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venerdì 20 ottobre 2017

NOTORIOUS-L'AMANTE PERDUTA

6_NOTORIOUS-L'AMANTE PERDUTA (Notorious). Stati Uniti, 1946;  Regia di Alfred Hitchcock

C’è qualcosa che sfugge sempre, quando si parla di Notorious - L’amante perduta di Alfred Hitchcock, e non è cosa da poco: quello che si fatica a cogliere è il motivo profondo del successo, ironicamente potremmo dire della fama, di questo film. Notorious, infatti, significa noto, ma perlopiù famigerato, di pessima fama, mentre quella che accompagna la pellicola è, al contrario, quella di un capolavoro non solo della carriera di Hitchcock ma del cinema in senso più ampio possibile. Eppure, quando poi ci si chiede di motivare questa reputazione, si fatica a trovare quelle definizioni che inquadrino in modo chiaro e netto il perché di tale unanime riscontro di pubblico e critica. La cosa che balza all’occhio è la veste classica dell’opera, con un equilibrio mirabile di tutte le componenti in concorso; l’impressione globale è di un film ben fatto, ben costruito, ben recitato, tutte cose indiscutibili ma anche troppo generiche, e che comunque non scaldano più di tanto lo spettatore. Prima di cercare di cogliere quest’ultimo aspetto, e proprio per riuscire a carpirlo, dobbiamo approfondire le caratteristiche dell’equilibrio interno a Notorious-L’amante perduta: la particolarità è che Hitchcock non vi arriva dosando di giustezza le varie componenti, ma piuttosto bilanciando le contrapposizioni. Cominciamo con l’elemento più importante dell’opera, che è indiscutibilmente Ingrid Bergman: l’attrice svedese interpreta la parte di Elena Huberman (Alicia nella versione originale), la figlia di una spia tedesca che vive in America.
Ora, la Bergman è una ragazza splendida a dir poco; ma è un tipo di bellezza molto sofisticato, diversa, nel senso di meno sessualmente esplicita, di una Ava Garden o di una Rita Hayworth (viste ne I Gangster e in Gilda, film entrambi del 1946, come appunto Notorious).Ebbene, Hitchcock prende l’attrice che abbiamo appena visto in Le campane di Santa Maria  (di Leo MaCarey, 1945) interpretare Suor Maria Benedetta, per affibbiarle la parte di una donna che si meriti appunto l’appellativo di famigerata (notorious), per la dubbia moralità. Il che è un concetto che stride, perché si fatica a vedere la Bergman sotto questa luce; e non aiuta nemmeno il fatto che il film si mantenga lontano dal mostrare esplicitamente questi riferimenti alla condotta poco morigerata della donna. Ma il lavoro di Hitchcock è puntuale e costante, e alla fine definisce un quadro senza possibilità di equivoci: innanzitutto il regista imbastisce una metafora tra l’alcool e il sesso, con la donna che beve in modo eccessivo ad una festa data poco dopo la morte del padre. Che già è un indizio negativo di come la ragazza elabori il lutto; inoltre nella suddetta festa, Elena si dichiara apertamente interessata a Devlin (Cary Grant), altro fatto sconveniente; chiude poi la serata guidando ubriaca, e il punto cruciale è appunto la relazione stretta con l’alcool.

Nel film il rapporto con le bevande tornerà altre volte (la scorta di champagne che diminuisce al ricevimento, la bottiglia vista per errore nella riunione tra i tedeschi, quelle in cantina con la polvere di uranio, l’avvelenamento tramite il caffè) ma la scena che ci interessa adesso è quella in cui Devlin dimentica lo champagne nell’ufficio degli agenti e non lo porta a casa per la cena. In quello specifico caso, la bottiglia di vino rappresenta la mancata consumazione della cena romantica con Elena (e di conseguenza, del dopocena). Quindi questa successiva metafora champagne-sesso conferma che, all’inizio della nostra storia, mostrandoci una ragazza dedita all’alcool, Hitchcock voleva dirci che questa era libertina anche sul piano sessuale. La strategia comunicativa del regista è, quindi, un mix tra l’approccio diretto (Elena si dichiara apertamente a Devlin) e la manovra avvolgente (il lato sessualmente disinibito della ragazza è deducibile, ma non in modo immediato). E così abbiamo visto come il personaggio della Bergman raggiunga un punto di equilibrio, per così dire classico, in modo inconsueto, attraverso una serie di forzature divergenti. Nel film ci sono altri due protagonisti importanti, in quanto quello mostrato è un gioco a tre, visto che, Notorious-L’amante perduta è sostanzialmente un melodramma. Uno è ovviamente Devlin, interpretato da Cary Grant. Si tratta di personaggio positivo, nonostante il nome sia un mezzo anagramma di Devil (diavolo); sulla questione nomi ci sarebbe da notare come Alicia (il nome originale del personaggio della Bergman) richiami, vista un po’ la situazione, Alice nel paese delle meraviglie, dove, una volta attraversato lo specchio deformante hithcockiano, potrebbe suonare più o meno così: ragazza famigerata in un covo di spie.

