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domenica 25 febbraio 2024

LO STRANO AMORE DI MARTA IVERS

1443_LO STRANO AMORE DI MARTA IVERS (The strange love of Martha Ivers). Stati Uniti 1946; Regia di Lewis Milestone.

La cosa che incuriosisce maggiormente, nel guardare Lo strano amore di Marta Ivers di Lewis Milestone è la struttura del racconto. Se prendiamo il corpo narrativo principale, siamo di fronte ad un classico noir degli anni Quaranta: un uomo – Sam (Van Heflin) – che ha una storia con un giovane ragazza – Tony (Lizabeth Scott) – incontra una dark lady – Marta Ivers (Barbara Stanwyk) – che prova a sedurlo per condurlo alla rovina, almeno da un punto di vista morale. La presenza di Walter O’Neil – Kirk Douglas, al suo esordio sullo schermo – marito di Marta, in parte serve a rinvigorire i toni melodrammatici, visto che il classico triangolo è in questo modo raddoppiato: da una parte abbiamo Tony-Sam-Marta, mentre dall’altra Sam-Marta-Walter. In effetti, Tony e Walter, ruoli affidati ad un’attrice semi-esordiente e ad un attore al debutto, sono lievemente marginali nella storia, che è tutta giocata sul rapporto tra il protagonista Sam e la dark lady Marta. Il che, come detto, rientra nei binari classici del noir; il fatto che Van Heflin e la Stanwyk fossero, al tempo, all’apice della carriera è una solida garanzia per la riuscita del film. Barbara, in particolar modo, è sublime, sia nel tratteggiare una figura ambigua che man mano rivela la sua natura malvagia, sia nello sparare battute ficcanti con la sua tipica verve abilmente rivestita di classe cristallina. E, restando in tema di elogi, val la pena ricordare il carisma baldanzoso di Van Heflin o l’algida bellezza di Lizabeth Scott che, all’occorrenza, mostra con grazia le gambe, lasciando intendere possibilità che, purtroppo, in carriera non raccoglierà pienamente. 

Era al suo secondo film e si poteva pensare che l’attrice fosse una nuova diva, mentre rimarrà piuttosto una promessa poco mantenuta. Chi stupisce, in modo semmai al contrario, è Kirk Douglas: intendiamoci, è credibilissimo nel ruolo di maritino che si fa medicare la manina dalla moglie, ma fa un certo effetto sapendo che razza di verve vitale mostrerà l’attore nel corso della carriera. Ad impreziosire il sontuoso cast è anche Judith Anderson – è la severa zia di Marta – un ruolo che riprende la sua celeberrima interpretazione della governante in Rebecca – La prima moglie (1940, di Alfred Hitchcock). La sua apparizione sullo schermo è, per la verità, limitata al fondamentale incipit; questa parte introduttiva è la nota più caratteristica di Lo strano amore di Marta Ivers ma, prima di vedere il perché, chiudiamo con le tante note di merito del film. La regia di Milestone è precisa anche se, se proprio si vuol disquisire, lascia un po’ a desiderare la veridicità di un paio di scene cruciali. L’assassinio non è certo un capolavoro di messa in scena e nemmeno lo è l’incidente che occorre a Sam, che finisce con l’auto contro un palo: peccati veniali in un film che ha certamente ben altri meriti che non la resa dinamica di questi passaggi. Tra le altre cose, val la pena ricordare la sceneggiatura di Robert Rossen, una garanzia, così come la musica di Miklòs Ròzsa, per un film, nel complesso, coinvolgente ed appassionante. Ma si accennava all’incipit: in effetti, se la struttura del racconto si è visto essere quella tipica dei noir, l’introduzione richiama il citato capolavoro hitchcockiano anche solamente per la presenza della Anderson nel ruolo di una donna che opprime con la sua autorità la giovane protagonista. E, proprio come in un thriller del maestro inglese, si consuma un delitto: la giovanissima Marta (Janis Wilson), colpisce la zia che precipita dalla scala rimanendo uccisa. Accanto alla ragazzina c’è Walter, figlio del tutore di Marta, che assiste impietrito. Sam, al contrario, se l’è data a gambe: c’è da capirlo, è solo un poveraccio e facilmente verrebbe incolpato, viene da dedurre. La natura di Marta, fin lì apparsa unicamente ribelle nei confronti della dispotica zia, comincia proprio ora a delinearsi meglio: con la sua personalità impone al debole Walter la versione ufficiale dell’accaduto. 

