1560_APRITE: POLIZIA! JAZZ FREDDO. Italia 1973; Regia di D'Aniele D'Anza
Si è detto che a livello di tradizione, il «giallo» negli
anni Cinquanta, in Italia, era ancora praticamente inesistente. Da un punto di
vista letterario il riferimento principale erano i paesi anglosassoni mentre,
per quel che riguarda il cinema, gli Stati Uniti –dove aveva appena finito di
furoreggiare il «noir»– potevano servire da spunto per l’interpretazione
televisiva operata da Danza ne Aprite: Polizia!. Il secondo episodio
della serie, Jazz freddo, è uno riuscito tentativo di interpretare in
chiave italiana una tipica storia noir, con tanto di gangster e dark lady. Non
manca, ovviamente, nemmeno l’ignaro protagonista, in questo caso il giovane
rampollo di buona famiglia Giacomo (Matteo Spinola), adescato dalla femme
fatale Mignon (Lia Zoppelli), che lo circuisce per conto del suo boss, Vandini
(Carlo D’Angelo). Il commissario Alzani e il fido maresciallo Patanò stanno
però tenendo d’occhio da tempo i loschi traffici che accadono al Gran Canaria,
il night club con bisca clandestina annessa, proprietà di Vandini. L’idea dei
malfattori è abbindolare Giacomo approfittando del fatto che è innamorato perso
di Mignon; Danza, conosce bene i meccanismi del cinema noir americano e,
sebbene il racconto abbia qualche difficoltà iniziale a carburare, quando si
arriva al dunque i conti tornano alla perfezione. Come tutte le dark lady che
si rispettino, Mignon ha il cuore tenero e non ha affatto un’indole malvagia,
sono state semmai le delusioni della vita a renderla così cinica. L’amore folle
e appassionato di Giacomo risveglia la sua vera natura –anche le rosee
prospettive di una vita agiata e più che benestante insieme al figlio di papà
aiutano, questo va riconosciuto– e, al momento cruciale, la donna sottrae Giacomo
all’inganno, scacciandolo. Qui il regista milanese si trova di fronte ad un bel
problema: secondo le regole del «noir» la sorte di Mignon è segnata, ma sul
Programma Nazionale –l’odierna Rai 1– alla fine degli anni Cinquanta, chiudere il
film con la protagonista femminile che veniva premiata con la morte per la sua
redenzione, era un tantino azzardato. Va sottolineato che il genere «noir» era
visivamente stilizzato in modo deciso, uno stratagemma che permetteva agli
autori di far passare scene e situazioni non del tutto abituali negli anni
Quaranta. D’Anza trova quindi la soluzione in modo coerente, all’interno del
genere che era servito da spunto per Jazz freddo: la scena finale, il
confronto fatale tra Mignon e Vandini si vede attraverso una vetrata, come se i
personaggi fossero semplici ombre. Alzani, volendo, arriva anche per tempo, ma
anche lui, sebbene sia al di qua della vetrata, sembra unicamente una siluette,
nel controluce che si crea: e, proprio come una figura bidimensionale, è
impotente di fronte al Destino che si deve compiere per redimere completamente
Mignon, vera protagonista del film. Stilisticamente un finale notevole per un
racconto filmico non del tutto irresistibile, per la verità; e nel quale, la
Polizia, col suo attendismo, non ci fa una gran figura.
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