117_IL MATTATORE . Italia 1960; Regia di Dino Risi.
Il
regista Dino Risi e gli abili collaboratori (al soggetto, tra gli altri, Ettore
Scola e il duo Age & Scarpelli) mettono a disposizione del vulcanico
Vittorio Gassman una vicenda che permette all’istrionico attore di mostrare
tutto il suo esuberante e camaleontico talento. La storia è divertente,
Gassman, come abbiamo detto, ci sguazza a piacere, ma in generale tutto il cast
è ben calibrato. Peppino de Filippo, abituato a fare la spalla ad un altro attore
sempre sopra le righe come Totò, non ha difficoltà a ritagliarsi il suo spazio
dove Gassman lascia qualche spiraglio. Dorian Gray è sempre bella, ma convince
obiettivamente meno che nel ruolo della malafemmina; sempre
simpatico e divertente Luigi Pavese; Mimmo Carotenuto e Anna Maria Ferrero
offrono prove professionali. Il punto cruciale di tutta la vicenda narrata è
l’inclinazione a delinquere, nello specifico all’arte dell’imbroglio, del
protagonista, Gerardo Latini, detto appunto il mattatore (interpretato
ovviamente da Gassman); a nulla valgono gli sforzi della fidanzata
Annalisa (la Ferrero )
di portarlo sulla retta via. Si tratta quindi della solita esaltazione
tipicamente italiana della capacità di fare fesso il prossimo:
attività che trova il consenso del pubblico che da sempre premia questo tipo di
produzioni, e che i registi, anche dotati come Risi, ben si guardano da mettere
in discussione. Anzi, l’impressione è che il nostro cinema non si lasci
scappare occasione per lisciare il pelo all’italico pubblico, forse in ossequio
a quei timori evocati dal detto del lupo che lo perdeva. Il lupo perde il pelo ma non il vizio: e, in Italia, la
preoccupazione generale sembra appunto per il pelo. Nessuna speranza, in simili
condizioni, che si possa dunque perdere il vizio: il nostro cinema continua a
ripeterci che, in Italia, o rubi o sei fesso.
Dorian Gray
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