120_EASY RIDER - LIBERTA' E PAURA (Easy Rider). Stati Uniti, 1969; Regia di Dennis Hopper.
Film culto per eccellenza della cultura hippy, Easy Rider è un'opera che colse
perfettamente lo spirito di quel tempo e di quella generazione che andavano in
controtendenza rispetto agli ideali borghesi della cultura americana (e
occidentale in generale). Dal punto di vista cinematografico questo aspetto è
sancito in modo emblematico dal viaggio che i due protagonisti compiono: Wyatt
(Peter Fonda) e Billy (Dennis Hopper, anche regista della pellicola), vanno
infatti da Los Angeles alla Louisiana, ovvero compiono il percorso inverso di
quello che, ai tempi della conquista del
west, sancì l’ideologia del sogno
americano. Sebbene la contestazione sia, quindi, almeno a livello
simbolico, radicale, non c’è però traccia di violenza da parte dei due giovani,
che rappresentano in modo ideale due tipici figli
dei fiori. Hopper è però onesto nella sua rappresentazione e non manca di
mostrare come, nella storia raccontata, la scelta di vita sconclusionata dei
due ragazzi si fondi su una premessa equivoca e discutibile; che poi era la
caratteristica, grosso modo, del fenomeno culturale stesso. Ovvero, nello specifico del
film c’è un guadagno illecito e moralmente criticabile come il
commercio di droga, a dare il là alla
vicenda. Infatti, se è vero che Wyatt e Billy fumano tranquillamente marijuana
(e pare fosse autentica quella usata dai due attori sul set), non ricorrono
all’uso di droghe pesanti: è però con
la vendita di cocaina che riescono a racimolare i soldi per comprarsi le
motociclette (due appariscenti chopper)
e ad intraprendere il proprio viaggio.
C’è quindi all’interno stesso di questo esplicito manifesto che è appunto Easy Rider, una onesta ammissione dei
limiti e dell’ipocrisia di fondo che lo stesso movimento aveva: d’accordo
sull’insofferenza per le convenzioni borghesi, ma il tema della libertà era
vissuto dalla corrente rivoluzionaria
sessantottina in modo sostanzialmente un po’ troppo di comodo, come del resto viene mostrato dal film. Ad onor del
vero, il fatto che il regista insista su un montaggio schizzato e indugi poi nel farci vivere un trip da parte dei nostri baldi giovanotti, evidenzia come, per
poter apprezzare pienamente la controcultura del periodo, sia necessario perlomeno
l’aiuto di quei prodotti della cannabis che erano uno dei fondamenti di quello
stesso movimento. Che, in fin della
fiera è anche il limite di Easy Rider: divertente, godibile, con gran belle
canzoni (la più famosa è naturalmente Born
to be wild degli Steppenwolf) sicuramente rappresentativo di un certo mondo, ma leggero come un boccata di
fumo.
D’hashish, naturalmente.
Karen Black
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