1498_CAPITAN CONAN (Capitaine Conan). Francia, 1996; Regia di Bertrand Tavernier.
“Un cane lupo non è un lupo”. E’ facile citare la battuta del protagonista,
il Capitan Conan (Philippe Torreton) del titolo, per inquadrare la
questione posta dalla notevole opera di Bertrand Tavernier. Del resto, se si è
visto qualche film western, si può avere già una buona preparazione per
comprendere bene il senso di quelle parole. Non che Capitan Conan sia
ambientato alla frontiera americana, sia chiaro; ci troviamo sul fronte
macedone, confine bulgaro nella Prima Guerra Mondiale, nel 1918,
alla resa dei conti. Qui, più che in altri posti, e proprio come nel Territorio
Indiano del secolo precedente o nelle turbolente città senza legge del Far
West, c’è da sbrigare tanto lavoro sporco. Nei Balcani si combatte
sotto la cintura da secoli e, per chiudere la questione a gente così indurita
dalle avversità, occorrono veri lupi, non cani lupo, per tornare alla frase
citata in apertura. E Conan e il suo reparto di pendagli da forca sono proprio
quello che serve. Uomini duri, spietati, cattivi, quando c’è da combattere. Non
tutti, ma qualcuno di loro, come Conan, ha un suo personale codice d’onore, una
sua coerenza. Ecco, se, come a Tavernier, è la mancanza di coerenza, è
l’ambiguità di fondo, è l’opportunismo viscido a dare più fastidio dell’avere
una natura violenta, allora si è sulla buona strada per comprendere Capitan
Conan. Perché i modi raffinati ed eleganti degli ufficiali, degni
rappresentanti della cultura della belle époque di inizio secolo,
stridono in maniera insopportabile con le bieche azioni richieste e pretese da
Conan e dagli sgherri arruolati nella sua truppa. La cosa peggiore di un
tragico evento come la Grande Guerra è che fu provocato e alimentato da
persone che vivevano in punta di forchetta, disprezzando quel popolo che
mandarono al macello deliberatamente per i propri fini. Non furono i lupi come
Conan, a creare la guerra; loro vi sguazzarono, questo è vero, ma semplicemente
perché era nella loro natura. La coerenza del capitano francese si evince
quando riesce a comprendere la codardia del soldato Erlane (Pierre Val): non si
può accusare un vigliacco di comportarsi da vigliacco.
E’ sommai chi lo comanda
che ha la responsabilità di gestire la sua vigliaccheria. Infatti Conan risolve
sbrigativamente la questione Erlane, alla sua maniera. Una questione che si
trascinava da tempo, avendo il soldato una madre molto influente (Catherine
Rich) che faceva pressioni per scagionare il figlio. Il capitano lo spinge invece
con forza in mezzo alla battaglia, il soldato Erlane muore fronte al nemico
e l’onore è salvo. Cambia forse poco, per la madre e per lo stesso ragazzo;
cambia invece per gli alti ufficiali, che possono gloriarsi di un nuovo
valoroso caduto in battaglia. Per Conan è successo quello che può succedere in
guerra; forse, se fosse dipeso da lui, Erlane non ce lo avrebbe voluto, in
battaglia. Ma piuttosto di farlo finire fucilato per una colpa non sua (la sua
natura), meglio fargli affrontare il nemico. La linearità con cui Conan risolve
questo tema, rispetto agli altri più omologati ufficiali della storia,
evidenzia come la crudeltà della guerra metta non solo le regole della vita
civile, ma anche quelle militari, in crisi. Il tenente De
Scève (Bernard Le Coq) è lo stereotipo del buon ufficiale; valido, fin che
le cose scorrono sui binari prestabiliti, non è in grado di comprendere la
fragilità di un suo soldato e, con la sua stolta supponenza, lo mette in
condizione di sbagliare. Ha ragione Conan, i morti causati dalla viltà di
Erlane pesano maggiormente sulla coscienza del suo superiore.
Anche se questo
non lo si trova scritto nel Codice di Diritto Militare che dànno da
studiare al tenente Norbert (Samuel Le Bihan). Norbert è un bravo ufficiale,
tutt’altro che ottuso ma anzi desideroso di comprendere; in sostanza l’opposto
di De Scève. Ma è proprio lui ad andare maggiormente in difficoltà, quando la
natura violenta di Conan e dei suoi uomini comincia a diventare scomoda e il
comando lo incarica di indagare sulla loro condotta nelle fasi successive
all’armistizio. La rapina al palazzo del ghiaccio, di cui alcuni uomini di
Conan sono fortemente indiziati, è brutale anche nei confronti delle donne
presenti: nonostante ciò, il capitano difende i suoi soldati. Risulta però già
evidente come la loro natura non sia conciliabile con la vita civile e,
nell’amaro finale, ci sarà un’ulteriore conferma. Norbert, che ha combattuto a
fianco di Conan, si trova dunque di fronte all’incoerenza della situazione:
questi uomini sono belve, è vero, ma la loro ferocia, la ferocia che distingue
il guerriero dal soldato, ha permesso di vincere la guerra. E’ stata usata
dagli eleganti e puntuali ufficiali del comando per vincerla, la guerra, ma
adesso questi modi diventavano inaccettabili. Non c’è posto per i lupi, in una
società civile, e questo lo si vede nella triste scena finale, dove Conan, non
più arso dallo spirito della battaglia, è un relitto in preda alla cirrosi. Ma
vale lo stesso discorso fatto per Erlane, non si può condannare un lupo perché
si comporta come un lupo. Quelli che si possono e si devono condannare, sono
quelli che si spacciano per uomini civilizzati, mangiando in ricche tavole
imbandite e in perfetto orario ma la cui anima è una fogna oscura.
Catherine Rich
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