16_DUNKIRK (Dunkirk) Regno Unito, Olanda, Francia, Stati Uniti, 2017; Regia di Christopher Nolan.
Un espediente narrativo usato spessissimo nei fumetti, ad
esempio in quelli di Paperino, vede
il nostro protagonista addormentarsi sotto una pianta e sognare di essere
questo o quell’eroe, oppure di vivere in un’altra epoca, interpretando nel
sogno, magari insieme agli abituali compagni di avventura, una vicenda storica
famosa. Al risveglio, Paperino o chi
per lui, tornerà alla sua vita abituale; ma per gli autori lo stratagemma del
sogno è comodissimo per ambientare le storie in luoghi o tempi diversi.
Christopher Nolan conosce sicuramente molto bene i comics avendo diretto la trilogia di Batman-Il Cavaliere Oscuro; e infatti ecco che in un passaggio, nel
finale del suo Dunkirk, getta una
piccola esca, apparentemente senza troppo significato. L’evacuazione delle
truppe inglesi dalla Francia è ormai conclusa, e abbiamo ancora negli occhi e
nelle orecchie il fragore delle scene, quando un soldato sul molo d’imbarco si
sveglia. Buon per lui che ci sono ancora gli ultimi ufficiali e quindi, può
imbarcarsi, ma per un attimo viene il dubbio che tutto il pandemonio appena
terminato possa essere stato un sogno di quel soldato; nel qual caso, più che
un sogno, sarebbe stato un incubo. Ovviamente lo è, un incubo, ma un incubo a
occhi aperti; vi è sembrato un incubo? sembra infatti volerci dire Nolan, ma è realtà. Perché la realtà della
guerra è ben peggiore di qualsiasi incubo partorito dalla fantasia di qualsiasi
narratore. Che poi a questo punto verrebbe anche da chiedersi se Dunkirk sia effettivamente un film di
guerra; naturalmente lo è, perché mostra una ricostruzione, romanzata o meno,
di un evento storico inerente alla Seconda Guerra Mondiale, la famosa Operazione Dynamo. Che tecnicamente è
nota come un’evacuazione ma ai più somiglia ad una fuga dal campo di
battaglia, sebbene fatta in modo organizzato e senza scadere in un’infamante,
in termini militari, rotta disordinata.
Anzi; nel film di Nolan, i soldati inglesi non tradiscono la
loro indole rispettosa delle code e stanno tutti composti in fila indiana,
pronti per essere imbarcati e portati a casa. Sono talmente ordinati che non
sembrano nemmeno uomini, e meno che mai uomini in fuga; somigliano a piccoli
ingranaggi che si muovono in modo coordinato anche sotto le micidiali picchiate
degli stukas tedeschi. Ma andiamo con
ordine; all’inizio del film tre didascalie danno le istruzioni per comprendere
il meccanismo di Dunkirk: ci sono tre
linee temporali, di differente durata, per i tre grandi elementi militari in
gioco, terra, acqua e aria (al fuoco ci pensano i tedeschi). La storia sulla
terraferma dura una settimana, quella sul mare un giorno e in aria dovrà
bastare invece solo un’ora: e già abbiamo un indizio di quale forse sia uno dei
temi di Dunkirk. Infatti si può notare
come le tre linee narrative siano intrecciate, pur avendo lunghezze temporali
diverse, il che significa che il tempo è una variabile. Che, ahinoi, diminuisce
al diminuire delle nostre certezze: alla settimana sulla solida terraferma, fa
da contraltare la misera ora a disposizione nell’inconsistenza dei cieli. Nolan
mette queste istruzioni ad inizio film e dà quindi il via al conto alla
rovescia, scandito magnificamente dal ticchettio e dalle musiche della totalizzante
colonna sonora di Hans Zimmer.
