4_OSSESSIONE; Italia, 1943. Regia di Luchino Visconti.
Siamo a bordo di un camion che viaggia nella bassa, la parte più estrema della
Pianura Padana; sul cassone posteriore c’è un clandestino che, alla stazione di
servizio, viene scoperto e fatto sloggiare. Sono passati solo pochi istanti del
film Ossessione di Luchino Visconti,
e la macchina da presa dell’autore lombardo mette già a segno un paio di
passaggi decisivi: una gru sale sopra
il camion, inquadrando il piazzale della stazione fino a fermarsi sulla porta
dello spaccio; poi l’uomo scacciato dal camion appare sullo schermo. E’ lui,
questo vagabondo, il nostro uomo: attratto dalla necessità di mangiare un
boccone più che dalle note della Traviata
che si sente ancora in sottofondo al pianoforte, entra quindi nel locale. Qui è
un'altra musica che quasi lo attira in cucina; Fiorin fiorello, una canzonetta assai meno nobile dell’opera
verdiana, ma comunque attinente. La macchina da presa segue l’uomo che, monete
alla mano, cerca qualcosa da mangiare ma, nella porta della cucina vede una
snella gamba ciondolante che introduce la donna della nostra storia: Giovanna
(Clara Calamai.) Un primo piano sul volto della donna, che ha un sussulto nel
vedere il nuovo venuto; poi in controcampo un breve carrello a sottolineare
anche il viso dell’uomo (che vediamo adesso essere Massimo Girotti). La
padronanza dei mezzi di Visconti è già mostrata in questo folgorante inizio: il
resto del film, potremmo dire è la semplice raccolta di questa fruttifera
semina. Manca solo da sapere che l’uomo grasso, Giuseppe Bragana (Juan de
Landa), è il marito di Giovanna, e il quadro è fatto. Il soggetto che ha
ispirato l’opera è Il postino suona
sempre due volte di James M. Cain e al regista lombardo bastano pochi
minuti per tracciarne i sommi capi sullo schermo. La raffinatezza formale non è
però il motivo dell’importanza dell’opera: Ossessione
è cruciale perché sancisce un nuovo modo di fare Cinema nel belpaese, un modo colto, competente,
intelligente, ma anche profondamente critico e severo nei confronti della società
italiana.
E’ semplice notare la differenza con il cinema dei telefoni bianchi, che illudeva la penisola di vivere in un benessere diffuso, compiacendo in questo il regime del ventennio. Ossessione è un film ambientato in un paesaggio povero, sporco, malmesso. Le strade sono insicure, i mezzi mal funzionanti, la gente vestita in qualche modo, le case spoglie, disadorne. La natura triste e dimessa della bassa, non lascia vie di fuga se non l’unica strada. Questa semplice ambientazione contrasta quindi con i dettami del regime, il che, in pieno 1943, era ancora una presa di posizione in controtendenza. Il tema dell’attrazione sessuale poi, per altro congenito al soggetto, è trattato da Visconti in modo decisamente audace: se le donne del film, oltre alla Calamai c’è anche Dhia Cristiani nei panni di Anita, sono mostrate in tutta la loro sensualità, il vero motore del desiderio è il corpo di Gino (come si scopre in seguito essere il nome del personaggio interpretato da Girotti). L’uomo è spesso mostrato con indumenti attillati, quando non in canottiera, tanto che Giovanna ne nota subito la prestanza: hai le spalle di un cavallo, gli dice durante il primo incontro. E proprio l’attrazione reciproca tra i due giovani, va a scardinare un caposaldo della struttura sociale italiana, la famiglia. La famiglia è subito inquadrata in modo anomalo da Visconti, che propone una coppia (Giovanna e il Bragana) formata per interesse, economico da parte di lei, estetico o di comodo da parte del marito. Ma in nessun caso c’è sentimento. L’arrivo di Gino scatena la passione di Giovanna, solo in seguito corrisposta da parte dell’uomo, ma a quel punto davvero nel profondo, in quello che si può intendere un primo significato del titolo Ossessione. La famiglia più canonica che va a formarsi verso il finale del film, Gino, Giovanna e il figlio in arrivo, nasce su più di un presupposto immorale (l’adulterio, l’omicidio) e non può che finire nel peggiore dei modi, con un incidente che, per una sorta di contrappasso, punisce Giovanna e il figlio che ha in grembo nello stesso modo in cui è stato eliminato il marito. Gino sopravvive, ma è catturato dalla polizia, e in ogni caso, le morti della donna amata e del figlio, ne sanciscono la totale assenza di futuro.
forse, Anita (Dhia Cristiani) la prostituta gentile. Lo spagnolo si rivela subito solidale (paga la multa sul treno a Gino), libero, artista, forse anche omosessuale; ma questo tema, se c’è, è sottointeso; in ogni caso si rivela alternativo, anticonvenzionale. La prospettiva che lo spagnolo offre a Gino è però una possibile fuga dalla realtà, più che una nuova realtà: quando l’uomo incontra di nuovo Giovanna, questa ha il sopravvento. Questo non avviene invece nella situazione opposta; situazione che si potrebbe dire praticamente speculare: Gino è con lo spagnolo ad una festa ad Ancona e trova casualmente il Bragana con Giovanna; poi alla festa organizzata con Giovanna allo spaccio, Gino incontra lo spagnolo. In tutti i due casi, l’uomo sceglie Giovanna, prima lasciando Ancona, poi restando allo spaccio. La soluzione offerta da Anita è invece una pura illusione, la stessa illusione amorosa che può offrire una prostituta; sarà infatti la possibilità di costruire una famiglia con Giovanna, che gli dichiara di essere incinta, a riportarlo da lei. Il punto cruciale e drammatico è che queste effimere distrazioni (lo spagnolo o Anita) nulla possono contro l’unico destino possibile per l’uomo; che però è un destino tragico e senza speranza.
A fronte di un rigore formale eccellente, permeato dalla
visione delle cose di Visconti e mai fine a se stesso o autocompiaciuto, il
film non concede molto alla platea, dal punto di vista della narrazione
leggera. Non è uno spettacolo divertente o di svago, Ossessione, quanto piuttosto un lucido esame di coscienza.
Purtroppo per noi, per niente indolore.
Clara Clalamai
Dhia Cristiani
Purtroppo per noi, per niente indolore.
Clara Clalamai
Dhia Cristiani
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