1484_IL LADRO DI PESCHE (Kradetzat na praskoi). Bulgaria, 1964; Regia di Vulo Radev.
C’è una sospensione, ne Il ladro di pesche, che è il vero punto nevralgico del notevole film di Vulo Radev. La storia dell’amore clandestino raccontata dal film rimane infatti inespressa, anche narrativamente; ma questo potenziale creato abilmente e poi lasciato lì, a gravare sulle percezioni dello spettatore, ci rende esattamente la sensazione senza sbocco, senza speranza, della società bulgara, e balcanica in generale, alla fine della Prima Guerra Mondiale (e probabilmente anche in seguito, visto che il film è del 1964). Il ladro di pesche è un dramma sentimentale, certo, ma è anche un film bellico, perché la guerra rappresenta l’elemento che si frappone fra le donne e gli uomini e la loro felicità. Prima Guerra Mondiale, si diceva; il tenente serbo Ivo Obrenovich (Rade Markovi), prigioniero di guerra, esce dal campo di detenzione per andare a rubare le pesche nel giardino del comandante del presidio (Mikhail Mikhaylov). Tanto il colonnello, nonostante la guerra stia per finire e la Bulgaria stia per essere inevitabilmente sopraffatta, è scrupoloso nei suoi doveri militari ed è perennemente impegnato ad assolverli. Anche troppo; la bella moglie Elisaveta (un’intensa Nevena Kokanova) oltre che triste e trascurata, è anche una persona di grande umanità e quando sorprende Ivo a cogliere le sue pesche, gli offre un po’ di cibo. In fondo i prigionieri sono uomini, anche se per il marito sono solo un problema di cui si deve occupare in quanto a capo del campo di detenzione. Insomma, il colonnello è un militare al di là del grado e della divisa, lo è convintamente e questo non gli permette di capire le necessità umane della moglie. Ivo, invece, nella vita civile è un insegnante e ha una diversa vitalità, totalmente frustrata dalla vita militare e dalla inattività della reclusione. L’incontro con Elisaveta diventa quindi un indispensabile aiuto per sopportare la prigionia, così come anche la donna ne resta turbata. Con queste premesse, è naturale che gli incontri si ripetano nonostante il tentativo di ritrosia della donna, sconfinando in una vera e propria storia d’amore, più suggerita dalla messa in scena di Radev che mostrata.
Il regista bulgaro tiene sobriamente le redini del racconto affidandosi, per incendiare la storia, alla potenza del bianco e nero della fotografia, alla musica che si fa dirompente, alla costruzione delle immagini nell’inquadratura. La Storia è usata per alimentare la sensazione di pericolo e di impossibilità che la traccia sentimentale in primo piano suscitava: una relazione tra un prigioniero e la triste moglie di un colonnello nemico non ha troppe chances di felicità, è evidente. Ma i moti di insubordinazione dei militari bulgari, stremati da anni di continue pesantissime guerre (appena prima di quella mondiale c’erano state quelle balcaniche), il diffondersi del tifo, le assurde pretese di disciplina dell’autoritario colonnello, la condizione disperata dei detenuti, sono ulteriori elementi che contribuiscono a tratteggiare un quadro davvero senza alcuna speranza. Il tenore trattenuto del racconto evita però di tracimare, in questo senso, ad esempio grazie alla presenza del prigioniero francese che dispensa un po’ di lieve ironia sulla scena. Il racconto ha anche una valenza simbolica, vertendo su un amore impossibile tra un serbo e una bulgara, due persone appartenenti ai tempi a paesi nemici e a cui la Storia non riserverà un futuro particolarmente roseo. Che Ivo venga però finisca ammazzato in qualità di ladro di pesche, anziché di amante, è un’ulteriore crudele finezza del racconto. Significativamente il colonnello, nonostante i sospetti per il cambiamento di umore della moglie, non ne scopre la tresca; e il tenente serbo è ucciso dal sorvegliante del giardino, che aveva avuto il compito di sparare a chiunque tentasse di rubarne di nuovo la frutta. Ivo muore quindi non nei panni dell’amante di una tragedia romantica, ma in quello di un banale ladro da quattro soldi. Nel 1964, in Bulgaria, nonostante fossero passati oltre quarant’anni dai tempi mostrati nel film, evidentemente non rimaneva nemmeno la speranza per un finale tragico.
Nevena Kokanova
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