9_IL GRANDE CIELO (The big sky ). Stati Uniti, 1952; Regia di Howard Hawks
“E’ un territorio
immenso. La sola cosa che c’è di più grande è il cielo”. Con queste parole
Jim Deakins (Kirk Douglas) descrive il paesaggio protagonista del film Il grande Cielo, di Howard Hawks. E’ già
si capisce come, in questo lungometraggio, il grande regista americano operi in
modo fuorviante, e questo scartamento tra ciò che è dichiarato e la vera natura
delle cose, nasconda il punto focale del suo film. Perché intitolare un film Il grande cielo, quando il cielo stesso
è l’unica cosa più grande del paesaggio che si vorrebbe fisicamente mettere al
centro dell’attenzione, suona certo un po’ beffardo. Ma, d’altronde, chi se lo
sarebbe potuto aspettare che il finale che tiene sulle spine la voce narrante
di uno dei protagonisti, Zeb Calloway (uno strepitoso Arthur Hunnicutt), sia
legato ad una storia d’amore? Nessuno, perché seguendo i nostri eroi nel corso
del loro avventuroso viaggio, le vicende amorose sono davvero relegate in un
angolo: l’unica donna del manipolo è Occhio d’anatra, una squaw appartenente ai
Piedi Neri, che funge come sorta di lasciapassare per commerciare con questa
fino allora ostile tribù. (Pel la verità viene definita ostaggio da Frenchy
Jourdonnais, il capo della spedizione, ma è un termine fuori luogo visto che è
trattata con tutti i riguardi). Comunque sia, la donna parla solo la sua lingua, incomprensibile a tutti a parte Calloway. Ma la ragazza è graziosa e finisce in ogni caso per rientrare sia nelle mire di Jim, ma anche di Boone (Dewey Martin), suo fraterno amico e nipote di Zeb; il quale però, oltre ad essere interessato alla squaw, nutre al contempo un odio generalizzato nei confronti dei pellerossa.
Tuttavia nessuno dei due uomini è in grado di dialogare
con la donna: eppure, pur con queste flebili premesse, sarà sulla traccia
sentimentale che si giocherà il finale, alla faccia del ricco sviluppo
avventuroso fatto di ripetuti attacchi a cui è sottoposto il battello dei
nostri commercianti di pellicce, opera della potente Missouri River Company, quando non degli indiani Corvi o delle
insidie naturali. Il tema apertamente dichiarato del film è il viaggio del
battello risalendo il Missouri, da St. Louis fino alle terre dei Piedi Neri:
una versione fluviale (e antecedente) della conquista del west. Abbiamo detto però dei depistaggi, che sono la matrice dominante dell’opera: ad esempio, la storia narrata sembra quella di un’amicizia virile (tra Jim e Boone) che nasce da una scazzottata per arrivare ad un rapporto di fratellanza.
Ed ecco che ad un certo punto tra i due si
insinua una presenza femminile, peraltro molto discreta dal punto di vista
sentimentale. Apparentemente molto
discreta, dovremmo dire, visto l’importanza che assumerà nel finale; se
vogliamo del tutto incoerentemente con il trascorso precedente. E anche nello
specifico: tra i due, sebbene l’unico che abbia avuto più di un contatto fisico
(ma per nulla amichevole) sia il più giovane Boone, sembra evidente che debba
essere Jim, molto più maturo e carismatico, a ghermire il cuore della donna.E invece Occhio d’anitra sceglie proprio Boone, ancora una volta contro l’evidenza logica dei presupposti. Insomma, è un po’ come se l’opera andasse letta al contrario: Il grande cielo è un film che ci parla di un territorio da esplorare, e il viaggio in queste terre vergini, per quanto lungo e difficile, ci ricorda che l’importante è poter avere una casa in cui tornare. Nella taverna Jim e Boone cantano infatti “Oh whiskey leave me alone, remember I must go home” (Oh whisky lasciamo solo, ricorda che devo andare a casa): e nel momento decisivo, tutti tornano a casa; anche se non per tutti la casa è la stessa. Jim e l’equipaggio vanno a Saint Louis ripercorrendo il viaggio di andata.
Ma anche Boone, che dopo quell’unica giornata di navigazione decide (saggiamente) di ritornare da Occhio d’anatra, al villaggio di quegli indiani ostili, i Piedi Neri, non fa altro che tornare a casa.Quando era romantico, Hawks era davvero romantico.
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