111_LA PALLOTTOLA SENZA NOME (No name on the bullet). Stati Uniti 1959; Regia di Jack Arnold.
Un cowboy
vestito di nero, a cavallo, passa accanto alla macchina da presa, che lo segue con un movimento laterale; poi
l’immagine si ferma sul cavaliere che si allontana, lungo il pendio di una
collina. Mentre compaiono i primi titoli di testa, l’uomo si allontana sempre
più, poi i credits finiscono; a
questo punto, con una magistrale dissolvenza incrociata su un carrello in
avanti, ci troviamo in una fattoria, con un cane che si muove verso di noi, in
contrapposizione con il movimento simulato dalla ripresa che sembrava farci
avanzare. L’inquadratura adesso segue però il cane e vediamo che nella fattoria
ci sono anche un uomo che ingrassa un carro e una donna che dà da mangiare alle
galline; il cane abbaiando attraversa tutta l’aia e si ferma: sullo sfondo si
vede l’uomo a cavallo. Intanto il fattore compie alcuni passi incuriosito dal
comportamento del cane, la mdp lo
segue con un carrello laterale, poi si muove con una panoramica e inquadra la
collina sullo sfondo, da cui si vede giungere il cavaliere vestito di nero. Il
cane non smette di abbaiare e la musica continua ad insinuare un sensazione
inquieta. La precisione formale di questa sequenza, che non concede nulla a
particolari virtuosismi ma è perfettamente calibrata, ci consegna già la cifra
stilistica di questo western opera di quel Jack Arnold specialista in film di
fantascienza. Il regista dimostra sin dalle prime inquadrature di poter gestire
al meglio anche un genere come il western, che ha sue regole particolari e
peculiari; ma Arnold ha troppo talento, e riesce in modo convincente a rimanere
nei canoni di questo tipo di pellicole, pur mantenendo fede alle proprie e
tipiche tematiche.
L’uomo vestito di nero è John Gant (Audie Murphy), un
sicario che svolge il suo lavoro con diligenza e attenzione, provocando le
vittime in modo da poterle poi uccidere per legittima difesa. La fama lo
precede, ed è soprattutto noto per questa sua caratteristica, che lo rende intoccabile
dagli sceriffi, non avendo condanne a suo carico. Il suo arrivo nella città di Lordsburg
(luogo che ritorna sullo schermo dopo essere stata l’ultima tappa della
diligenza del mitico Ombre rosse),
getta tutti nel panico. Chiunque nel selvaggio west può potenzialmente avere un
nemico disposto ad ingaggiare un sicario per ucciderlo, ma solo chi ha
realmente qualche scheletro nell’armadio comincia davvero ad agitarsi.
Il problema è che a Lordsburg si agitano in tanti, troppi: è
evidente che il ruolo di Gant nel film è anche quello di manifestarsi come
coscienza cattiva dell’America, tenuta normalmente sopita dalla convenienza, ma
che di fronte al pericolo si paventa in modo drammatico. Arnold non è un
novizio del western, ma in ogni caso dimostra di saperlo manovrare in modo personale e atipico: ne La pallottola senza nome il male arriva apparentemente da fuori, ma
in realtà è già insito, connaturato nella comunità. E’ una critica pesante
all’America, perché sono messe sotto accusa tutte le istituzioni principali che
hanno costituito e sorretto il paese: dalle principali, come la legge (il
giudice), la politica (il sindaco), il potere economico (il banchiere e
l’affarista), a quelle minori, come i cacciatori di fortuna (il gambler o il cercatore d’oro), il ceto
medio (il commerciante o il barman); solo lo sceriffo e il dottore con suo
padre maniscalco, ci fanno una buona figura. Così la conquista del west non è
rischiosa tanto per via dei pericoli dell’ambiente selvaggio, ma perché in un
simile scenario si possono eludere ed aggirare le leggi. E il vero pericolo è
che un giorno la propria coscienza si possa risvegliare, e allora non servirà
nemmeno un angelo vendicatore come
Gant, per punire i cattivi: e in
effetti, anche ne La pallottola senza
nome il sicario non arriva nemmeno a compiere il suo lavoro, visto che sono
gli stessi individui poco pulititi che, rosi dalla paura, si autoeliminano. Una
martellata del dottor Luke (Charles Drake), un umile e simbolico gesto più da operaio
che da persona istruita, (audace il richiamo comunista) metterà comunque fine alla carriera di Gant.
Insomma, il lavoro, il lavoro manuale, può davvero essere
l’unica salvezza della comunità.
Joan Evans
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