6_NOTORIOUS-L'AMANTE PERDUTA (Notorious). Stati Uniti, 1946; Regia di Alfred Hitchcock
C’è qualcosa che sfugge sempre, quando si parla di Notorious - L’amante perduta di Alfred
Hitchcock, e non è cosa da poco: quello che si fatica a cogliere è il motivo
profondo del successo, ironicamente potremmo dire della fama, di questo film. Notorious,
infatti, significa noto, ma perlopiù famigerato, di pessima fama, mentre quella
che accompagna la pellicola è, al contrario, quella di un capolavoro non solo
della carriera di Hitchcock ma del cinema in senso più ampio possibile. Eppure,
quando poi ci si chiede di motivare questa reputazione, si fatica a trovare quelle
definizioni che inquadrino in modo chiaro e netto il perché di tale unanime
riscontro di pubblico e critica. La cosa che balza all’occhio è la veste
classica dell’opera, con un equilibrio mirabile di tutte le componenti in
concorso; l’impressione globale è di un film ben fatto, ben costruito, ben recitato,
tutte cose indiscutibili ma anche troppo generiche, e che comunque non scaldano
più di tanto lo spettatore. Prima di cercare di cogliere quest’ultimo aspetto, e
proprio per riuscire a carpirlo, dobbiamo approfondire le caratteristiche
dell’equilibrio interno a Notorious-L’amante
perduta: la particolarità è che Hitchcock non vi arriva dosando di giustezza
le varie componenti, ma piuttosto bilanciando le contrapposizioni. Cominciamo con l’elemento più importante dell’opera, che è
indiscutibilmente Ingrid Bergman: l’attrice svedese interpreta la parte di
Elena Huberman (Alicia nella versione originale), la figlia di una spia tedesca che vive in America.
Ora, la Bergman è una ragazza splendida a dir poco; ma è un tipo di bellezza molto sofisticato, diversa, nel senso di meno sessualmente esplicita, di una Ava Garden o di una Rita Hayworth (viste ne I Gangster e in Gilda, film entrambi del 1946, come appunto Notorious).Ebbene, Hitchcock prende l’attrice che abbiamo appena visto
in Le campane di Santa Maria (di Leo MaCarey, 1945) interpretare Suor
Maria Benedetta, per affibbiarle la parte di una donna che si meriti appunto
l’appellativo di famigerata
(notorious), per la dubbia moralità. Il che è un concetto che stride, perché si
fatica a vedere la Bergman
sotto questa luce; e non aiuta nemmeno il fatto che il film si mantenga lontano
dal mostrare esplicitamente questi riferimenti alla condotta poco morigerata
della donna. Ma il lavoro di Hitchcock è puntuale e costante, e alla fine
definisce un quadro senza possibilità di equivoci: innanzitutto il regista
imbastisce una metafora tra l’alcool e il sesso, con la donna che beve in modo
eccessivo ad una festa data poco dopo la morte del padre. Che già è un indizio negativo di come la ragazza elabori il
lutto; inoltre nella suddetta festa, Elena si dichiara apertamente interessata a Devlin (Cary Grant), altro fatto sconveniente; chiude poi la serata guidando ubriaca, e il punto cruciale è appunto la relazione stretta con l’alcool.
Nel film il rapporto con le bevande tornerà altre volte (la scorta di
champagne che diminuisce al ricevimento, la bottiglia vista per errore nella
riunione tra i tedeschi, quelle in cantina con la polvere di uranio,
l’avvelenamento tramite il caffè) ma la scena che ci interessa adesso è quella
in cui Devlin dimentica lo champagne nell’ufficio degli agenti e non lo porta a
casa per la cena. In quello specifico caso, la bottiglia di vino rappresenta la
mancata consumazione della cena
romantica con Elena (e di conseguenza, del dopocena). Quindi questa successiva
metafora champagne-sesso conferma che, all’inizio della nostra storia, mostrandoci
una ragazza dedita all’alcool, Hitchcock voleva dirci che questa era libertina
anche sul piano sessuale. La strategia comunicativa del regista è, quindi, un
mix tra l’approccio diretto (Elena si dichiara apertamente a Devlin) e la
manovra avvolgente (il lato sessualmente disinibito della ragazza è deducibile,
ma non in modo immediato). E così abbiamo visto come il personaggio della
Bergman raggiunga un punto di equilibrio, per così dire classico, in modo inconsueto, attraverso una serie di forzature divergenti.
Nel film ci sono altri due protagonisti importanti, in quanto quello mostrato è
un gioco a tre, visto che, Notorious-L’amante
perduta è sostanzialmente un melodramma. Uno è ovviamente Devlin,
interpretato da Cary Grant. Si tratta di personaggio positivo, nonostante il
nome sia un mezzo anagramma di Devil (diavolo); sulla questione nomi ci sarebbe
da notare come Alicia (il nome originale del personaggio della Bergman)
richiami, vista un po’ la situazione, Alice
nel paese delle meraviglie, dove, una volta attraversato lo specchio
deformante hithcockiano, potrebbe suonare
più o meno così: ragazza famigerata in un
covo di spie.
