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martedì 23 gennaio 2024

L'ULTIMA CAROVANA

1426_L'ULTIMA CAROVANA (The Last Wagon). Stati Uniti 1956; Regia di Delmer Daves.

1873 Territorio dell’Arizona, recita la scritta in sovraimpressione all’immagine di un fiume che scorre tra le rosse montagne del sudovest degli Stati Uniti. C’è un uomo a cavallo che si appresta al guado; un carrello arretrato della macchina da presa allarga l’immagine e compare sullo schermo, più vicino a noi, un altro uomo, vestito di pelle. Anche di spalle, riconosciamo subito la chioma bionda di Richard Widmark. Il suo nome e le sue immagini sono su tutti i manifesti e locandine del film: è, infatti, l’attore principale di questo L’ultima carovana, regista Delmer Daves. Nemmeno il tempo di chiedersi cosa mai potrà fare il protagonista del nostro western, acquattato come un volgare brigante, che questi carica il fucile e spara. L’uomo nel fiume è colpito ma si regge ancora; Widmark carica e spara ancora, finendo il lavoro: è evidente in tutta certezza che l’uomo abbia sparato per uccidere a sangue freddo. A chi fosse ancora, in qualche modo, incredulo, Daves regala un primo piano sul volto dell’attore, che non lascia alcun dubbio: quello andato in scena è un brutale assassinio. Questo è il folgorante inizio, poco più di un minuto, del western L’ultima carovana di Delmer Daves, regista mai banale a cui dobbiamo alcuni notevoli esempi del genere, Vento di terre lontane, Rullo di Tamburi, L’amante indiana, solo per citare i titoli al tempo più recenti. Dopo questo spiazzante incipit, il personaggio interpretato da Widmark, Comanche Todd, ha tempo di riscattarsi, almeno alla sua maniera, e si guadagna, in ogni caso, meritatamente il ruolo principale nella storia. Fatto prigioniero da uno degli sceriffi che lo inseguiva, viene aggregato ad una carovana dove, in seguito ad un attacco degli Apache, sopravvive insieme a pochi giovani ragazzi. Una volta libero, l’uomo si prodiga per portare gli inesperti sopravvissuti in salvo, e qui comincia la sua risalita morale, visto che gli sarebbe stato più agevole pensare solo a sé stesso. 

Tra l’altro, alcuni di loro non sono affatto convinti della sua onestà, avendolo conosciuto in catene e avendone visto la spietatezza con cui elimina con un’accettata lo sceriffo che lo teneva prigioniero. La durezza di Todd si rivela però utile ai fuggitivi, allorché l’uomo convince i ragazzi a non seppellire i cadaveri dei membri della carovana: quella che sembra una barbarie di un uomo cresciuto tra i Comanche, questa l’origine del suo nome, è invece una pianificata strategia di fuga. Seppellire i morti avrebbe rivelato ad eventuali Apaches di passaggio che nella carovana c’erano stati superstiti, finendo per mettere gli indiani sulle loro tracce. Lasciare i cadaveri dov’erano, dava invece qualche chance ai fuggitivi di filarsela alla chetichella. Questo non solo è un passaggio interessante e ben costruito della trama, sia dal punto di visto avventuroso che dei rapporti interni al gruppo, ma aiuta a comprendere, se non a giustificare, il comportamento di Todd in avvio di pellicola. Il suo essere spietato, il suo uccidere senza remore, il suo lasciare i cadaveri senza sepoltura, deriva da un’educazione diversa dalla nostra, dove farsi certi scrupoli può costare molto caro. Nel finale, quando l’uomo finisce sotto processo, saranno aggiunte altre motivazioni al suo comportamento certamente censurabile: in precedenza quegli sceriffi ne avevano ucciso e brutalizzato moglie e figlio. É evidente che il fatto che un eroe di un film western si renda protagonista di simili violenze è dura da digerire, e questi ultimi potrebbero essere tentativi di indorare la pillola; ma il vero intento di Daves sembra un altro. 

Todd è un uomo bianco –di più, è un attore famoso come Richard Widmark– e quindi agevola il processo di identificazione del pubblico. Il target del cinema classico hollywoodiano era, infatti, il pubblico americano, tipicamente la maggioranza di etnia caucasica. La forza persuasiva di questo cinema fu tale da rendere i suoi modelli validi un po’ ovunque, basti pensare all’effetto colonizzante che Hollywood ebbe su un paese latino e peculiare come l’Italia, ad esempio. Non è quindi affatto difficile identificarsi con il personaggio di Richard Widmark, del resto l’abbiamo fatto tante altre volte. Ma questa volta Todd rappresenta le azioni dei pellerossa, in fondo l’uomo è un Comanche, che ai nostri occhi appaiono crudeli e ignobili. Quello che ci chiede di fare Daves è, quindi, provare a ragionare, a pensare, come un indiano: a quel punto, forse, quei comportamenti, per noi certamente riprovevoli, potranno risultarci meno estranei. Moralmente condivisibile o meno, questa presa di posizione del regista è da ammirare nell’intento di migliorare la reciproca convivenza tra popoli e culture differenti. Mettere in dubbio l’infallibilità della morale della cultura occidentale, in un western classico. Ovvero il genere che, come scopo, aveva proprio l’opposto: spacciare per buoni e giusti i nuovi padroni del mondo. Coloro i quali si erano imposti con la forza, sia in patria –la conquista del west– che in ambito internazionale –le due guerre mondiali– più che con la giustizia e il diritto. Insomma, ancora una volta Daves piega gli stilemi dei generi cinematografici per motivi più nobili, confermando la sua statura morale, superiore a quella, già notevole, cinematografica.







Felicia Farr 



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