1432_SALVATORE GIULIANO . Italia 1962; Regia di Francesco Rosi.
La scena iniziale di Salvatore Giuliano, capolavoro di Francesco Rosi del 1962, è già la chiave di lettura per capire non solo il film, ma un intero paese. O meglio, capirne l’incomprensibilità. Nel folgorante bianco e nero di Gianni di Venanzo, vediamo un corpo disteso senza vita sulla strada: è Salvatore Giuliano (Pietro Cammarata), il brigante siciliano a cui è dedicato il film di Rosi. Non ne è però il protagonista, perché nonostante l’uso dei flashback, il bandito sullo schermo sarà una presenza sfuggevole proprio come lo fu nella realtà nella natìa Sicilia. Ma torniamo alla scena iniziale: accanto al corpo ci sono una serie di persone indaffarate, sono le forze dell’ordine; ma ci sono anche giornalisti che cercano di capire che è successo. In realtà la ripresa ricorda un set cinematografico più che la scena di un omicidio: c’è anche chi ne contesta la credibilità, ad esempio per il poco sangue che si vede sul terreno. In effetti quella che vediamo sullo schermo è la ricostruzione – operata da Rosi – di una scena ricostruita ai tempi a bella posta per la stampa e l’opinione pubblica, visto che il Giuliano era stato freddato altrove. Ma se il lavoro compositivo di Rosi è eccezionale, molto meno efficace è quello improvvisato dalle forze dell’ordine al tempo: ufficialmente il bandito è stato ucciso in seguito ad un conflitto a fuoco ma le testimonianze della gente di Castelvetrano non supportano affatto questa tesi. In seguito, la faccenda si complica ancora di più: proprio il braccio destro di Giuliano, Gaspare Pisciotta (Frank Wolfe, eccellente) confesserà di essere stato lui ad uccidere l’amico. Difficile venire a capo di una simile matassa di intrighi e perfetto è il mitico Salvo Randone nel ruolo del Presidente della Corte di Appello di Viterbo nel processo chiamato a fare luce sulla morte di Giuliano e su alcuni passaggi oscuri della vicenda. Il giudice non si scoraggia, questo no, ma Randone riesce a conferirgli quella pacata rassegnazione di chi è consapevole che non si caverà comunque un ragno dal buco, perché l’Italia è soprattutto questa, in merito a questioni politico giudiziarie.
E lo è sin dall’inizio, se consideriamo che Giuliano fu trovato morto nel 1950 e la Costituzione della Repubblica Italiana fu promulgata solo tre anni prima. Ma, come detto, l’incipit del film di Rosi ne dà già un quadro emblematico in pochi minuti: un caso grave, la morte dell’inafferrabile bandito, è un clamoroso falso; la ricostruzione cinematografica, che riprende l’impressione di essere di fronte ad una messa in scena, moltiplica l’idea delle scatole cinesi come fossimo in una spirale senza fine, in cui non si capisce più cosa è un’ipotetica realtà e cosa invece pura finzione, perché di verità proprio non c’è traccia. Il rischio di sfociare nel qualunquismo è ovviamente grande, del resto è una deriva se non giustificabile perlomeno sempre comprensibile in Italia; tuttavia il cinema di Francesco Rosi dimostra di avere gli anticorpi per non scivolare in una critica generalizzata e pretestuosa. Da un punto di vista artistico, l’attenzione spasmodica ai dettagli coglie appieno la lezione del cinema neorealista. La cura dei particolari, nella ricostruzione, l’uso delle location reali della storia, a Montelerpre e Catelvetrano, non sono infatti vezzi autoriali. Il fatto che non si riesca a cogliere mai il senso della verità, in Italia – perché sembra sempre esserci una forza superiore e occulta, la mafia, lo stato, la politica, fuori dalla nostra capacità di comprensione – non può essere un alibi per realizzare un quadro fosco, semmai il contrario. C’è quindi davvero bisogno – anzi la necessità, l’urgenza – di convocare i superstiti della strage di Portella della Ginestra per girare quella scena, come pare abbia fatto Rosi: perché se proprio non è possibile comprendere il senso delle cose, in Italia, c’è bisogno almeno di avere un quadro della situazione il più attendibile possibile. Perché poi il tempo, in un modo o nell’altro, se non galantuomo è quantomeno il nostro più sincero alleato a patto di avere a disposizione gli elementi giusti, come appunto il film Salvatore Giuliano di Francesco Rosi. A quel punto, qualche idea più chiara sugli eventi ce la possiamo quindi fare. Cinema indispensabile.
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