1554_QUI SQUADRA MOBILE - RAPINA A MANO ARMATA . Italia 1973; Regia di Anton Giulio Majano
Il
secondo episodio di Qui Squadra Mobile sembra rispondere all’esigenza di aumentare il grado di
intensità del racconto come si può già intuire dal titolo, Rapina a mano armata.
La puntata comincia subito con il pedale dell’acceleratore premuto, con la
scena della rapina in cui gli spietati criminali non esitano a freddare uno
degli impiegati. Alcuni passaggi, come le telecamere di sorveglianza dell’istituto
di credito in grado di rilevare la targa dell’auto dei banditi in fuga –
operazione tecnicamente all’epoca quasi impossibile – lasciano intravvedere eccessivamente
uno degli scopi alla base della serie, ovvero infondere fiducia e sicurezza nelle
forze dell’ordine. Non si fatica a credere che, come riportano le cronache, a
collaborare ai soggetti come consulente tecnico fosse l’ex capo della Squadra
Mobile di Roma Salvatore Palmieri. [Qui Squadra Mobile,
secondo episodio: Rapina a mano armata, Radiocorriere TV, n. 20,
13 maggio 1973, pagina 57, Edizioni ERI, Torino]. In effetti l’enfasi
con cui si sottolinea l’efficienza della Polizia, in questo episodio ma in
generale nella serie, è perfino eccessiva, al punto da correre il rischio di far
passare come una sorta di spot promozionale l’intera produzione. In ogni caso,
la storia procede più speditamente, avendo alle spalle già la puntata precedente
e, di conseguenza, i personaggi sono già stati adeguatamente introdotti. Oltre
a Carraro, che tira la fila delle indagini, tra i tanti membri della squadra comincia
a farsi sempre più strada l’esuberante umanità di Solmi. Anche del capo della Sezione
Omicidi, interpretato da Orazio Orlando, veniamo a conoscenza della vita privata,
nel suo caso incentrata quasi unicamente sul figlioletto Matteo (Francesco Baldi);
Solmi è infatti rimasto vedovo e anche per lui, come per Carraro, non è
semplice conciliare la vita famigliare con le esigenze professionali. Tuttavia
l’attore napoletano, assecondato dal regista, ebbe carta bianca riuscendo a
tratteggiare un personaggio credibile: “Non volevo ripetere i canoni”, dichiarò
ad una intervista, “non volevo rifare Maigret; ho tentato di uscire fuori da
certi modelli sfruttando le mie corde. Il regista Majano m’ha accordato fiducia
ed il mio temperamento ha fatto il resto. Costruire un personaggio è un’impresa
ardua ma eccitante; darne una connotazione attraverso i gesti, con l’intonazione
della voce, penetrare i blocchi di realtà con tutte le sue parvenze, questo è
quello che bisogna tentare”. [Intervista a Orazio Orlando, da Salvatore
Bianco, Un napoletano che beve tè, Radiocorriere TV, n. 23, 3 giugno
1973, pagina 92, Edizioni ERI, Torino]. Il risultato è molto buono:
Orlando sfrutta in modo misurato ma convincente la propria natura napoletana, intercalando
l’eloquio del commissario Solmi con qualche espressione tipicamente partenopea
che contribuisce nell’opera di caratterizzazione del personaggio, senza sconfinare
mai nella caricatura. Curioso che anche l’attore si riferisca a Maigret come
modello da evitare quando, nella serie, per ricondurlo al lavoro di equipe, Carraro
più volte lo redarguisca con un perentorio “Smetti di fare il Maigret!”. In un
episodio che quindi registra un passo in avanti dal punto di vista qualitativo
rispetto al già positivo esordio, si possono segnalare altri due membri del variegato
gruppo di protagonisti: il Procuratore Lancia (interpretato dal bravo Carlo
Alighiero) è un magistrato con cui Carraro riesce ad avere una discreta
sintonia. Quella delle difficoltà d’intenti tra poliziotti e magistrati sarà un
tema che emergerà più avanti, nella serie e, per il momento, Lancia lascia
quasi sorpresi per quanto sia accomodante nei confronti della Squadra Mobile. Una
figura che non ha poi molto spazio, ma è trattato con deferenza sia dai personaggi
del racconto che dal racconto stesso, è Angelo De Maria (Gianfranco Mauri), dirigente
della Polizia Scientifica. La fiducia nella scienza è, in effetti, un altro
compito che si era posta da sempre la Rai e che si prefiggeva anche Qui
Squadra Mobile: dall’onnipresente Sala Operativa, con tanto di Cervello Elettronico
interrogato con puntualità, e particolarmente attivo in questa puntata, alle
analisi biologiche o balistiche dell’unità guidata da De Maria. Si è detto
della consulenza tecnica alla serie di Palmieri, ex capo della Mobile di Roma, e
il suo operato è perfettamente leggibile nello schema che sorregge il
canovaccio dell’episodio. Nel film, viene praticamente escluso sin da subito
che una rapina di tale ferocia, con un impiegato ucciso per pura crudeltà, sia
opera della malavita romana, al tempo scarsamente organizzata. In effetti, l’utilizzo
dei sistemi scientifici, aiuta a capire velocemente che uno dei rapinatori sia
un «marsigliese» proveniente dal nord Italia. Questo passaggio narrativo fa
riferimento ad un momento storico: come detto Roma, fino all’alba degli anni
Settanta, era un terreno ancora relativamente vergine per la malavita
organizzata. Alcuni evasi, ricercati e pregiudicati appartenenti al Milieu
Marsigliese, uno dei cartelli criminali francesi, erano entrati in Italia cercando
nuovi territori e, dopo aver bazzicato un po’ nel nord del Paese, erano infine
approdati a Roma. Si trattava del celebre Clan dei Marsigliesi, in buona
sostanza la prima organizzazione criminale attiva nella capitale italiana. Un
passaggio epocale nella vita sociale italiana e averlo colto con tale
puntualità e precisione è un altro segno del valore degli autori di Qui
Squadra Mobile.
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