591_IL VAGABONDO DELLA FORESTA (Rachel and the Stranger); Stati Uniti, 1948. Regia di Norman Foster.
Western romantico che
sconfina nel northern, (per usare una
definizione di Otto Preminger in riferimento al suo La magnifica preda), Il
vagabondo della foresta è ambientato anche in un’epoca leggermente
precedente a quella abitualmente immortalata nei film sulla conquista del west.
Non è una distinzione da poco: se con le storie sulla frontiera del sudovest si
raccontava, romanzando in chiave epica, della definitiva nascita della nazione,
al tempo de Il vagabondo della foresta, più che la società, ad essere al centro dell’attenzione è la famiglia. Ed è proprio per la centralità della figura femminile in questo discorso che nel
film di Norman Foster la parte del leone la fa decisamente Loretta Young,
elegante e bellissima pur nei sobri panni di Rachel. La ragazza, figlia di un
professore di musica caduto in disgrazia economica e finita addirittura venduta
come schiava, è la vera protagonista del film, tanto che l’opera le è
esplicitamente dedicata. Rachel and the
stranger, recita infatti il titolo originale, dove lo straniero in
questione è nientemeno che Robert Mitchum, nelle vesti di Jim, il vagabondo della foresta della versione
italiana, che scorazza per monti e valli con fucile e chitarra. E l’altro
vertice del triangolo amoroso che, in ossequio alla presenza femminile, viene
imbastito nel film, è rappresentato da un altro asso come William Holden,
ovvero quel Big Davey Harvey che, se riscatterà dalla schiavitù ufficiale
Rachel, lo farà soltanto per sottoporla ad una condizione simile ma in versione
domestica.
Big Davey è infatti vedovo e vive isolato sui monti col figlioletto
Davey (Gary Gray), un moccioso irritante e indisponente che, per essere
educato, necessità quindi di una figura materna. Così Big Davey si reca nella
comunità dove il pastore le affibbia la povera Rachel che l’uomo, oltre a
riscattare pagando 22 dollari (18
in anticipo e 4 di saldo), dovrà anche sposare, per
poter convivere sotto lo stesso tempo senza recare scandalo. Ma Big Davey, a
cui Holden riesce a conferire un’ottusità un po’ troppo impacciata ma comunque
credibile, non intende spingersi oltre, nei rapporti con la ragazza: da un
punto di vista sentimentale il ricordo della prima moglie gli rende impossibile
ogni affettività verso altre donne. In questo senso la storia ricorda addirittura
un po’ Rebecca, la prima moglie,
(1940, regia di Alfred Hitchcock), sebbene qui il punto nevralgico sia che la
povera Rachel (che con la
Rebecca di Hitch
condivide anche il nome biblico) passi da una condizione di schiavitù
dichiarata ad una del tutto simile. Che è poi quella in cui era abitualmente
tenuta la donna nell’epoca dei fatti narrati e anche successivamente, e forse
in molti casi fino ai giorni nostri. Se Big Davey non sembra molto consapevole
della dignità che spetta a Rachel, a scuoterlo dal suo ottuso torpore ci pensa
Jim, che quando vede l’elegante figura della ragazza ne è subito attratto. Fino
a questo punto il film è scritto molto bene, con passaggi formalmente eleganti
e puntuali; la svolta melodrammatica, con i due uomini che si contendono la
ragazza, risulta invece un po’ troppo scontata e prevedibile. A quel punto
perfino il bamboccio di casa si è accorto che Rachel non è poi così male, visto
che è riuscita a salvargli la vita uccidendo addirittura un puma che si
aggirava per la fattoria.
Tuttavia la contesa arriva al suo acme, e Jim offre
denaro a Big Davey in cambio della moglie: Rachel, informata da Davey, subito
lesto a fare la spia, disgustata dal comportamento dei due uomini decide di
tornare al forte abbandonandoli entrambi. L’attacco degli indiani, l’incendio
alla fattoria, l’arrivano i nostri, rimetteranno le cose a posto. Idea di
pagare per avere la moglie a parte, Jim avrebbe avuto certamente più merito di
Big Davey di convolare con Rachel ma, alla fine, l’avventuriero capisce che è
ora di farsi da parte. Per altro, il marito della donna è una brava persona,
per carità, ma per tutto il film ha unicamente i meriti formali di esserne il consorte
ufficiale. E se è vero che nel finale si ravvede, accorgendosi del valore di
sua moglie, lo fa solo in dirittura d’arrivo, persino anticipato dal figlio, a
cui va almeno la scusante di essere un semplice moccioso. E va detto che anche il
personaggio di Mitchum non è certo memorabile; insomma, in fin della fiera, bisogna
riconoscere che Loretta Young fa un figurone al cospetto di interpreti maschili
così altisonanti. E questo, in un western
(o anche in un northern, fate voi), per un’interprete femminile
è un successo che vale doppio, sebbene nella corrente romantica del genere, quella degli anni Quaranta, la cosa non fosse nemmeno così rara.
Loretta Young
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