1495_120 . Turchia, 2008; Regia di Ozhan Eren e Murat Saraçoglu.
Stando al titolo, che fa riferimento al numero di membri della spedizione al centro del lungometraggio, l’obiettivo principale di 120 è uno dei tragici episodi occorsi in Turchia durante la Prima Guerra Mondiale. Durante la battaglia di Sarıkamış gli ottomani erano rimasti a corto di munizioni; nonostante sembri probabile anche dalla storia raccontata dal film che non fosse solo quello il problema quanto una generale inadeguatezza a fronte della potenza dell’esercito russo, al villaggio di Van si prese una decisione che lascia sbigottiti. Furono infatti spediti, pur tra i lamenti e i pianti degli anziani e delle donne del villaggio, centoventi (120, appunto come il titolo del film) ragazzini tra i 12 e i 17 anni a portare le munizioni in prima linea. Si trattava di un percorso lungo e faticoso e reso oltremodo duro dal rigido inverno dei monti caucasici; il sacrificio dei ragazzini, che perlopiù morirono per la fatica, il freddo, gli attacchi subiti o eventualmente per i postumi, fu inutile in quanto i russi vinsero comunque la battaglia. Può essere che, in senso eroico patriottico, anche la sconfitta sia però utile alla causa e, quindi, le lacrime di commozione di quello spettatore a cui è evidentemente rivolto il film siano ulteriormente alimentate dalla sostanziale inutilità dell’operazione. Per il pubblico comune probabilmente rimane una tragedia impossibile da accettare, a prescindere dall’esito militare dell’azione: già la guerra è ben più che difficile da comprendere e giustificare, ma il coinvolgimento attivo di bambini (12 anni!) non è da prendere nemmeno in considerazione in sede di riflessione. Per carità, esempi analoghi ci sono stati purtroppo altre volte ad ogni latitudine (non quantitativamente, forse, e in effetti è lì che mette l’accento lo stesso titolo del film): sono episodi che vanno sempre stigmatizzati senza indugio. La guerra, se proprio si deve fare, deve riguardare i militari; la popolazione civili, e ancora di più i minori, devono essere lasciati fuori dalle dispute belliche. Tuttavia l’impressione che sorge, almeno allo spettatore esterno e non direttamente coinvolto, è che l’operazione narrativa sia una sorta di cavallo di Troia.
Cioè, si parla di un evento di grandissimo impatto emotivo come i centoventi ragazzini mandati al sacrificio, per far passare qualche osservazione sulla questione armena senza troppo clamore. Si sa che a livello internazionale si tende a ricordare quella storia col nome di genocidio armeno, definizione mai accettata dai turchi. Gli autori Özhan Eren e Murat Saraçoglu impostano il loro discorso con un approccio soft: nel paese di Van c’è infatti un dottore armeno che non ha problemi a curare i turchi. Alcuni, tra gli stessi turchi, vedono male le visite del dottore presso le famiglie turche e il fatto che sia un ragazzino a manifestare l’insofferenza per l’armeno ci dà l’idea di quanto fosse radicata l’intolleranza tra le parti in causa. Ma saranno gli uomini dell’Hunchakian, il movimento che si batteva per l’indipendenza armena, a minacciare il dottore collaborazionista se insiste a non occuparsi dei soli armeni e, quindi, addirittura ad ucciderlo. La stessa intenzione dell’Hunchakian di allearsi coi russi per combattere dall’interno contro l’Impero Ottomano è sottolineata, quasi a giustificare la repressione turca che verrà poi definita, almeno a livello internazionale, col controverso termine di genocidio. La stessa rappresentazione delle persone nel film è particolarmente di parte: gli occhi chiari della bella Munire (Özge Özberk) e la sobria virilità di Suleyman (Cansel Elcin) non possono certo essere paragonati alla rozza stilizzazione dei ribelli dell’Hunchakian, ma questo è anche legittimo per un’opera che, pur se cercando di oscurare il suo vero scopo, rimane comunque un tipico esempio di film di propaganda, come se ne sono sempre fatti a bizzeffe anche altrove. Il punto è che i film di propaganda, o similari, spesso non sono altro che la forma cinematografica del famoso detto latino excusatio non petita…
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