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mercoledì 25 ottobre 2017

LA CALDA NOTTE DELL'ISPETTORE TIBBS

11_LA CALDA NOTTE DELL'ISPETTORE TIBBS (In the heat of the night). Stati Uniti, 1967;  Regia di Norman Jewison.

Poliziesco teso ed avvincente, questo In the Heat of the Night rivela un’anima gialla anche nel suo depistare lo spettatore e nel farlo non solo con gli intrecci della trama. Intrecci che, giova dirlo prima di ogni cosa, legano lo spettatore alla poltrona per tutti i 109 minuti del film. C’è forse anche un richiamo, quasi un’esca, ad un film che nel genere ha fatto scuola: all’inizio del lungometraggio, uno stralunato barista dietro il bancone di una locanda sta’ dando la caccia ad una mosca. L’aspetto del protagonista, il locale che assomiglia un po’ al tipico motel americano, la presenza della mosca, le inquadrature della macchina da presa, tutto questo insieme di cose ci rimanda un po’ allo strepitoso Psyco di Alfred Hitchcock. Il film è un giallo, sembra quindi dirci Norman Jewison (sebbene quello di Hitch sia molto di più, in realtà). E da questo punto di vista, come giallo di intrattenimento, Jewison assolve appieno al suo scopo; il divertimento nella visione è assicurato. Ma già da subito si capisce che c’è dell’altro: il protagonista della vicenda è un poliziotto nero capitato per caso  in una sonnolenta cittadina del Mississipi, Sparta, dove il tempo pare essersi fermato all’epoca dello schiavismo. Il tema del razzismo è quindi immediatamente sovrapponibile alla trama poliziesca e viene facile pensare ad una doppia chiave di lettura, da un lato l’aspetto ludico del giallo da risolvere, contrapposto al tema impegnato della discriminazione razziale. La questione, in realtà, non è così semplice. Esiste anche una contrapposizione tra i protagonisti del film: Tibbs, il nero (Sidney Poitier), è alto, bello, intelligente, educato, istruito e, soprattutto, competente ed efficiente. 

Gillespie, il bianco (uno strepitoso Rod Steiger) capo della polizia locale, è tarchiato, rozzo, un po’ ignorante e, in un certo senso, anche emarginato. Eppure il vero protagonista del film è Gillespie. E’ lui che compie i più significativi, dolorosi e per niente spontanei, sviluppi nel corso della pellicola. E le motivazioni di questo percorso, che il capo della polizia compie comunque malvolentieri, quasi costretto dalle evidenze ma riluttante fino alla fine, sono il vero aspetto interessante del film. Gillespie abbandona i pregiudizi contro Tibbs non per motivi etici; non ha infatti la cifra morale per farlo, è solo un rozzo poliziotto del Mississipi. 

E nemmeno per l’aspetto elegante e benestante di Tibbs; anzi, Gillespie pare indispettito quando ne conosce l’entità dello stipendio. Forse una prima crepa nell’ottusa ignoranza razzista di Gillespie è dovuta alle capacità professionali dell’ispettore di Filadelfia; Steiger è eccellente nel descrivere i turbamenti interiori del capo della polizia di Sparta e quando richiede consulenza a Tibbs, che è un Ispettore della Omicidi, mostra sul volto di Gillespie le prime incertezze. Ma la scintilla sembra scoccare quando Tibbs reagisce ad un latifondista del luogo: questi schiaffeggia l’ispettore, che ricambia istantaneamente con la stessa moneta.

Qui, a Sparta, nel Mississipi, sud degli Stati Uniti, nel 1967, é lecito attendersi una pesante reazione contro l’afroamericano da parte del Capo della Polizia presente allo scambio di schiaffi. La reazione c’è, e anche pesante, ma è tutta interiore a Gillespie: l’iracondo poliziotto percepisce finalmente delle affinità con Tibbs, che reagisce con rabbia istintiva, proprio come avrebbe fatto lui. Quindi, dapprima in modo comunque un po’ riluttante, poi via via sempre più apertamente, Gillespie matura un atteggiamento amichevole e di stima nei confronti dell’uomo di colore. E’ quindi una pellicola progressista, questo La calda notte dell’ispettore Tibbs, ma lo è in modo non banale; non è che si giustifichino le resistenze allo sviluppo e all’uguaglianza razziale degli abitanti degli Stati del Sud, ma si evidenziano le oggettive difficoltà dovute alla diffusa ignoranza e a secoli di ottusità culturale.
Molto bella la scena che prepara il finale: un uomo in borghese, elegantemente vestito, si dirige verso una carrozza del treno; un poliziotto,  per niente elegante, gli porta la valigia mentre il ferroviere gli posiziona il predellino per accedere alla scaletta.
Ah, i due al lavoro in divisa sono bianchi, quello elegante un nero. Ma questi dovrebbero essere dettagli trascurabili. E, per una volta, lo sono.

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