1419_GLI ANGELI CON LA FACCIA SPORCA (Angels with dirty faces). Stati Uniti 1938; Regia di Michael Curtiz.
C’è una sorta di analogia tra le vicende private di
James Cagney e quelle del suo personaggio ne Gli angeli con la faccia sporca,
film di Michael Curtiz del 1938. Il lungometraggio –insieme al coevo Boys
meet Girls, regia di Lloyd Bacon– segnò il suo rientro alla Warner Bros
dopo un paio d’anni di allontanamento e battaglie legali con lo studio.
Analogamente, Rocky Sullivan, il protagonista di Gli angeli con la faccia
sporca, fa ritorno a casa dopo un breve soggiorno in carcere. A rincarare
la validità del parallelo –altrimenti piuttosto labile, bisogna riconoscerlo– c’è
anche la questione del tipico ruolo interpretato da Cagney, che ha trame che
riecheggiano anche nella storia raccontata dal film di Curtiz. La Warner aveva sì
riaccolto l’attore –dopo aver perso la causa, questo va precisato– e con la
citata commedia di Bacon avevano assecondato il desiderio di Cagney di variare
un po’ il suo registro interpretativo. Ma, quello che premeva allo studio, era
tornare agli argomenti che garantivano maggior incassi quando c’era di mezzo Cagney,
ovvero i crime-movie. Gli angeli con la faccia sporca arrivò giusto a
pennello, perché era un film coi gangster, ma permetteva all’attore di
imprimere una svolta al suo cliché nel merito. Che è poi quello che, in maniera
drammaticamente enfatizzata, capita a Rocky, alla fine del film di Curtiz.
La pellicola segue le vicende di Rocky Sullivan (Cagney, appunto), che, uscito
di galera, torna al quartiere natio. Il vecchio amico e compagno di piccoli
reati, Jerry Connolly (Pat O’Brien) s’è fatto prete: al tempo, fu il più lesto
a scappare, mentre Rocky fu preso e finì al riformatorio.
In questo dettaglio della sceneggiatura, la spiegazione che, a volte, la fortuna incide in modo cruciale nella vita di ognuno. Padre Connolly, forse anche in debito moralmente per l’amico, al tempo solo più sfortunato, prova a convincere Rocky a cambiar vita. Nell’alloggio in cui si sistema temporaneamente, Rocky incontra Laury (Ann Sheridan), che un tempo era una mocciosetta ma ora s’è fatta più che carina. Infine si reca finalmente dal suo avvocato, Frazier (Humphrey Bogart), che gli deve i soldi della rapina per cui il nostro protagonista si è sciroppato i tre anni di carcere. L’arrivo di Rocky mette Frazier a disagio, in parte perché non se lo aspettava ma, soprattutto, perché non ha affatto intenzione di rendere il denaro al suo assistito. Frazier si è ora associato con Mac Keefer (George Bancroft) con il quale conta di eliminare Rocky dalla partita. Ma, più che le beghe tra gangster, con Rocky che si dimostra ovviamente un osso troppo duro per i rivali, parallelamente il film intesse un’altra traccia, certamente più interessante. Un gruppo di teppistelli (i Dead End Kids) deruba Rocky salvo poi trovarselo ad attenderli proprio nel loro rifugio. Appreso che questi è il famoso Rocky Sullivan, i ragazzi restituiscono il maltolto e diventano autentici fan del gangster. Guarda caso, i giovani sono oggetto del tentativo di conversione da parte di Padre Connolly, che cerca di tenerli lontano dalla strada facendoli giocare a basket.
L’intervento di Rocky è visto con preoccupazione da Laury e Connolly, perché potrebbe facilmente vanificare i loro sforzi e riportare i ragazzi sulla brutta via. Invece il gangster si dimostra attento nei confronti dei giovani, sebbene non abbia intenzione di cambiare vita né tantomeno sfuggire al suo destino che, in qualità di bandito, è inevitabilmente tragico. Dopo qualche “convenevole tra vecchi amici”, nei quali si annoverano un tentativo di omicidio e un rapimento, Rocky sembra aver ripreso il suo posto in seno alla malavita locale, in compagnia di Frazier e Mac Keefer. Nel frattempo, Padre Connelly prosegue la sua campagna mediatica contro la criminalità organizzata, parlandone anche alla radio. Nonostante abbiano rassicurato Rocky che la cosa non avrà conseguenze, Frazier e Mac Keefer non intendono tollerare l’attività del prete e progettano di eliminarlo. Rocky scopre il loro piano e risolve la questione alla sua maniera: sfortunatamente per lui, nelle fasi concitate che seguono al regolamento di conti, finisce al cimitero anche un poliziotto.
E così, nel finale, si arriva al punto cruciale, dopo che Rocky è stato catturato dalla polizia e condannato alla sedia elettrica: nell’ultimo colloquio con l’amico Padre Connolly, questi gli chiede di morire vigliaccamente. Solo così potrà perdere quell’aurea eroica che ancora lo circonda e che ha tanta presa sui ragazzi del quartiere. Anzi, se andasse incontro alla morte con la sua tipica baldanza la sua influenza nefasta sarebbe inarrestabile. Ma il gangster non intende fare concessioni all’amico prete: che lo ammazzino pure, farà vedere a tutti di che pasta è fatto Rocky Sullivan. Un comportamento in linea con il tipico ruolo interpretato da Cagney nei suoi film sulla malavita, almeno fin lì. Poi, a pochi metri dalla sedia mortale, il condannato ha un ravvedimento e asseconda la richiesta di Padre Connelly: ai ragazzi raccontate pure che Rocky Sullivan morì da codardo. In fondo, il cinema non è l’arte della verità ma della finzione, e riesce ad essere più utile quando racconta bugie.
Persino più vero.
Ann Sheridan
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