Tornando a Devlin non si può evitare di notare come nella sua entrata in scena sia mostrato in ombra, di spalle: bel tenebroso, ma anche assai poco rassicurante. Così come quando lo si vede inclinato di 45°, spostarsi nella stanza muovendosi alla rovescia: scena resa plausibile dalla soggettiva di Elena ubriaca, ma comunque inquietante. L’ambiguità dell’uomo è mantenuta per tutto il film: ama la donna, ma al contempo persevera in un atteggiamento scostante nei suoi confronti. E’ chiaro che il comportamento di Devlin serve a mantenere la storia in equilibrio, sebbene la noncuranza con cui evita di influenzare Elena nelle scelte cruciali, arrivando a spingerla, in fin dei conti, nel letto di un altro, sia un po’ debole sul piano narrativo. Hitchcock si aggrappa alle caratteristiche della storia d’amore, che prevede questi tira e molla estenuanti, e riesce così a rendere plausibile anche questi passaggi poco credibili, visto che, per logica, anche Elena avrebbe dovuto capire i sentimenti di Devlin, nei suoi confronti, ben prima del finale. Ma sono sfumature sulle quali il regista non indugia, e concentra invece la nostra attenzione altrove, permettendo così al meccanismo narrativo di procedere senza intoppi. Anche Devlin è dunque un personaggio che trova il suo equilibrio attraverso forze tra loro in opposizione: è uno dei buoni, ma si comporta in malo modo con la donna che ama. Emblematico, di questo atteggiamento, è il bacio al ricevimento: se in origine Devlin doveva cercare di incontrarsi con Elena senza dare nell’occhio al marito di lei, poi le circostanze lo inducono addirittura a baciarla proprio per attirare l’attenzione di questi.
E quel bacio tra Devlin e Elena, bacio finto che deve sembrare appassionato, ma è appassionato perché vero, è uno dei cardini di tutta l’opera. Il citato marito di Elena, Alessio Sebastian (Claude Rains) è il lato debole del triangolo amoroso tipicamente melodrammatico. E’ anche un nazista rifugiatosi in Brasile, dove insieme ad alcuni connazionali sta cercando di riorganizzarsi; quanto di peggio potrebbe esistere, appena dopo la Seconda Guerra Mondiale. Eppure Alessio è fondamentalmente un debole, verrebbe quasi da dire un buono, se non fosse per il suo essere nazista; è comunque perdutamente innamorato di Elena, e nel suo amore è sicuramente onesto e meno ambiguo, ad esempio, di Devlin. E’ quindi anch’esso un personaggio che riesce a stare in una posizione intermedia, un cattivo che però è animato, nei confronti della protagonista, delle migliori intenzioni. A creare un legame doppio con Elena c’è anche una sorta di gioco incrociato nei rapporti con il proprio genitore. Elena si ribellò al padre, ma solo in privato e non compiutamente; per potersi liberare del tutto deve forse ristabilire un rapporto simile con Alessio (vista la differenza di età), per poi romperlo definitivamente. Ed Alessio ne è la controparte, essendo a sua volta succube della madre, ma, diversamente da Elena, per lui non c’è possibilità di scampo, visto che la donna che accetta di sposarlo (e con cui vorrebbe, in un certo senso, sostituire la madre) lo fa al solo scopo di tradirlo. Tradimento di Elena che è anch’esso doppio: tradisce la fiducia di Alessio, mentre tradisce l’amore per Devlin. Tutti questi legami, questi rimandi, questi intrecci, e si potrebbe continuare trovandone altri, servono a mantenere quell’equilibrio generale dell’opera, che verte appunto su una serie di forze divergenti e convergenti, e che rendono perfetta la struttura di Notorious-l’amante perduta. Ma naturalmente non sono questi aspetti che rendono l’opera appassionante per lo spettatore: qui ci sguazza forse il critico, ma il pubblico si conquista con altro.
