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sabato 1 giugno 2024

IL POSTIGLIONE DELLA STEPPA

1491_IL POSTIGLIONE DELLA STEPPA (Der Postmeister). Germania, 1940; Regia di Gustav Ucicky.

Nel 1940 la Germania era ancora sotto il giogo nazista e il suo cinema era totalmente impoverito dalla diaspora che interessò tutti i maggiori cineasti del paese, emigrati per non sottostare al controllo della propaganda di regime. L’aspetto storico forse c’entra anche con la scelta dell’ambientazione russa, di questo Il postiglione della steppa, perché, in quel tempo, era ancora vigente il patto di non aggressione alla Russia da parte dei nazisti. In sostanza, in Germania, all’epoca, prendere come soggetto un racconto di Aleksandr Puškin, poteva quindi concordare con la politica estera di Berlino. Fatto sta che per l’adattamento cinematografico de Il mastro di posta venne chiamato Gustav Ucicky, regista austriaco divenuto cineasta ufficiale del Terzo Reich, e autore di più di un film di smaccata propaganda di regime. Va detto, per altro, che Ucicky era un valido regista, dal punto di vista tecnico, come si può stabilire da questo eccellente Il postiglione della steppa ma anche dal precedente L’inferno dei mari (1933, titolo originale Morgenrot). Certo, alla sua reputazione, nel corso degli anni, non avrà giovato la sua adesione al nazismo, ma, da un punto di vista tecnico artistico, Ucicky era cineasta che sembra sapesse fare il suo dovere. Come detto, Il postiglione della steppa è un film che sorprende per la sua qualità. La sceneggiatura che Gerhard Menzel trae dal racconto di Puškin è articolata, il film inizia e finisce allo stesso modo ed è visto interamente in un lungo flashback, ma fila come le slitte sulla neve del racconto. Pregevoli, sia la fotografia in bianco e nero, di Hans Schneeberger, che la musica di Willy Schmidt-Gentner, e anche il cast ha il suo ruolo, nella riuscita dell’opera. In particolare Heinrich George, nei panni del postiglione del titolo, ma, soprattutto, Hilde Krahl in quelli di sua figlia Dunja. La Krahl illumina lo schermo ad ogni apparizione con una bellezza davvero moderna, per l’epoca, e rimane un mistero come non sia riuscita, nella carriera, a raggiungere una maggiore notorietà. 

Dal momento che il film è visto interamente in flashback, che si apre poco dopo che il postiglione compiange la figlia morta prematuramente, è chiaro sin dall’inizio che ogni possibile lieto fine, considerato che Dunja è la protagonista femminile, sia precluso. Forse anche questo è un elemento che si può collegare al momento storico della Germania, e sulle reali prospettive ottimistiche che aleggiavano nel paese durante la Seconda Guerra Mondiale. In ogni caso, tornando al racconto filmico, apprendiamo dall’ufficiale russo Mitja (Hans Holt) che, anni prima, alla stazione per il cambio dei cavalli in cui comincia l’avventura, era passato l’alto ufficiale Minskij (Sigfried Breuer) che si era innamorato a prima vista di Dunja, tanto da portarsela con sé a San Pietroburgo. La ragazza, bellissima, aveva colto al volo l’occasione, stupendo l’ingenuo padre, convinto, al contrario, che la ragazza non avrebbe mai accettato un’offerta tanto avventata. In effetti, poi, a San Pietroburgo, le cose tra Minskij e Dunja non andranno propriamente per il verso giusto, con quest’ultima che si dedicherà alle prevedibili attività che una bella ragazza di provincia poteva trovare facilmente in una grande città. Ucicky, per la verità, va giù piatto, attraverso le parole di Pjotr (Franz Pfaudler), lo stalliere della stazione, che definisce “puttana” senza mezzi termini la ragazza da quando si è trasferita a San Pietroburgo. 

Del resto, il film è sorprendente, per la modernità con cui affronta certi passaggi: anche quello tenero in cui il padre cerca di trovare le parole adatte per far capire alla sua Dunja cosa l’attende alla prima notte di nozze, ignorando che la dolce fanciulla si era trasformata nel frattempo in una “ragazza di vita”. La parte più bella e toccante dell’intero racconto è basata proprio sullo spietato inganno perpetrato da Dunja ai danni del padre: questi, appreso fortuitamente dal suo stalliere che sua figlia si prostituisce anziché essere finita in sposa a Minskij, si precipita a San Pietroburgo, facendo il diavolo a quattro. La prestazione di Heinrich George è stratosferica, sia per la foga che per la patetica ingenuità che dimostrerà, soprattutto in questa fase. Dunja, nel frattempo, si era, per così dire, redenta, fidanzandosi con il cadetto Mitja, colui che vediamo, ormai divenuto ufficiale, nella cornice narrativa esterna ai flashback, raccontare gli avvenimenti. Accortamente, tornando agli avvenimenti narrati nel flashback, la ragazza, in modo un po’ opportunistico, aveva evitato accuratamente di informare il giovane aspirante ufficiale della sua precedente attività. Ora, però, si trovava nei guai perché non poteva certo mettersi a spiegare una situazione così ingarbugliata al padre, uomo semplice e diretto. 

Per evitarsi noie e, anche, si può crederle, dispiaceri al genitore, tornava quindi da Minskji, che ne era ancora innamorato follemente, chiedendo di organizzare un finto matrimonio per tranquillizzare il vecchio padre. Alla pseudo-festa di nozze sono quindi invitati molti ufficiali, tra i quali, pare, numerosi erano stati vittime della giovane mantide della steppa e, in luogo di dame e principesse, vengono coinvolte altre ragazze di virtù assai discutibile. Tra queste, la più esuberante è Masha a cui Margit Symo, in precedenza, nel lungometraggio, aveva regalato una folgorante performance in topless, davvero spiazzante considerato l’epoca. Il povero postiglione è preso, quindi, in mezzo da tutte queste allegre persone, pienamente consapevoli del fatto che la figlia gli stia tirando un tiro mancino, mentre lui, ingenuamente, è al settimo cielo: la sua Dunja sposata ad un ufficiale ussaro! L’imprevisto arrivo di Mitja alla festa fa precipitare le cose, sebbene il vecchio postiglione venga liquidato senza che riesca a comprendere bene cosa possa essere successo. Messo sul treno che lo riporti a casa, nella steppa, per Dunja è il momento della verità: con Mitja è finita, con Minskij, in fondo, non è mai iniziata. In mezzo a questi tormenti amorosi, il senso di colpa la divora: la bugia al padre, l’umiliazione inflittagli di fronte a tutta quella gente, gente di scarso valore come Masha, una volgare prostituta. Ma, più di tutto, la sua vita dissoluta. Dunja è però un’eroina tragica, seppure con le sue debolezze e il suo opportunismo, non un personaggetto di scarso valore. Oltretutto, Hilde Krahl ne tratteggia sullo schermo una figura indimenticabile. La soluzione per uscire dalla situazione in cui si è cacciata, è degna di un ufficiale di alto grado, nonché titolo di un altro racconto di Puškin: un colpo di pistola. Decisamente un personaggio moderno.    






 Hilde Krahl 





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