Tornando a Devlin non si può evitare di notare come nella
sua entrata in scena sia mostrato in ombra, di spalle: bel tenebroso, ma anche
assai poco rassicurante. Così come quando lo si vede inclinato di 45°,
spostarsi nella stanza muovendosi alla rovescia: scena resa plausibile dalla
soggettiva di Elena ubriaca, ma comunque inquietante. L’ambiguità dell’uomo è
mantenuta per tutto il film: ama la donna, ma al contempo persevera in un
atteggiamento scostante nei suoi confronti. E’ chiaro che il comportamento di
Devlin serve a mantenere la storia in equilibrio, sebbene la noncuranza con cui
evita di influenzare Elena nelle scelte cruciali, arrivando a spingerla, in fin
dei conti, nel letto di un altro, sia un po’ debole sul piano narrativo.
Hitchcock si aggrappa alle caratteristiche della storia d’amore, che prevede
questi tira e molla estenuanti, e riesce così a rendere plausibile anche questi
passaggi poco credibili, visto che, per logica, anche Elena avrebbe dovuto
capire i sentimenti di Devlin, nei suoi confronti, ben prima del finale. Ma
sono sfumature sulle quali il regista non indugia, e concentra invece la nostra
attenzione altrove, permettendo così al meccanismo narrativo di procedere senza
intoppi. Anche Devlin è dunque un personaggio che trova il suo equilibrio
attraverso forze tra loro in opposizione: è uno dei buoni, ma si comporta in malo modo con la donna che ama. Emblematico,
di questo atteggiamento, è il bacio al ricevimento: se in origine Devlin doveva
cercare di incontrarsi con Elena senza dare nell’occhio al marito di lei, poi
le circostanze lo inducono addirittura a baciarla proprio per attirare
l’attenzione di questi.
E quel bacio tra Devlin e Elena, bacio finto che deve
sembrare appassionato, ma è appassionato perché vero, è uno dei cardini di
tutta l’opera. Il citato marito di Elena, Alessio Sebastian (Claude Rains) è il
lato debole del triangolo amoroso tipicamente melodrammatico. E’ anche un
nazista rifugiatosi in Brasile, dove insieme ad alcuni connazionali sta
cercando di riorganizzarsi; quanto di peggio potrebbe esistere, appena dopo la Seconda Guerra Mondiale. Eppure
Alessio è fondamentalmente un debole, verrebbe quasi da dire un buono, se non fosse per il suo essere
nazista; è comunque perdutamente innamorato di Elena, e nel suo amore è
sicuramente onesto e meno ambiguo, ad esempio, di Devlin. E’ quindi anch’esso
un personaggio che riesce a stare in una posizione intermedia, un cattivo che
però è animato, nei confronti della protagonista, delle migliori intenzioni. A
creare un legame doppio con Elena c’è anche una sorta di gioco incrociato nei
rapporti con il proprio genitore. Elena si ribellò al padre, ma solo in privato
e non compiutamente; per potersi liberare del tutto deve forse ristabilire un
rapporto simile con Alessio (vista la differenza di età), per poi romperlo
definitivamente. Ed Alessio ne è la controparte, essendo a sua volta succube
della madre, ma, diversamente da Elena, per lui non c’è possibilità di scampo, visto
che la donna che accetta di sposarlo (e con cui vorrebbe, in un certo senso, sostituire la madre) lo fa al solo scopo
di tradirlo. Tradimento di Elena che è anch’esso doppio: tradisce la fiducia di
Alessio, mentre tradisce l’amore per Devlin. Tutti questi legami, questi rimandi, questi
intrecci, e si potrebbe continuare trovandone altri, servono a mantenere
quell’equilibrio generale dell’opera, che verte appunto su una serie di forze
divergenti e convergenti, e che rendono perfetta la struttura di Notorious-l’amante perduta. Ma
naturalmente non sono questi aspetti che rendono l’opera appassionante per lo
spettatore: qui ci sguazza forse il critico, ma il pubblico si conquista con
altro.
Però questa mirabile impostazione del film è importante, perché è lo scheletro su cui Hitchcock innesta poi la vicenda, un melodramma, una storia d’amore che appassiona, che però rispetto alle solite pellicole di questo genere ha una sostanziale differenza. Là, dove nel tipico melò vengono sfruttate le note sentimentali per creare il pathos amoroso, Hitchcock utilizza invece gli strumenti del giallo e del thriller, per ottenere lo stesso effetto. Non sono quindi le scene strappalacrime ad emozionarci, a farci palpitare per le pene d’amore dei protagonisti, ma le sopraffine sequenze pregne di suspense tipiche del regista inglese. Solo che, stavolta, il fine agognato non è tanto la salvezza del mondo o questo genere di cose; chi se ne frega, in fondo, dell’uranio nelle bottiglie? Stavolta, quello che ci preme è che Elena possa finalmente congiungersi a Devlin, esattamente quello per cui si sospira in un melodramma; ma qui ci si arriva con i meccanismi del racconto del brivido. Le scene fantastiche, quella delle chiavi, con la gru che scende da un grandangolo sulla sala fino al particolare della chiave nelle mani di Elena, e che si risolve con l’abbraccio di lei ad Alessio, oppure quella del ricevimento, dove Devlin ed Elena devono improvvisare un bacio galeotto per far ingelosire il marito e distrarlo dal reale motivo della loro presenza al piano inferiore, sono emblematiche oltre che magistrali, perché mischiano l’elemento suspense che sfocia in una scena romantica. Se l’eccessivo sentimentalismo del melodramma ha tarpato un po’ le ali a questo genere, visto che il gusto moderno si discosta da questo tipo di esternazioni, Notorious-L’amante perduta, riesce così a riprenderne la forza emotiva utilizzando gli stilemi più moderni del giallo. E in questo senso ci sono tantissime scene memorabili, ad esempio la citata della chiave della cantina da sottrarre ad Alessio durante il ricevimento, con le bottiglie di champagne che diminuiscono avvicinando il momento in cui lo stesso Alessio cercherà quindi la chiave, con la suspense alimentata dai due magistrali intarsi della sceneggiatura.
