577_APACHE IN AGGUATO (6 Black Horses); Stati Uniti, 1962. Regia di Harry Keller.
A parte gli indiani Apache che fungono da pericolo
ambientale, i protagonisti di Apache in
agguato sono tre: Ben Lane (Audie Murphy), è l’eroe buono, Frank Jesse (Dan Dureya) è il romantico fuorilegge, Kelly (Joan O’Brien) la pupa tutta curve.
Classici personaggi da film western che Burt Kennedy, in sede di sceneggiatura,
prova ad orchestrare per cavarci una storia. Il risultato, per la verità, è un
po’ deludente: il regista Harry Keller non riesce infatti a convincere, con questo
Apache in agguato. Le premesse
potevano anche essere interessanti: Ben è il classico personaggio positivo dei
western del periodo classico, ma si trova in debito con Frank, che invece è una
figura più discutibile, un killer di professione. Questa situazione rispecchia
in modo narrativo l’evoluzione del genere cinematografico: negli anni cinquanta
aveva preso piede sugli schermi la figura del cowboy buono, che conservava però
legami con i romantici fuorilegge degli anni precedenti. In Apache in agguato questo legame potrebbe
essere rappresentato dal debito di Ben nei confronti di Frank. Questi, infatti,
cava d’impaccio Ben, che era ingiustamente accusato del furto di un cavallo e
stava per essere impiccato. Anche in questa situazione c’è un rimando alla
figura controversa degli outlaws del
far west che poteva in effetti capitare fossero individui ingiustamente
accusati e catapultati dalla parte sbagliata della barricata soltanto a causa
delle circostanze. Il valore simbolico di quest’impostazione potrebbe avere la
conferma nel nome del pistolero prezzolato della storia: Frank e Jesse, nome e
cognome del nostro, sono i nomi di battesimo dei fratelli James. Abbiamo quindi
un eroe del western classico affiancato da uno del western romantico: tra di loro si inserisce Kelly.
La donna, che ha
un comportamento eccessivamente misterioso e rischioso oltre ragione,
vuole vendicarsi di Frank che, su commissione, gli ha ammazzato il marito.
Frank si difende, accusando la donna, una ex prostituta, di non essere migliore
di lui. Qui c’è un passaggio un po’ difficile da digerire: un conto è
ammazzare, un altro è fare all’amore
(per usare una definizione dell’epoca); che poi siano attività svolte dietro compenso
è un dettaglio del tutto secondario. Infastidisce anche la sindrome del coccodrillo che affligge Kelly, quando parla della sua
attività di vita; la professione ha sicuramente i suoi lati
negativi, questo è indubbio, ma guardando l’avvenenza che le dona Joan O’ Brien
c’è da scommetterci che la nostra ragazza avrà scelto la sua strada allettata
dai vantaggi che ne poteva ricavare. Del resto che non sia un pozzo di
rettitudine lo dimostra il tentativo di sparare a tradimento a Frank. Così,
anche il lieto fine, con Ben che offre alla donna la possibilità di un futuro
condiviso, non fa che banalizzare ulteriormente la storia: cosa ci vede di
meritevole, l’uomo, in Kelly? Ah, beh, certo, le grazie della O’Brien. Si, ma e gli Apache? Gli Apache ci avevano
visto lungo quando avevano offerto un cavallo in cambio della donna.
Joan O'Brien
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