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sabato 15 giugno 2024

CAPITAN CONAN

1498_CAPITAN CONAN (Capitaine Conan). Francia, 1996; Regia di Bertrand Tavernier.

“Un cane lupo non è un lupo”. E’ facile citare la battuta del protagonista, il Capitan Conan (Philippe Torreton) del titolo, per inquadrare la questione posta dalla notevole opera di Bertrand Tavernier. Del resto, se si è visto qualche film western, si può avere già una buona preparazione per comprendere bene il senso di quelle parole. Non che Capitan Conan sia ambientato alla frontiera americana, sia chiaro; ci troviamo sul fronte macedone, confine bulgaro nella Prima Guerra Mondiale, nel 1918, alla resa dei conti. Qui, più che in altri posti, e proprio come nel Territorio Indiano del secolo precedente o nelle turbolente città senza legge del Far West, c’è da sbrigare tanto lavoro sporco. Nei Balcani si combatte sotto la cintura da secoli e, per chiudere la questione a gente così indurita dalle avversità, occorrono veri lupi, non cani lupo, per tornare alla frase citata in apertura. E Conan e il suo reparto di pendagli da forca sono proprio quello che serve. Uomini duri, spietati, cattivi, quando c’è da combattere. Non tutti, ma qualcuno di loro, come Conan, ha un suo personale codice d’onore, una sua coerenza. Ecco, se, come a Tavernier, è la mancanza di coerenza, è l’ambiguità di fondo, è l’opportunismo viscido a dare più fastidio dell’avere una natura violenta, allora si è sulla buona strada per comprendere Capitan Conan. Perché i modi raffinati ed eleganti degli ufficiali, degni rappresentanti della cultura della belle époque di inizio secolo, stridono in maniera insopportabile con le bieche azioni richieste e pretese da Conan e dagli sgherri arruolati nella sua truppa. La cosa peggiore di un tragico evento come la Grande Guerra è che fu provocato e alimentato da persone che vivevano in punta di forchetta, disprezzando quel popolo che mandarono al macello deliberatamente per i propri fini. Non furono i lupi come Conan, a creare la guerra; loro vi sguazzarono, questo è vero, ma semplicemente perché era nella loro natura. La coerenza del capitano francese si evince quando riesce a comprendere la codardia del soldato Erlane (Pierre Val): non si può accusare un vigliacco di comportarsi da vigliacco. 

E’ sommai chi lo comanda che ha la responsabilità di gestire la sua vigliaccheria. Infatti Conan risolve sbrigativamente la questione Erlane, alla sua maniera. Una questione che si trascinava da tempo, avendo il soldato una madre molto influente (Catherine Rich) che faceva pressioni per scagionare il figlio. Il capitano lo spinge invece con forza in mezzo alla battaglia, il soldato Erlane muore fronte al nemico e l’onore è salvo. Cambia forse poco, per la madre e per lo stesso ragazzo; cambia invece per gli alti ufficiali, che possono gloriarsi di un nuovo valoroso caduto in battaglia. Per Conan è successo quello che può succedere in guerra; forse, se fosse dipeso da lui, Erlane non ce lo avrebbe voluto, in battaglia. Ma piuttosto di farlo finire fucilato per una colpa non sua (la sua natura), meglio fargli affrontare il nemico. La linearità con cui Conan risolve questo tema, rispetto agli altri più omologati ufficiali della storia, evidenzia come la crudeltà della guerra metta non solo le regole della vita civile, ma anche quelle militari, in crisi. Il tenente De Scève (Bernard Le Coq) è lo stereotipo del buon ufficiale; valido, fin che le cose scorrono sui binari prestabiliti, non è in grado di comprendere la fragilità di un suo soldato e, con la sua stolta supponenza, lo mette in condizione di sbagliare. Ha ragione Conan, i morti causati dalla viltà di Erlane pesano maggiormente sulla coscienza del suo superiore. 

Anche se questo non lo si trova scritto nel Codice di Diritto Militare che dànno da studiare al tenente Norbert (Samuel Le Bihan). Norbert è un bravo ufficiale, tutt’altro che ottuso ma anzi desideroso di comprendere; in sostanza l’opposto di De Scève. Ma è proprio lui ad andare maggiormente in difficoltà, quando la natura violenta di Conan e dei suoi uomini comincia a diventare scomoda e il comando lo incarica di indagare sulla loro condotta nelle fasi successive all’armistizio. La rapina al palazzo del ghiaccio, di cui alcuni uomini di Conan sono fortemente indiziati, è brutale anche nei confronti delle donne presenti: nonostante ciò, il capitano difende i suoi soldati. Risulta però già evidente come la loro natura non sia conciliabile con la vita civile e, nell’amaro finale, ci sarà un’ulteriore conferma. Norbert, che ha combattuto a fianco di Conan, si trova dunque di fronte all’incoerenza della situazione: questi uomini sono belve, è vero, ma la loro ferocia, la ferocia che distingue il guerriero dal soldato, ha permesso di vincere la guerra. E’ stata usata dagli eleganti e puntuali ufficiali del comando per vincerla, la guerra, ma adesso questi modi diventavano inaccettabili. Non c’è posto per i lupi, in una società civile, e questo lo si vede nella triste scena finale, dove Conan, non più arso dallo spirito della battaglia, è un relitto in preda alla cirrosi. Ma vale lo stesso discorso fatto per Erlane, non si può condannare un lupo perché si comporta come un lupo. Quelli che si possono e si devono condannare, sono quelli che si spacciano per uomini civilizzati, mangiando in ricche tavole imbandite e in perfetto orario ma la cui anima è una fogna oscura.   




Catherine Rich 


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