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domenica 13 ottobre 2024

APRITE: POLIZIA! JAZZ FREDDO

1560_APRITE: POLIZIA! JAZZ FREDDO. Italia 1973; Regia di D'Aniele D'Anza

Si è detto che a livello di tradizione, il «giallo» negli anni Cinquanta, in Italia, era ancora praticamente inesistente. Da un punto di vista letterario il riferimento principale erano i paesi anglosassoni mentre, per quel che riguarda il cinema, gli Stati Uniti –dove aveva appena finito di furoreggiare il «noir»– potevano servire da spunto per l’interpretazione televisiva operata da Danza ne Aprite: Polizia!. Il secondo episodio della serie, Jazz freddo, è uno riuscito tentativo di interpretare in chiave italiana una tipica storia noir, con tanto di gangster e dark lady. Non manca, ovviamente, nemmeno l’ignaro protagonista, in questo caso il giovane rampollo di buona famiglia Giacomo (Matteo Spinola), adescato dalla femme fatale Mignon (Lia Zoppelli), che lo circuisce per conto del suo boss, Vandini (Carlo D’Angelo). Il commissario Alzani e il fido maresciallo Patanò stanno però tenendo d’occhio da tempo i loschi traffici che accadono al Gran Canaria, il night club con bisca clandestina annessa, proprietà di Vandini. L’idea dei malfattori è abbindolare Giacomo approfittando del fatto che è innamorato perso di Mignon; Danza, conosce bene i meccanismi del cinema noir americano e, sebbene il racconto abbia qualche difficoltà iniziale a carburare, quando si arriva al dunque i conti tornano alla perfezione. Come tutte le dark lady che si rispettino, Mignon ha il cuore tenero e non ha affatto un’indole malvagia, sono state semmai le delusioni della vita a renderla così cinica. L’amore folle e appassionato di Giacomo risveglia la sua vera natura –anche le rosee prospettive di una vita agiata e più che benestante insieme al figlio di papà aiutano, questo va riconosciuto– e, al momento cruciale, la donna sottrae Giacomo all’inganno, scacciandolo. Qui il regista milanese si trova di fronte ad un bel problema: secondo le regole del «noir» la sorte di Mignon è segnata, ma sul Programma Nazionale –l’odierna Rai 1– alla fine degli anni Cinquanta, chiudere il film con la protagonista femminile che veniva premiata con la morte per la sua redenzione, era un tantino azzardato. Va sottolineato che il genere «noir» era visivamente stilizzato in modo deciso, uno stratagemma che permetteva agli autori di far passare scene e situazioni non del tutto abituali negli anni Quaranta. D’Anza trova quindi la soluzione in modo coerente, all’interno del genere che era servito da spunto per Jazz freddo: la scena finale, il confronto fatale tra Mignon e Vandini si vede attraverso una vetrata, come se i personaggi fossero semplici ombre. Alzani, volendo, arriva anche per tempo, ma anche lui, sebbene sia al di qua della vetrata, sembra unicamente una siluette, nel controluce che si crea: e, proprio come una figura bidimensionale, è impotente di fronte al Destino che si deve compiere per redimere completamente Mignon, vera protagonista del film. Stilisticamente un finale notevole per un racconto filmico non del tutto irresistibile, per la verità; e nel quale, la Polizia, col suo attendismo, non ci fa una gran figura.    


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