584_IL DIAVOLO ALLE 4 (The Devil at 4 O'Clock); Stati Uniti, 1961. Regia di Mervyn LeRoy.
In genere si dice che Il
Diavolo alle 4 sia un film dagli effetti speciali al tempo ritenuti davvero
strabilianti. Guardandolo oggi risulta un po’ difficile da credere: non è che
si tratti di una messa in scena scadente, ma sembra davvero troppo evidente una
certa matrice artefatta funzionale si, ma non proprio realistica. E questo
doveva essere vero anche negli anni sessanta; forse, al tempo, diffusa tra gli
spettatori c’era una maggiore ingenuità e una più spiccata facilità a lasciarsi
coinvolgere e trasportare dal racconto piuttosto che soffermarsi sulla
plausibilità realistica delle singole inquadrature. Questo aspetto non è forse
quello più importante, ne Il Diavolo alle
4 di Mervyn LeRoy, che è un buon film, sia chiaro, ma è quello che,
guardandolo oggi, può saltare maggiormente agli occhi. E che, per molti
spettatori, troppo smaliziati dai moderni effetti speciali, ne può inficiare la
visione. Invece Il Diavolo alle 4 va forse
inteso come massima espressione del cinema hollywoodiano che, al tempo, era
divenuto una specie di universo altro,
un mondo che prendeva spunto dalla realtà ma che la piegava poi ai propri
codici e stilemi figurativi e narrativi. Un po’ quello che accade quando si va
a teatro dove si è disposti a credere ad una scena in cui l’attore recita sul
palco con una sedia un tavolo e i fondali posticci. Del resto LeRoy, che era un
bravo regista, era una rotella perfettamente integrata nel meccanismo
hollywoodiano, non solo per le parentele altolocate ma soprattutto considerando
le operazioni professionali di alto
cabotaggio a suo carico: dalla produzione de Il mago di Oz (di Victor Fleming, 1939) alla regia di Quo Vadis? (1951).
Il Diavolo alle 4 è un film di genere catastrofico, che implica quindi
qualcosa di maestoso, e che vede coinvolte due autentiche star di Hollywood:
Spencer Tracy e Frank Sinatra. Tutti elementi di un certo peso in termini produttivi. Se la questione degli effetti speciali
legati all’eruzione ed esplosione del vulcano dell’isola di Talua, nel Pacifico,
sono ostentati anche nella loro ingenua e pacchiana spettacolarità, i due
attori sfornano una prestazione di assoluto livello. Tracy ha solo una
sessantina d’anni (portati male) e nella parte di padre Doonan è un autentico
trattore, inarrestabile. Sinatra non ha la statura
dell’eroe, ma nei panni di Harry, un mezzo balordo che le peripezie della vita
hanno destinato al carcere, riesce a fornire un personaggio con una buona dose
di umanità tenuta in apparenza nascosta dall’atteggiamento da bullo di
periferia.
Negli anni già troppo successivi al boom economico del
dopoguerra i loro personaggi sono due perdenti. Padre Doonan, cocciuto come un
mulo, deluso dalla vita, dedito all’alcool, sotto il cui influsso diventa anche
violento, (quasi ammazza Harry a mani nude), è stato sollevato dal suo
incarico.
E dire che si era prodigato con ardore e volontà per costruire e
mantenere un ospedale che desse ricovero ai bambini lebbrosi di Talua. Le sue
intemperanze caratteriali e l’inopportunità,
in senso turistico, del fatto che nell’isola abbia insediato un ospedale per
lebbrosi, lo rendono inviso ai suoi superiori e al governatore di Talua (Alexander
Scourby) ma non lo fanno arretrare di un millimetro. Tracy è nel suo habitat interpretativo naturale e
sciorina una prestazione maiuscola: un autentico mastino che cerca in tutti i
modi di salvare i suoi bambini. Anche affidandosi, dando una fiducia in
apparenza mal riposta, a tre detenuti in trasferimento e capitati quindi a
Talua per puro caso; tra questi Harry è il carismatico, per via del sarcasmo
sempre pronto. Poi ci sono Charlie (l’ottimo Bernie Hamilton), che sembra un
brav’uomo finito un po’ per caso dalla parte sbagliata della barricata, e
Marcel (Grégoire Aslan) simpatico birbante
che sembra invece compiacersi di aver scelto la porta ampia e spaziosa che conduce alla perdizione di evangelica
memoria. Gli elementi portanti di Il
Diavolo alle 4 sono quindi questi: un prete testardo e indisciplinato e i
suoi bambini lebbrosi, tre detenuti che cercano una possibilità di salvezza, un
vulcano in procinto di esplodere. Come si vede mancano figure femminili di
rilevo, oltre ad un elemento che funga da detonatore per far convergere il
tutto. La storia scelta da LeRoy (il romanzo omonimo di Max Catto) permette al
regista di colmare queste lacune in modo
funzionale.
A sorpresa, e forse per stemperare il phatos della vicenda, le donne presenti nella storia sono poche e sono
personaggi discreti: vale la pena ricordare Marguerite (Cathy Lewis) una ex
prostituta francese che ora fa la capo infermiera nell’ospedale dei bambini
lebbrosi, oltre alla dolce Camille (Barbara Luna), ragazza cieca e indifesa,
che è però il vero elemento decisivo della vicenda. E’ il suo candore, la sua
innocenza, che affascina Harry: un uomo che sembrava averne viste di ogni,
cambia la sua condotta esistenziale, assurgendo al ruolo di eroe, di fronte ad
una persona che non aveva ancora visto niente ed era completamente all’oscuro
di tutto (anche del passato dell’uomo). La storia del film ci parla di un
sacrificio, anzi più di uno, visto che a rimetterci la pelle sono i tre
detenuti e padre Doonan e, in compenso a ciò, i bambini vengono portati in
salvo.
Il sacrificio più importante, però, lo compie Harry, che torna indietro
per morire insieme all’amico Charlie rinunciando alla salvezza ormai raggiunta.
Il suo è un sacrificio che non ha un premio, non riscatta nulla: i bambini
lebbrosi erano già stati salvati, il prezzo della loro salvezza era già stato
raccolto (le vite di padre Doonan, di Charlie e di Marcel) eppure Harry torna a
morire con l’amico. Negli anni 60 la figura dell’eroe americano stava andando
in crisi, superata, come modello di riferimento, dal protagonista tormentato e
problematico. Un’evoluzione che, forse, non convince del tutto il regista. Al
che LeRoy, con la scelta del suo protagonista, una scelta senza apparente
ragione, forse vuole fare una sorta di reboot,
un ritorno all’antico. E per far questo serve uno sguardo vergine (Camille, la
ragazza non vedente), qualcosa di portentoso come un’esplosione che cancelli
tutto il colorato universo hollywoodiano (il botto del vulcano) per tornare
finalmente a racconti in cui l’eroe (Sinatra) faccia il suo dovere di eroe e si
sacrifichi per la riuscita della storia. Ma in tutto questo il ruolo di Tracy,
qual’é? Lui è il modello classico di eroe, quello che, al tempo, si stava
appunto cercando di mettere in pensione,
del tutto immeritatamente.
BarBara Luna
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