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lunedì 15 giugno 2020

IL DIAVOLO ALLE 4

584_IL DIAVOLO ALLE 4 (The Devil at 4 O'Clock); Stati Uniti, 1961. Regia di Mervyn LeRoy.

In genere si dice che Il Diavolo alle 4 sia un film dagli effetti speciali al tempo ritenuti davvero strabilianti. Guardandolo oggi risulta un po’ difficile da credere: non è che si tratti di una messa in scena scadente, ma sembra davvero troppo evidente una certa matrice artefatta funzionale si, ma non proprio realistica. E questo doveva essere vero anche negli anni sessanta; forse, al tempo, diffusa tra gli spettatori c’era una maggiore ingenuità e una più spiccata facilità a lasciarsi coinvolgere e trasportare dal racconto piuttosto che soffermarsi sulla plausibilità realistica delle singole inquadrature. Questo aspetto non è forse quello più importante, ne Il Diavolo alle 4 di Mervyn LeRoy, che è un buon film, sia chiaro, ma è quello che, guardandolo oggi, può saltare maggiormente agli occhi. E che, per molti spettatori, troppo smaliziati dai moderni effetti speciali, ne può inficiare la visione. Invece Il Diavolo alle 4 va forse inteso come massima espressione del cinema hollywoodiano che, al tempo, era divenuto una specie di universo altro, un mondo che prendeva spunto dalla realtà ma che la piegava poi ai propri codici e stilemi figurativi e narrativi. Un po’ quello che accade quando si va a teatro dove si è disposti a credere ad una scena in cui l’attore recita sul palco con una sedia un tavolo e i fondali posticci. Del resto LeRoy, che era un bravo regista, era una rotella perfettamente integrata nel meccanismo hollywoodiano, non solo per le parentele altolocate ma soprattutto considerando le operazioni professionali di alto cabotaggio a suo carico: dalla produzione de Il mago di Oz (di Victor Fleming, 1939) alla regia di Quo Vadis? (1951). 

Il Diavolo alle 4 è un film di genere catastrofico, che implica quindi qualcosa di maestoso, e che vede coinvolte due autentiche star di Hollywood: Spencer Tracy e Frank Sinatra. Tutti elementi di un certo peso in termini produttivi. Se la questione degli effetti speciali legati all’eruzione ed esplosione del vulcano dell’isola di Talua, nel Pacifico, sono ostentati anche nella loro ingenua e pacchiana spettacolarità, i due attori sfornano una prestazione di assoluto livello. Tracy ha solo una sessantina d’anni (portati male) e nella parte di padre Doonan è un autentico trattore, inarrestabile. Sinatra non ha la statura dell’eroe, ma nei panni di Harry, un mezzo balordo che le peripezie della vita hanno destinato al carcere, riesce a fornire un personaggio con una buona dose di umanità tenuta in apparenza nascosta dall’atteggiamento da bullo di periferia.  
Negli anni già troppo successivi al boom economico del dopoguerra i loro personaggi sono due perdenti. Padre Doonan, cocciuto come un mulo, deluso dalla vita, dedito all’alcool, sotto il cui influsso diventa anche violento, (quasi ammazza Harry a mani nude), è stato sollevato dal suo incarico. 


E dire che si era prodigato con ardore e volontà per costruire e mantenere un ospedale che desse ricovero ai bambini lebbrosi di Talua. Le sue intemperanze caratteriali e l’inopportunità, in senso turistico, del fatto che nell’isola abbia insediato un ospedale per lebbrosi, lo rendono inviso ai suoi superiori e al governatore di Talua (Alexander Scourby) ma non lo fanno arretrare di un millimetro. Tracy è nel suo habitat interpretativo naturale e sciorina una prestazione maiuscola: un autentico mastino che cerca in tutti i modi di salvare i suoi bambini. Anche affidandosi, dando una fiducia in apparenza mal riposta, a tre detenuti in trasferimento e capitati quindi a Talua per puro caso; tra questi Harry è il carismatico, per via del sarcasmo sempre pronto. Poi ci sono Charlie (l’ottimo Bernie Hamilton), che sembra un brav’uomo finito un po’ per caso dalla parte sbagliata della barricata, e Marcel (Grégoire Aslan) simpatico birbante che sembra invece compiacersi di aver scelto la porta ampia e spaziosa che conduce alla perdizione di evangelica memoria. Gli elementi portanti di Il Diavolo alle 4 sono quindi questi: un prete testardo e indisciplinato e i suoi bambini lebbrosi, tre detenuti che cercano una possibilità di salvezza, un vulcano in procinto di esplodere. Come si vede mancano figure femminili di rilevo, oltre ad un elemento che funga da detonatore per far convergere il tutto. La storia scelta da LeRoy (il romanzo omonimo di Max Catto) permette al regista di colmare queste  lacune in modo funzionale. 

A sorpresa, e forse per stemperare il phatos della vicenda, le donne presenti nella storia sono poche e sono personaggi discreti: vale la pena ricordare Marguerite (Cathy Lewis) una ex prostituta francese che ora fa la capo infermiera nell’ospedale dei bambini lebbrosi, oltre alla dolce Camille (Barbara Luna), ragazza cieca e indifesa, che è però il vero elemento decisivo della vicenda. E’ il suo candore, la sua innocenza, che affascina Harry: un uomo che sembrava averne viste di ogni, cambia la sua condotta esistenziale, assurgendo al ruolo di eroe, di fronte ad una persona che non aveva ancora visto niente ed era completamente all’oscuro di tutto (anche del passato dell’uomo). La storia del film ci parla di un sacrificio, anzi più di uno, visto che a rimetterci la pelle sono i tre detenuti e padre Doonan e, in compenso a ciò, i bambini vengono portati in salvo. 

Il sacrificio più importante, però, lo compie Harry, che torna indietro per morire insieme all’amico Charlie rinunciando alla salvezza ormai raggiunta. Il suo è un sacrificio che non ha un premio, non riscatta nulla: i bambini lebbrosi erano già stati salvati, il prezzo della loro salvezza era già stato raccolto (le vite di padre Doonan, di Charlie e di Marcel) eppure Harry torna a morire con l’amico. Negli anni 60 la figura dell’eroe americano stava andando in crisi, superata, come modello di riferimento, dal protagonista tormentato e problematico. Un’evoluzione che, forse, non convince del tutto il regista. Al che LeRoy, con la scelta del suo protagonista, una scelta senza apparente ragione, forse vuole fare una sorta di reboot, un ritorno all’antico. E per far questo serve uno sguardo vergine (Camille, la ragazza non vedente), qualcosa di portentoso come un’esplosione che cancelli tutto il colorato universo hollywoodiano (il botto del vulcano) per tornare finalmente a racconti in cui l’eroe (Sinatra) faccia il suo dovere di eroe e si sacrifichi per la riuscita della storia. Ma in tutto questo il ruolo di Tracy, qual’é? Lui è il modello classico di eroe, quello che, al tempo, si stava appunto cercando di mettere in pensione, del tutto immeritatamente.   



           
BarBara Luna








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