5_L'UOMO DI LARAMIE (The Man from Laramie). Stati Uniti, 1955; Regia di Anthony Mann
Quinto capitolo del binomio tra il regista Anthony Mann e
l’attore James Stewart, questo L’uomo di
Laramie è un capolavoro del genere western
e del cinema tout-cort. Il titolo è, innanzitutto, curioso: viene esplicitata
la provenienza geografica del protagonista, quando questa non ha apparentemente
alcuna importanza per la storia raccontata; cosa che viene pure ribadita dallo
stesso Will Lockhart (il personaggio interpretato dal grandissimo Jimmy
Stewart), in uno dei dialoghi del film. La cosa che conta, in questa vicenda di
profonde ispirazioni shakespeariane, è che Lockhart viene da fuori, è un
estraneo che arriva nella cittadina di frontiera di Coronado. In realtà la
trama è complessa ma calibrata in modo magistrale, ed è composta da due piani
che si incastrano alla perfezione. Lockhart è alla ricerca del responsabile
della morte del fratello, un militare ucciso dagli Apache: la caccia a chi ha
venduto le armi a ripetizione agli indiani lo porta appunto a Coronado. Nella
cittadina il nostro trova un ambiente ostile, chiuso, praticamente medioevale,
e la sua venuta sarà il detonatore per la violenza ivi coltivata ma finora
sempre repressa dal despota locale, Alec Waggoman. Naturalmente, l’incastro tra
le due vicende, la ricerca dei trafficanti di armi e la comunità sottoposta
alle angherie del ricco proprietario, è che la prima troverà soluzione giusto
in seno alla seconda, ma la situazione nella cittadina si presenta già subito
pronta ad esplodere, tanto che basta un equivoco unito al legittimo orgoglio di
Lockhart per far scoppiare all’istante i primi pesanti scontri.
In effetti, le
trame potrebbero giustificare due film indipendenti e differenti: uno più strettamente
avventuroso, l’altro con valenze e rimandi alle grandi tragedie. La parte più
simbolica è, naturalmente, la seconda: il padre-padrone che sente la vita
sfuggirgli (la cecità incombente), il timore di vedere sperperato il suo
impero, coi dubbi legati alla successione tra legami di merito e di affetto
verso il braccio destro Vic (Arthur Kennedy) e quelli meramente di sangue per
il figlio Dave, un viziato incapace oltre che psicopatico criminale.
C’è naturalmente anche la presenza femminile, con l’amore
della vita dell’anziano allevatore da sempre negato (verso Kate, una
proprietaria terriera vicina) per una sbandata di gioventù; più appetibile,
anche per lo spettatore, è la nipote ingenua e innocente, Barbara, che vorrebbe
solamente fuggire da quel covo di violenza e soprusi. E c’è infine il sogno
premonitore e minaccioso, che agita le notti di Mister Waggoman: uno straniero
arriverà e gli ucciderà il figlio. In questo senso, il titolo L’uomo di Laramie suona in modo assai
sinistro, per il vecchio: che in effetti coglie la somiglianza tra Lockhart e
lo straniero del suo sogno e subito se ne preoccupa.
Mann, però, vuole in parte
sgombrare il campo da questi rimandi simbolici ma anche un po’ astratti: sono
importanti, sia chiaro, ma la vera chiave di volta della storia è la ricerca
del traffico d’armi, un pretesto concreto, venale, legato unicamente
all’avidità e all’incoscienza. Questa è la vera forza del film, perché alla
grandiosità dell’opera tragica, si innesta, anzi, ne è la vera forza
propulsiva, una matrice materialista legata alle miserie umane (la meschinità
di Dave, l’ambiguità di Vic). Il tutto in una messa in scena a dir poco
superba, com’è ormai abituale per il formidabile regista americano. Ad
esempio nella scena dell’arrivo dei cavalieri alle saline, pregna di una
minacciosità splendidamente resa dalle immagini, che sfocia nella brutalità
dello scontro tra Lockhart e gli uomini di Dave. Potentissima è la
successiva scazzottata tra Lockhart e Dave prima e Vic poi, nella piazza di
Coronado, letteralmente tra le gambe delle vacche: di una violenza bestiale,
appunto. E che dire dell’infame e vigliacca pistolettata di Dave alla mano di
Lockhart, che è la scena forse più drammatica? Tutte scene di grandissimo
impatto emotivo e violento, che sono bagaglio caratteristico del regista
americano.
Che in quel bagaglio ha anche splendide sequenze di grandissima
intimità, con magistrali carrelli e movimenti di macchina, a rendere
silenziosamente espliciti i sentimenti dei protagonisti: come il ritrovamento
dei resti dei soldati uccisi o quando Mister Waggoman vede il cadavere di suo
figlio. Il film ha una grande forza catartica e, alla fine, una volta che il
male si è manifestato in tutta la sua violenza, c’è la possibilità di una sorta
di happy ending: il vecchio ormai
cieco e, simbolicamente, risorto
dalla caduta in montagna, si avvicina a Kate, che lo aspetta da sempre; per
Lockhart c’è naturalmente Barbara, ma non a Coronado, e nemmeno New York, dove
la ragazza voleva emigrare.
No, Lockhart, l’aspetta a Laramie.Cathy O'Donnell
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