La zia è caduta incidentalmente dalla scala ed è morta; si può stare tranquilli, uno scapestrato come Sam non è certo il tipo da fare la spia. Questi fatti avvengono una ventina d’anni prima rispetto al corpo principale del film, ma stravolgono il senso del canovaccio noir che, in apparenza, lo sostiene. In effetti, nella seconda citata scena non irresistibile, Sam va a sbattere perché non vede una curva; al marinaio che è con lui sull’auto, lo dice anche esplicitamente: “la strada ha curvato; ma io no”. È infatti la strada, la via, ad essere deviata, e non il protagonista, che è un individuo a suo modo onesto, come ancora dice esplicitamente Sam, pagando a suon di cazzotti un suo debito. Inoltre, la deviazione in cui incappa il protagonista, non è per un luogo ignoto o sconosciuto, ma per la sua natale Iverstown. Iverstown: letteralmente la cittadina degli Ivers, la famiglia di Marta, quella che era stata sua amica o forse qualcosa in più. Le cose stanno andando a rovescio, insomma: il noir è un genere metropolitano e qui siamo al contrario in un paesino di periferia. La dark lady è l’ex fidanzatina dell’eroe, anche se ormai è divenuta una vera e propria mantide, mentre il terzo incomodo, il marito di Marta, sebbene si comporti come un mezzo gangster è il Procuratore Legale. Allo stesso modo, nel gioco dei ribaltamenti dei ruoli, la candida ed ingenua Tony, non è una ragazza di strada dal cuore d’oro, ma una condannata per furto in libertà vigilata. 

La questione si inasprisce perché, quando Walter e Marta vedono tornare sulla scena Sam, hanno paura che possa smascherarli, rivelando la verità sull’omicidio della signora Ivers. A suo modo la coppia aveva già sistemato le cose, incolpando un innocente finito poi alla forca; a questo punto l’arrivo del vecchio amico era un pericolo troppo grande da correre. Il pretesto narrativo è ottimo e permette, soprattutto alla Stanwyk, una prestazione superlativa, tutta ambiguità nel cercare di capire le intenzioni di Sam, approfittarne per scaricare il troppo debole Walter ma, soprattutto, non veder vanificato il lavoro che aveva profuso nel decuplicare l’impero industriale di famiglia. Benissimo, come già detto, sia Heflin, che sembra non sapere nulla del fattaccio ma lascia comunque il dubbio, che Douglas, che dà vita ad un individuo debole ma subdolo, e perciò pericoloso. Ma, al di là di questi innegabili ed eccellenti pregi, quello che stupisce è come Milestone demolisca l’America utilizzando a rovescio un genere che già poneva alcune critiche al paese. Il Male, il peccato originale in versione a stelle e strisce, quello che mina sin dall’origine il Sogno Americano, è nella stessa radice della società. La ricchezza e la prosperità dell’America sono state realizzate da gente senza scrupoli, come ammette di essere Marta Ivers, che non ha esitato sin da subito a macchiarsi di qualunque crimine. Le autorità, la polizia, ad esempio il Procuratore Legale e i suoi detective, sono una forza negativa: nel film, di fatto, sono i cattivi.
A quel tempo, Milestone si disse stupito che finì sulla cosiddetta Lista Grigia, una sorta di purgatorio istituito dal Maccartismo; non la condanna esplicita della famigerata Lista Nera, ma comunque una segnalazione poco piacevole. Il regista ne fu indispettito, visto che ebbe difficoltà a lavorare pur senza essere stato accusato apertamente. A quel punto, qualcuno disse che avrebbe preferito finire direttamente sulla Lista Nera.
A vedere Lo strano amore di Marta Ivers, ci si stupisce che non vi finì, in effetti.
  




Barbara Stanwyck




Lizabeth Scott 






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