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martedì 7 maggio 2024

SOLDATI A CAVALLO

1478_SOLDATI A CAVALLO (The Horse Soldiers). Stati Uniti 1959; Regia di John Ford.

Soldati a cavallo è, com’è facilmente intuibile, un film sulla cavalleria americana a cui il regista John Ford aveva già dedicato, una decina di anni prima, non uno ma, bensì, tre film (Il massacro di Fort Apache, 1948, I cavalieri del nord-ovest,’49 e Rio Bravo, ’50). Quei tre film, praticamente una trilogia, probabilmente soddisfecero una sorta di esigenza urgente di Ford, che nel giro di tre anni esplorò in modo così approfondito il tema. Sorprende, in un certo senso, che il regista ci torni ancora, anche se dopo un periodo più lungo; il titolo, sebbene eredità del libro da cui è tratto il soggetto, è comunque abbastanza esplicito. Ed è importante, questo aspetto, perché poi il film racconta di una missione durante la Guerra Civile Americana, e non l’abituale contesto in cui viene vista all’opera la Cavalleria degli Stati Uniti, ovvero le Guerre Indiane. Rispetto ai tre precedenti, quello che vediamo in questo film è quindi una sorta di ribaltamento, naturalmente non proprio speculare: là si avanzava verso ovest, qui ci si dirige a sud.
Un ribaltamento più netto, questo sì quasi a 180°, Ford ce lo mostra sotto un altro aspetto: nelle guerre indiane, la cavalleria portava il progresso, rendeva praticabile il Sogno Americano, permetteva la civilizzazione delle terre dell’ovest. In Soldati a cavallo le giacche blu portano invece distruzione e una sorta di ritorno all’imbarbarimento: distruggono ponti e stazioni, ferrovie, e i soldati, ubriachi di eccitazione e di alcool, esattamente come molti indiani mostrati al cinema, danno addirittura fuoco ad un paese. C’è certamente un critica alla stupidità delle guerra, in questo, ma la contrapposizione tra il civilizzato sud e il barbaro nord è rimarcata, soprattutto nella scena in cui i cavalleggeri irrompono nella residenza di Miss Hannah Hunters (Costance Towers): il colonnello Marlowe (John Wayne) accompagnato dal sergente maggiore Kirby (Judson Pratt) una volta entrati nella lussuosa abitazione appaiono sporchi e impolverati e non si levano il cappello nemmeno quando arriva la padrona di casa; il sottoufficiale poi si supera, cercando platealmente una sputacchiera che non può esserci in una simile dimora. Insomma appaiono palesemente fuori posto, troppo rozzi per un luogo così raffinato.

A salvare il livello di educazione della truppa ci pensa l’ufficiale sanitario, il maggiore Kendall (William Holden), che però subordina esplicitamente e a più riprese, la sua appartenenza alla cavalleria a quella ben più importante dell’ordine dei medici. E, volendo, anche il colonnello Secord (Willis Bouchey) sembra avere modi acculturati, e anch’esso antepone un altro senso di appartenenza rispetto a quello militare: è infatti un politico, e tutto ciò che fa lo fa nell’ottica di accrescere il proprio prestigio in vista della carriera politica. In sostanza non ci fa una gran figura e la sua presenza sembra quasi equilibrare quella certamente positiva del medico, mantenendo il bilancio nordista molto carente in ottica culturale. La questione razziale intrinseca alla Guerra Civile, centrale nell’ottica storica dal punto di vista europeo, rimane per Ford un po’ sullo sfondo; c’è anzi quasi simpatia per il Sud, per il senso dell’onore confederato, mostrato in più occasioni: si veda a questo proposito l’anziano ufficiale catturato dai due ribelli, la carica suicida del Colonnello Miles, e l’assurda offensiva dei cadetti. 

Quest’ultima sequenza è quasi comica, e vede protagonisti i ragazzini di una scuola militare che caricano a piedi la cavalleria nordista, che, per puro buon senso, è costretta alla fuga pur di non ingaggiare conflitto con quei bambini in candida divisa. Tutto sommato questo rimarca l’integrità morale dell’eroe, che in ogni caso rimane nordista, e questo è sicuramente un punto da tenere in considerazione; ma sembra che Ford approfitti dell’ambientazione nella Guerra Civile per dimostrare che anche l’eroe americano per eccellenza (John Wayne) può stare dalla parte del torto, come dimostra la crisi di coscienza del colonnello Marlowe che si ubriaca in seguito alla devastazione portata dai suoi. Forse una critica alla cavalleria, emblema e simbolo dell’America, in un film con gli indiani sarebbe stata troppo, e quindi l’ambientazione è diversa; ma alcuni atteggiamenti degli yankee riprendono le incursioni pellerossa, come abbiamo già detto, e in ogni caso la vita militare è completamente spogliata di quegli aspetti famigliari che contraddistinguevano i film della trilogia.  
Insomma, un Ford sempre notevole come narrazione e eccellente anche dal punto di vista dell’accompagnamento sonoro: le note di I left my love introducono e ci accompagnano nel film. Bellissima la scena sui titoli di testa, dove i cavalleggeri sfilano in controluce sopra la ferrovia, richiamando un po’ l’effetto dello scorrere di una pellicola e soprattutto l’argomento del film, ovvero il tema militare (la cavalleria) che calpesta quello civile (la ferrovia) allo stesso modo in cui il colonnello Marlowe distrugge quella strada ferrata che da borghese invece si dedica col suo lavoro a costruire.  Qualche debolezza la pellicola la mostra nelle motivazioni dell’odio verso i medici provato da Marlowe, e dalla sua storia d’amore con Miss Hunters: temi i cui presupposti e sviluppi sono trattati in modo troppo superficiale, e alla fine risultano più dannosi che di supporto alla resa finale.
Ma nel complesso, un ottimo film. Del resto è un John Ford.







Constance Towers 




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2 commenti:

  1. Bell'analisi, Giorgio!
    Mi piace quando un regista torna sui propri temi prediletti, ma lo fa per rileggerli in un' ottica nuova... 🙋🏻‍♂️

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  2. Grazie, Alex! Beh, John Ford è pur sempre John Ford.

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