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mercoledì 3 gennaio 2024

PIKOVAYA DAMA - LA DAMA DI PICCHE (1916)

1416_PIKOVAYA DAMA - LA DAMA DI PICCHE (Pikovaya Dama). Russia 1916; Regia di Jakov Protazanov.

Dopo un cortometraggio del 1910, la prima vera e completa trasposizione cinematografica de La Dama di Picche, romanzo di Aleksandr Puškin del 1834, arrivò già nel 1916, per mano di Jakov Protazanov. Il suo Pikovaya Dama era naturalmente un film muto, e, nonostante i limiti di una produzione che risale agli arbori della Settima Arte, è un’opera sorprendente. Intanto va ricordato che Protazanov fu uno dei maestri del cinema russo in assoluto e del periodo prerivoluzionario –a cui appartiene anche Pikovaya Dama– nello specifico. Nella sceneggiatura fu affiancato da Fёdor Ocep, autore di discreto rango che, nel 1937, metterà a frutto questa esperienza dirigendo Il demone del giuoco, la sua versione del libro di Puškin. Un altro importante cineasta russo coinvolto nel progetto fu Joseph N. Ermolieff, produttore che, con la Rivoluzione, avrebbe proseguito in esilio, in occidente, la sua carriera, tornando spesso, con i suoi film, a raccontare del paese natio. Del resto, il testo all’origine era un caposaldo della letteratura e non andava certo preso a cuor leggero. Protazanov in regia, sul momento, sembra piuttosto diligente, in linea con le conoscenze dell’epoca: in pratica tenendo la macchina da presa di Yevgeni Slavinsky fissa, quasi stesse riprendendo una rappresentazione teatrale. In realtà la messa in scena del film è accuratamente studiata utilizzando come spunto le illustrazioni che Alexandre Benois, aveva in precedenza realizzato per una pubblicazione del libro di Puškin [Vittorio Renzi, 8 novembre 2015, sul sito Garden of Silence, post del 30 dicembre 2018, Pikovaja Dama]. In ogni caso, Protazanov, mette in campo una serie di espedienti tecnico narrativi per cercare di allontanarsi dalla mera rappresentazione dei fatti di stampo teatrale e, soprattutto, considerando che il film è del 1916, ci riserva soluzioni registiche davvero audaci e sorprendenti. Come l’utilizzo di un primordiale split-screen, ottenuto mediante una sovraimpressione, oppure la sequenza nella quale la vecchia contessa (Yelizaveta Shebueva) rivive in sogno il suo romantico passato: delle due dissolvenze che racchiudono la fase onirica, soprattutto la seconda è di rara efficacia, introducendo sulla scena, al posto dell’antico amante, il losco protagonista della storia, Hermann (Ivan Mozžuchin). Inoltre, a sottolineare che l’inserto non è nel piano temporale del resto del racconto, per tutti gli oltre tre minuti non c’è nessuna didascalia. Nel finale, ci sono altre due audaci scene con l’utilizzo di sovraimpressioni: la prima quando, nella fatale carta da gioco della Donna di Picche, Hermann vede il sinistro ghigno della vecchia contessa, e poi, proprio in chiusura, quando l’inquietante nobildonna gli compare al manicomio. 

Tra le altre, con il racconto che ha ormai preso una deriva onirica, un’altra scena memorabile è, sempre verso la fine, quando Herman si vede avvolto da una gigantesca ragnatela su cui si muove un enorme ragno che, per quanto posticcio, fa comunque la sua figura. Tra i personaggi, oltre al protagonista –che Puškin descriveva come una sorta di incrocio tra Napoleone e Mefistofele– interpretato da Mozžuchin con ottima presenza scenica, merita una citazione anche Vera Orlova nei panni di Lizaveta, la dama di compagnia della contessa raggirata da Hermann. Notevoli le scenografie e i costumi, quest’ultimi elementi voluminosi della storia in quanto la contessa si ostina a sfoggiare i più sfarzosi abiti del suo guardaroba, anche se ormai è solo una vecchia decrepita. Il racconto di Puškin è ben rispettato dalla sceneggiatura del film ma, soprattutto, è la messa in scena opprimente, le immagini colme di dettagli, a coglierne lo spirito. Le opulenti stanze della contessa, adorne di tappezzerie e poi specchi, quadri, cornici finemente decorate ovunque, le sale da gioco affollate dalle tante teste imparruccate, perfino una semplice strada, gronda particolari: le finestre con le grate, le delicate lanterne dei lampioni, la neve calpestata sul selciato. E, come detto, i costumi, in particolare quelli della contessa, così ingombranti da poter essere considerati parte della scenografia. In tutto questo opprimente panorama, la luce fatica a farsi largo ma, nel farsi strada, spesso a fatica, scandisce lo spazio e le forme, abilmente gestita da Protazanov che, nel complesso, vince decisamente la sua partita. E senza ricorrere a misteriosi segreti.  






Vera Orlova 


Tamar Duvan 

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