1420_FACE OF A STRANGER . Regno Unito 1964; Regia di John Lewellyn Moxey.
In un’ipotetica graduatoria tra i migliori film televisivi della serie The Edgar Wallace Mysteries, Face of a Stranger sarebbe certo tra i favoriti. Il che è in parte sorprendente perché per buona parte del lungometraggio si ha l’impressione di essere di fronte ad una storia che verta su una grossolana ingenuità narrativa. Certo, il fatto che la regia sia del valido John Llewellyn Moxey ci pone più di un dubbio, ma davvero si fatica a credere che una donna, seppur divenuta cieca, non sappia riconoscere suo marito dopo pochi anni di lontananza. La ragazza non vedente in questione è Mary (Rosemary Leach) e suo marito John (Philip Locke) è in carcere, anche se ha quasi scontato la pena di pochi anni. In cella John ha fatto amicizia con Vince (Jeremy Kemp), anch’egli in prossimità di finire il soggiorno al fresco. Una leggerezza di John, la detenzione di un coltello, gli costa altri tre mesi; l’uomo incarica l’amico di andare a trovare sua moglie, per tranquillizzarla visto che dovrà aspettarlo altri novanta giorni. La trama, qui, fatica già un po’, d’altra parte l’oretta a disposizione degli autori li costringe a forzare un po’ i tempi per arrivare alle situazioni narrative ricercate. In ogni caso Moxey in regia sa il fatto suo, come si può vedere dal bel incipit carcerario, e tiene l’attenzione grazie alla pregevole messa in scena. Ora si arriva al punto critico: dopo essere passato da casa, dove scopre di essere stato scaricato dalla moglie, Vince si reca fuori città a trovare Mary, come d’accordo con John. La donna, sentendo un uomo arrivare fischiettando, riconosce il motivetto e pensando sia il marito, si lascia prendere dall’emozione, attraversando incautamente la strada. Vince cerca di avvertirla ma non in tempo utile: nell’incidente a rimanere contuso è però l’uomo.
Il tema del motivo fischiato che inganna in un primo momento la moglie è suggerito da Moxey quando John è appena uscito dal carcere e la regia ripropone lo stesso sonoro in sottofondo mentre vediamo l’uomo camminare in campo lungo. Tornando a Vince, dopo l’incidente, l’uomo si sveglia e si trova nel letto di Mary: possibile che la donna non si sia resa conto che non è il suo vero marito? Se lui rimane perplesso ma decide di stare al gioco, la stessa cosa è costretto a fare lo spettatore, sebbene un certo scetticismo per quello che sembra un errore narrativo piuttosto evidente dia non poco fastidio. Ora entra in scena il vicino, Michael (Bernard Archard), un signore sulla cinquantina simpatico come una spina in un piede, intento in una battuta di caccia. Quando Vince si presenta come John, Michael non fa una piega; se ne può dedurre che non abbia mai incontrato il vero marito di Mary; ma è comunque a conoscenza di un po’ di cose. Tipo che l’uomo è appena uscito di prigione; e forse anche di altro, visto che con ostentata noncuranza fa notare a Vince la differenza tra la sua faccia e quella che Mary tiene bene esposta in casa in un foto-ritratto, additandola ironicamente al fatto di come la galera cambi le persone. Adesso sorge il sospetto che la trama abbia in serbo qualcosa di diverso da quanto prevedibile perché questo passaggio è anche un’esplicita ammissione degli autori di essere consapevoli del presunto punto debole del soggetto.
Tuttavia Mary insiste nel non accorgersi del fatto che Vince abbia preso il posto di John; l’uomo, dal canto suo, si gode il momento. Anzi, per la verità, tutti e due sembrano soddisfatti. Solo una nota interviene a turbare la loro armonia: quando Mary sembra svelare un’indole un po’ troppo venale chiedendo al presunto marito di recuperare il bottino, che solo l’uomo sapeva dove fosse nascosto. Vince va quindi a trovare John in prigione per cercare di scoprire dove l’amico ha nascosto la refurtiva ma non riesce nell’impresa. In compenso va a prenderlo quando questi esce finalmente di galera e, a quel punto, insieme recuperano la borsa piena di soldi. La comparsa del denaro è il detonatore che fa esplodere la storia, fino ad allora sostenuta dalle maschere tese di Kemp e Locke, due solidi attori, e dall’ingenua felicità del viso della Leach, per una prova eccellente dei principali interpreti del cast. Ma, come detto, il meglio arriva adesso. Vince elimina John e si tiene il denaro, deciso a prendere il posto del compagno di cella nella vita reale. Quando torna a casa, Mary, che non sembra più così ingenua, capisce che l’uomo ha recuperato i quattrini: è raggiante e, per festeggiare, offre una bevanda drogata col narcotico al marito. Mentre l’uomo riposa, arriva a trovarla Michael, il vicino, che ha scoperto che Vince ha ucciso John e, con una telefonata anonima, avvisa la polizia.
Da questi passaggi si intuisce che la donna sapeva che il nuovo marito non era il vero John ma aveva probabilmente retto il gioco per arrivare al bottino. Vince si risveglia e agguanta la doppietta di Michael ma è ancora poco ludico. Qui Moxey sfodera un altro pezzo di bravura in regia: l’inquadratura è fissa sul volto di Mary, sui suoi occhi ciechi, mentre sentiamo i due uomini combattere. Poi uno sparo. Chi ha sparato a chi? L’interrogativo sul volto di Mary è anche il nostro. La donna prende tempo, cercando di capire chi sia sopravvissuto. Quando si accorge che è Vince, non sembra affatto turbata. Finge? Vince la incalza – e intanto ricarica il fucile – perché ha sempre finto di non riconoscerlo? La motivazione che adduce Mary è semplice: perché era felice. Mai stata così felice in vita sua. E’ sincera o finge ancora? Qui Moxey è strepitoso e i suoi interpreti altrettanto: campo e controcampo sui volti, con Kemp teso come una corda di violino e imperlato di sudore e la Leach che si fa sempre più melliflua. Intanto sentiamo il rumore di Vince che arma il cane del fucile. Il sorriso dolce e amorevole di Mary si increspa un pochino. C’è da sbrigarsi, Michael ha chiamato la polizia. “Dammi i soldi. Dammi i soldi. Dammi i soldi”. Ora Mary è sempre più agitata perché sente sfuggirgli l’obiettivo che era ormai a portata di mano. “Dammi i soldi” continua a ripetere. Ma Vince le darà solido piombo a bruciapelo. Con un finale teso, nerissimo e senza speranza alcuna, Moxey riesce a risolvere e, se non proprio correggere, a far evaporare eventuali scetticismi sulla trama che, a fronte di un simile conclusione, passano eventualmente in quarto o quinto piano.
Capolavoro. Ma in senso assoluto, non per essere un film televisivo, sia chiaro.
Rosemary Leach
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