condizione di estrema povertà, definiti già all’epoca White-trash, divenuti in seguito famosi per essere l’elettorato che porterà Donald Trump alla casa bianca, all’interessante considerazione che, in America, essere poveri è ritenuta una colpa. In quegli anni Sessanta, la povertà era ancora diffusa ma, curiosamente, non rappresentava la maggioranza del paese, ma una cospicua minoranza, diversi milioni di individui. È chiaro che questo rappresentava un problema quasi senza soluzione: se in un generico paese democratico, essere poveri voleva dire far parte della maggioranza, questo era perlomeno una leva su cui potersi fare valere in ottica politica. Negli Stati Uniti i poveri, essendo minoranza, non avevano quindi neanche voce in capitolo in sede di elezioni. Del resto, secondo la convinzione religiosa più diffusa, quella protestante, la ricchezza era un premio del proprio lavoro –più precisamente, «il successo è il segno tangibile della Grazia di Dio»– e, quindi, chi, oltretutto nel paese delle opportunità, non riuscisse ad emergere, era anche ritenuto giusto che rimanesse in condizione di miseria. In tema religioso il documentario accenna agli Amish, una comunità anabattista particolarmente integralista, poi si passa ai mussulmani neri, con annessa riflessione sulla condizione economica non certo agevole della comunità afroamericana. Interessanti, in questo ambito, il riferimento ai Fatti di Watt, la sommossa nel quartiere di Los Angeles. Al di là dell’episodio che scatenò il putiferio, la questione alla base era quella razziale: dopo sei giorni di duri scontri con le forze dell’ordine, sul terreno rimasero 34 morti e qualche migliaio tra feriti e arrestati. Negli States, una tale violenza, in una situazione simile, era sconosciuta, al tempo –estate del 1965– e verrà superata unicamente nel 1992 con quella che è nota come la Rivolta di Los Angeles. Tra gli altri argomenti trattati da America paese di Dio, val la pena di ricordare la decadenza dell’Appalachia, una volta resa ricca dai giacimenti di carbone, il movimento della «beat generation», tra il Greenwich Village e San Francisco, e le proteste contro la guerra in Vietnam. A questo punto, la domanda sorge lecita: ma America il paese di Dio, è un Mondo movie o un documentario serio, in tutto e per tutto? È un Mondo movie senza alcun dubbio. E a confermarcelo, non sono solo le scene degli strip-tease, o le inquadrature maliziose sul fondoschiena di qualche bella fanciulla. La sequenza della marchiatura del bestiame, e soprattutto del taglio delle corna ai vitelli, con tenaglia o seghetto –quest’ultima davvero pesante– è un pugno allo stomaco degno di Jacopetti.
Al fenomeno dei Mondo Movie, Quando la Città Dorme ha dedicato il secondo volume di studi attraverso il cinema: MONDO MOVIE, AUTOPSIA DI UN GENERE, AUTOPSIA DI PAESE
esatto, è soprattutto il Calvinismo a portare avanti la tesi della ricchezza come "premio" divino (il che conveniva anche in un contesto, quello svizzero di allora, fatto di banchieri...), ciao ;-)
RispondiEliminaCiao Alessandro, sempre un piacere leggere i tuoi commenti. Grazie
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