1494_LA FUGA (Escape). Stati Uniti, 1971; Regia di John Llewellyn Moxey.
Tra le novità che la televisione dei primi anni Settanta andava sperimentando, c’erano le serie di telefilm, un format, anzi ‘il format’ per eccellenza di quel periodo storico che si andava aprendo. Spesso, per comprendere se una serie poteva funzionare o meno, si realizzava un episodio pilota, in genere un film televisivo che poteva avere quindi una durata leggermente superiore del canonico episodio della serie in progetto. In base al riscontro del pubblico si decideva quindi se mettere in cantiere la suddetta serie. La Fuga, evidentemente, non deve avere avuto il supporto del pubblico necessario visto che è rimasto un singolo Movie of the Week messo in onda dalla rete televisiva ABC, anche se sia i titoli di testa sia alcuni dettagli narrativi lasciano intravvedere le possibilità di una sua serializzazione. A dirigerlo venne chiamato John Llewellyn Moxey che si era già cimentato l’anno precedente con un film televisivo con il positivo La casa che non voleva morire, un classico horror. In effetti Moxey aveva una buona esperienza con i thriller e i gialli a tinte forti tratti da Edgar Wallace mentre La fuga era una storia d’azione – le tante scazzottate – con giusto una piccola spruzzata di fantascienza – il virus sintetizzato in laboratorio – ed una sostanziale assenza di spessore. In effetti i titoli di testa con le siluette ammettono esplicitamente che i personaggi sono solo figurine, mentre il tono disimpegnato dell’opera è evidenziato dal finale nel parco giochi Happyland. Qui, tra l’altro, il protagonista Cameron Steele (il valido Christopher George) non perde l’occasione per giocare con un fucile ad aria compressa, mentre l’atto conclusivo avviene sulle montagne russe, dove si scontra con il cattivo, il dottor Charles Walding (John Vernon). Il tema del gioco ritorna anche nei dialoghi telefonici tra Steele e una certa Pamela, il gioco del gin, mentre nel lussuoso appartamento del protagonista la sua spalla Nicholas (Avery Schreiber) insegna il bigliardo alla bella della storia, Susan (Marlyn Mason).
La ragazza è nipote del malvagio dottor Charles e figlia del più capace, ma buono, dottor Henry Walding (William Wildom). Henry chiede la protezione di Steele, sorta di agente privato, ma viene ugualmente rapito dagli uomini del fratello. Il quale si era fatto credere morto in un incendio, incolpando lo stesso Henry mentre con la complicità della moglie Evelyn (la divina Gloria Grahame, solo in un cameo ma ancora affascinante) spremeva soldi ad un senatore per finanziare un diabolico laboratorio. Per ammissione dello stesso Nicholas, in uno dei dialoghi, la storia puzza un po’ di fantascienza ma quella di certe spy-story per essere precisi. I debiti maggiori del film sono infatti verso la saga dell’Agente Segreto 007 e, a questo proposito Moxey, come bagaglio di esperienza, poteva vantare il bell’incipit de Il lungo coltello di Londra. Un paio di pennellate, la presentazione del protagonista e l’accenno al Martini come drink, confermano il tributo alla spia più famosa al mondo. Nelle scene d’azione c’è anche un rimando, sottolineato dalle inquadrature e soprattutto dalla musica, al Batman televisivo degli anni Sessanta, quello interpretato da Adam West per intenderci, che rincara il lato scanzonato del racconto. La caratteristica principale del protagonista, a cui si deve il titolo dell’opera, è l’escapologia – ovvero la capacità di liberarsi una volta legato – che il nostro ha modo di mettere in pratica subito in avvio del film – molto bene Moxey nelle scene sott’acqua – e nel momento cruciale. In questo aspetto tanto la fisicità di George è convincente, quanto Moxey è abile ad alimentare la tensione scandendo lo scorrere del tempo con il montaggio alternato, anche con tre piani del racconto diversi che procedono inesorabilmente togliendo il fiato allo spettatore. La capacità narrativa del regista inglese è infatti sopraffina ed è esaltata dal racconto adrenalinico che, peraltro, non lascia particolare traccia una volta esaurito. Che è un po’ il limite di questo La fuga: un film che non si fa ricordare, pur essendo appassionante ed avendo una piacevole e confortevole ambientazione. Sarà probabilmente uno degli aspetti di questo nuovo tipo di racconto filmico: per generi già troppo leggeri, come appunto il testo di pura azione, il film Tv finisce per esasperare questa sua intrinseca mancanza di spessore.
e vabbè... scappati di casa e nulla più... :P
RispondiElimina:D
RispondiElimina