Però questa mirabile impostazione del film è importante, perché è lo scheletro su cui Hitchcock innesta poi la vicenda, un melodramma, una storia d’amore che appassiona, che però rispetto alle solite pellicole di questo genere ha una sostanziale differenza. Là, dove nel tipico melò vengono sfruttate le note sentimentali per creare il pathos amoroso, Hitchcock utilizza invece gli strumenti del giallo e del thriller, per ottenere lo stesso effetto. Non sono quindi le scene strappalacrime ad emozionarci, a farci palpitare per le pene d’amore dei protagonisti, ma le sopraffine sequenze pregne di suspense tipiche del regista inglese. Solo che, stavolta, il fine agognato non è tanto la salvezza del mondo o questo genere di cose; chi se ne frega, in fondo, dell’uranio nelle bottiglie? Stavolta, quello che ci preme è che Elena possa finalmente congiungersi a Devlin, esattamente quello per cui si sospira in un melodramma; ma qui ci si arriva con i meccanismi del racconto del brivido. Le scene fantastiche, quella delle chiavi, con la gru che scende da un grandangolo sulla sala fino al particolare della chiave nelle mani di Elena, e che si risolve con l’abbraccio di lei ad Alessio, oppure quella del ricevimento, dove Devlin ed Elena devono improvvisare un bacio galeotto per far ingelosire il marito e distrarlo dal reale motivo della loro presenza al piano inferiore, sono emblematiche oltre che magistrali, perché mischiano l’elemento suspense che sfocia in una scena romantica. Se l’eccessivo sentimentalismo del melodramma ha tarpato un po’ le ali a questo genere, visto che il gusto moderno si discosta da questo tipo di esternazioni, Notorious-L’amante perduta, riesce così a riprenderne la forza emotiva utilizzando gli stilemi più moderni del giallo. E in questo senso ci sono tantissime scene memorabili, ad esempio la citata della chiave della cantina da sottrarre ad Alessio durante il ricevimento, con le bottiglie di champagne che diminuiscono avvicinando il momento in cui lo stesso Alessio cercherà quindi la chiave, con la suspense alimentata dai due magistrali intarsi della sceneggiatura.
Ma tutte le sequenze sono pensate, girate e calibrate con la funzionalità di un congegno ad orologeria geometrica: il film si apre e si chiude con Elena che esce vacillante da un ambiente ostile (il tribunale nell’incipit, la casa di Alessio nel finale), mentre dopo l’inizio e prima della fine (a rendere una sorta di effetto speculare della struttura della storia) la vediamo già in difficoltà alle prese con Devlin (ubriaca alla festicciola, avvelenata nella residenza Sebastian). E il dialogo sulla terrazza, poco prima della cena che non verrà consumata, sembra una scena dolcemente romantica, con i due abbracciati e inquadrati insieme, ma subisce una brusca svolta con il “quante volte l’hai sentita dire?” con cui Devlin risponde con cattiva ironia alla povera Elena, che scherzando ipotizzava le frasi con cui lui volesse da lei congedarsi, rivelandole di avere già una famiglia. E nell’amara successiva risposta della ragazza, “tanto spesso che lo so a memoria”, accompagnata da uno splendido primo piano sulla Bergman, c’è tutta la sensibilità di un’opera di cui, parlando solo della precisione quasi meccanica, si farebbe torto a dimenticare. Perché forse è vero che nel ‘bacio più lungo della storia del cinema’, quello che si danno Elena e Devlin, quello accompagnato dalla macchina da presa, quello che va dalla terrazza al telefono e poi alla porta, in un susseguirsi di giravolte e mezze pause, cinematograficamente c’è più tecnica che sentimento, ma in ogni caso la prima è al servizio del secondo.
Ecco insomma perché Notorious-L’amante perduta è un capolavoro: è il genio di Hitchcock al servizio della sua star, Ingrid Bergman; nel modo in cui qualunque uomo vorrebbe romanticamente esserlo della propria amata.


Ingrid Bergman
















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