La messa in scena maestosa di Nolan è magnificamente
cinematografica e si affida agli stilemi del cinema muto con l’ausilio di un
supporto sonoro di grandissimo livello; a questo punto i dialoghi servono a
poco. Anche perché quando si scappa, ma per davvero, non si ha troppa voglia di
parlare. E allora le scelte del regista britannico appaiono giustificate anche
nell’ottica di dare una resa concreta, vivibile, all’orrore della guerra. E su
tutte le scene, ma soprattutto nell’incipit, grava un senso onirico, come se
tutto fosse un gigantesco incubo. Ma non è un incubo: il risveglio del soldato,
che si ritrova nella stessa drammatica realtà lasciata al momento di
addormentarsi, è la prova che ci porta Nolan per dirci che non si tratta di un
incubo. E’ una realtà da incubo.
Ma non possono sfuggire anche tutti quei segnali che ci
dicono che Dunkirk è un film
particolare anche in rapporto al suo essere un film di guerra, o non essere solo un film di guerra. Se ne possono
citare alcune, di queste anomalie rispetto ad un canonico film bellico: per
cominciare, non è mostrato un conflitto vero e proprio, ma piuttosto una
ritirata. I nostri non fanno altro
che scappare, a parte il lavoro svolto dagli Spitfire, sebbene anche questi non se la passino troppo bene,
costretti all’ammaraggio quando non declassati al ruolo di aliante. L’Operazione Dynamo sembra l’esatto opposto di un’operazione militare, visto che
sono i civili a salvare i militari. E se non ci sono gli americani, che sulle spiagge di Normandia al cinema sono elemento
indispensabile in ogni film bellico, mancano pure i tedeschi, anche se fanno
giusto una capatina nel finale, sempre al netto dell’ossessiva e martellante
presenza della Luftwaffe che però,
più che vedersi, si sente. Se
paragoniamo poi i due eventi cruciali sulle spiagge di Normandia, noteremo una
simmetria speculare alquanto insolita: nell’Operazione
Overlord, abbiamo uno sbarco disordinato, nel quale, nella maggior parte
dei casi, i soldati andavano incontro a morte certa; a Dunkerque i soldatini
inglesi attendono pazientemente incolonnati di imbarcarsi per fuggire al
nemico. Esattamente il contrario, per cui si potrebbe affermare che Dunkirk si presenta con presupposti che
sono esattamente contrari ad uno dei più classici tra gli episodi di guerra.
Ma allora ben difficilmente il fulcro centrale della
questione può essere strettamente inerente all’aspetto bellico. Il tempo, lo
spazio, le difficoltà da affrontare, sono infatti temi universali; e Nolan
sembra volerci mostrare come, anche a fronte di scene di grandissima efficace evidenza,
spesso non si riesce a capire, vuoi perché nelle avversità il tempo scorre
troppo veloce o il terreno manca sotto i piedi o, al contrario, non si trova un
angolo dove nascondersi. Il tema dell’incapacità di vedere, di capire quello
che succede è evidenziato nel finale, quando i soldati non si rendono conto di
essere accolti con favore, nonostante la debacle
militare; e del resto, l’Operazione
Dynamo è acclamata in patria come un successo, (umanamente in effetti lo è,
ma non in termini militari anche per via dell’impiego dei civili), ma
nell’insieme forse ci sarebbe poco da festeggiare, in considerazione di quanto
sarebbe costato in seguito riconquistare la posizione sul continente. Anche il
ragazzo morto sulla barca viene raccontato come un eroe ma la sua morte,
purtroppo, ha ben poco di eroico. Retorica di guerra, d’accordo, di cui Nolan sottolinea
la falsità; ma di cui, nonostante sia palese, in pochi si accorgono. Il
passaggio cruciale avviene quando i soldati sbarcano in patria e ad accoglierli
trovano un non vedente che si congratula con loro per essere arrivati sani e
salvi; che di fatto, è l’unica cosa che conta. Non solo il soldato non si rende
conto del significato delle parole dell’uomo, pur avendo vissuto sulla propria
pelle quell’esperienza; ma, pur potendolo guardare in faccia, non comprende
nemmeno che questi è cieco, e scambia la sua naturale incapacità di guardarlo
negli occhi come un segno di disprezzo.
Dunkirk è un film
che esalta l’aspetto visivo e partecipativo dello spettatore all’ennesima
potenza; ma lo avverte: a volte, per capire le cose, non basta guardarle e
nemmeno viverle.
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