Però questa mirabile impostazione del film è importante, perché è lo scheletro su cui Hitchcock innesta poi la vicenda, un melodramma, una storia d’amore che appassiona, che però rispetto alle solite pellicole di questo genere ha una sostanziale differenza. Là, dove nel tipico melò vengono sfruttate le note sentimentali per creare il pathos amoroso, Hitchcock utilizza invece gli strumenti del giallo e del thriller, per ottenere lo stesso effetto. Non sono quindi le scene strappalacrime ad emozionarci, a farci palpitare per le pene d’amore dei protagonisti, ma le sopraffine sequenze pregne di suspense tipiche del regista inglese. Solo che, stavolta, il fine agognato non è tanto la salvezza del mondo o questo genere di cose; chi se ne frega, in fondo, dell’uranio nelle bottiglie? Stavolta, quello che ci preme è che Elena possa finalmente congiungersi a Devlin, esattamente quello per cui si sospira in un melodramma; ma qui ci si arriva con i meccanismi del racconto del brivido. Le scene fantastiche, quella delle chiavi, con la gru che scende da un grandangolo sulla sala fino al particolare della chiave nelle mani di Elena, e che si risolve con l’abbraccio di lei ad Alessio, oppure quella del ricevimento, dove Devlin ed Elena devono improvvisare un bacio galeotto per far ingelosire il marito e distrarlo dal reale motivo della loro presenza al piano inferiore, sono emblematiche oltre che magistrali, perché mischiano l’elemento suspense che sfocia in una scena romantica. Se l’eccessivo sentimentalismo del melodramma ha tarpato un po’ le ali a questo genere, visto che il gusto moderno si discosta da questo tipo di esternazioni, Notorious-L’amante perduta, riesce così a riprenderne la forza emotiva utilizzando gli stilemi più moderni del giallo. E in questo senso ci sono tantissime scene memorabili, ad esempio la citata della chiave della cantina da sottrarre ad Alessio durante il ricevimento, con le bottiglie di champagne che diminuiscono avvicinando il momento in cui lo stesso Alessio cercherà quindi la chiave, con la suspense alimentata dai due magistrali intarsi della sceneggiatura.
Ma tutte le sequenze sono pensate, girate e calibrate con la
funzionalità di un congegno ad orologeria geometrica: il film si apre e si
chiude con Elena che esce vacillante da un ambiente ostile (il tribunale nell’incipit,
la casa di Alessio nel finale), mentre dopo l’inizio e prima della fine (a
rendere una sorta di effetto speculare della struttura della storia) la vediamo
già in difficoltà alle prese con Devlin (ubriaca alla festicciola, avvelenata
nella residenza Sebastian). E il dialogo sulla terrazza, poco prima della cena
che non verrà consumata, sembra una scena dolcemente romantica, con i due
abbracciati e inquadrati insieme, ma subisce una brusca svolta con il “quante volte l’hai sentita dire?” con
cui Devlin risponde con cattiva ironia alla povera Elena, che scherzando
ipotizzava le frasi con cui lui volesse da lei congedarsi, rivelandole di avere
già una famiglia. E nell’amara successiva risposta della ragazza, “tanto spesso che lo so a memoria”,
accompagnata da uno splendido primo piano sulla Bergman, c’è tutta la
sensibilità di un’opera di cui, parlando solo della precisione quasi meccanica,
si farebbe torto a dimenticare. Perché forse è vero che nel ‘bacio più lungo della storia del cinema’,
quello che si danno Elena e Devlin, quello accompagnato dalla macchina da
presa, quello che va dalla terrazza al telefono e poi alla porta, in un
susseguirsi di giravolte e mezze pause, cinematograficamente c’è più tecnica
che sentimento, ma in ogni caso la prima è al servizio del secondo.
Ecco insomma perché Notorious-L’amante
perduta è un capolavoro: è il genio di Hitchcock al servizio della sua
star, Ingrid Bergman; nel modo in cui qualunque uomo vorrebbe romanticamente
esserlo della propria amata.
Ingrid Bergman
Ingrid Bergman
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