1559_APRITE: POLIZIA! RAGAZZE IN VETRINA. Italia 1973; Regia di D'Aniele D'Anza
Considerata in genere la prima serie televisiva gialla italiana, Aprite: Polizia! non gode di un particolare prestigio, anzi. Si tratta di un tentativo, da parte della TV di stato italiano, di approcciare al poliziesco e, per farlo, si scelse di una realizzazione completamente italiana: non solo regista e interpreti, il che era, al tempo, quasi ovvio, ma anche gli autori del soggetto, i personaggi e l’ambientazione sono tutti rigorosamente del Belpaese. Ed è proprio questa soluzione totalmente autarchica che viene individuata come origine del modesto risultato e della scelta operata in Rai, da lì in poi e per un lungo periodo di tempo, di introdurre sempre qualche elemento d’importazione. Già il successivo tenente Sheridan, che apparirà sui teleschermi l’anno successivo, pur se interamente italiano come prodotto, aveva un’ambientazione americana; in seguito si prenderanno sempre più spesso soggetti stranieri e angloamericani in particolare, considerati superiori per tradizione e qualità nel campo specifico della detective-story. Ma erano davvero così modesti i film televisivi per la serie Aprite: Polizia!?
Il primo episodio è ambientato in un negozio di moda e, se vogliamo essere fiscali e prendere il titolo alla lettera, in vetrina più che le commesse o le modelle della boutique, ci finisce il proprietario. Il signor Balman viene infatti trovato morto avvelenato nella vetrina del suo negozio, inizialmente scambiato per una sorta di trovata pubblicitaria delle prime due passanti che vedono l’uomo sdraiato tra i capi in esposizione, e lo scambiano per un ubriaco che faccia da bizzarro testimonial. D’Anza, in regia, mette subito una nota umoristica, successivamente delegata al maresciallo Patanò (Enzo Turco), il sottoufficiale che accompagna il protagonista della serie, il commissario Alzani (Renato De Carmine), come prevedibile più serio e risoluto. Ma eccoci al giallo: a compiere l’omicidio può essere stato solo il personale del negozio, dal momento che l’esercizio non era ancora aperto al pubblico. Il giovane Ernesto (Rodolfo Cappellini), sorta di fac-totum, non viene mai preso in considerazione come possibile indiziato e rimangono quindi unicamente le donne della storia. L’altezzosa Mirella (Luisa Rivelli) e la grintosa Adriana (Grazia Maria Spina), due indossatrici della boutique, avevano un potenziale movente: la prima aveva una relazione con il signor Balman, che cominciava a divenire opprimente e geloso della molto più giovane ragazza; la seconda era stata da poco “scaricata” dal principale, proprio quando questi si era “messo” con Mirella. In realtà, l’unica che sembra aver avuto la possibilità concreta di avvelenare il signor Balman era Elena (Leonora Ruffo), che, peraltro, oltre a non aver un motivo valido per uccidere il datore di lavoro è anche priva del nerbo necessario a compiere un simile gesto. In realtà, in questo primissimo episodio della primissima serie gialla prodotta e realizzata in Italia con personaggi italiani, ci sono due curiose eccezioni. Una è l’identità della vittima, indicata genericamente come signor Balman con la conseguente impressione che il personaggio non sia italiano ma anglofono. La seconda, ovviamente, il colpevole, o meglio, la colpevole, ovvero madame Germaine (Evi Maltagliati) che, dalla lettera di licenziamento, scopriamo chiamarsi Fisher, ovvero un altro nome straniero. In ogni caso, se il commissario Alzani può, in questa prima apparizione, destare qualche perplessità nel modo brusco in cui tratta gli indagati, la vicenda gialla imbastita da D’Anza e Giuseppe Mangione è ben costruita e, soprattutto, presenta personaggi credibili. In particolar modo la figura di madame Germaine sorprende perché, pur essendo un’assassina, dimostra una certa umanità, quando prende le difese di Elena che, messa pesantemente sotto accusa da Alzani, arriva addirittura a confessare il delitto pur essendo innocente. Ma, l’accorata difesa di Madame Germaine, oltre che un gesto compassionevole, ricorda qualcosa del classico demone della perversità di cui raccontava Poe: l’eccesso di sicurezza aveva portato la donna a prendere le difese della sua sottoposta; la stessa sicurezza che l’avrebbe poi indotta a rompere “incidentalmente” il bicchiere usato per avvelenare il titolare del negozio, celato fino a quel momento sotto un vaso di fiori. Insomma, come prima colpevole, in questa serie, c’è una donna, non più giovanissima ma pur sempre affascinante come Evi Maltagliati, che alterna slanci di umanità a passaggi degni di Edgar Allan Poe. Tutt’altro che modesto, come inizio.
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