1431_PRIMA VITTORIA (In Harm's Way). Stati Uniti 1965; Regia di Otto Preminger.
Otto Preminger prosegue nel suo periodo di storie
ad ampio respiro con Prima vittoria,
un film di guerra che vede coinvolto un cast assolutamente d’eccezione. Sono
lontani, ormai, i tempi in cui il regista si concentrava su pochi personaggi;
come del resto già nei suoi precedenti lavori (per esempio Il cardinale di un paio d’anni prima) la scena è corale e
frammentata. In Prima vittoria
troviamo al lavoro: John Wayne (capitano Rockwell Torrey), Kirk Douglas
(maggiore Eddington), Henry Fonda (comandante in capo), Dana Andrews
(ammiraglio Broderick), George Kennedy (colonnello Gregory), Patricia Neal
(Maggie), Brandon De Wilde (Jeremiah Torrey), Jill Haworth (Annalee), per
restare ai volti più noti, anche se occorre segnalare anche il folgorante, per
quanto breve, esordio sul grande schermo di Barbara Bouchet, in una delle
sequenze più efficaci dell’intero film. Le vicende narrate ripercorrono
l’ingresso degli Stati Uniti nella Seconda
Guerra Mondiale, dall’attacco a tradimento giapponese a Pearl Harbour alla
prima vittoria (da cui il titolo italiano) degli americani nella lotta contro i
nipponici. Le immagini in uno splendente bianco nero in formato panoramico, la
durata notevole (165 minuti), il carisma plastico degli attori (dal Duca in giù), le maestose scene di
battaglia navale: è certamente un’opera imponente. Eppure l’impronta teatrale
della formazione di Preminger emerge nella frammentazione (forse anche
eccessiva) della storia, che procede per capitoli separati, un po’ come a teatro
quando cambia la scenografia per cambiare scena e spostare il racconto in un
altro luogo. Si tratta quindi di un gigantesco affresco, che illustra un
momento cruciale della storia americana, quando cioè gli statunitensi persero
l’illusione di non poter essere attaccati sul proprio suolo nazionale. La
salvezza della patria è quindi affidata ancora al vecchio Wayne (58 anni a quel tempo), che riesce anche a ritagliarsi
una storia d’amore con Maggie; la donna, dimostrando più dei suoi 39 anni,
sembra adeguata ad un eroe che, seppur appellato con il soprannome Rock (roccia), appare un po’ provato (e in
effetti si romperà un braccio, a parziale smentita del soprannome). Ma sono proprio
loro, quelli che se la caveranno meglio: Eddington, personaggio controverso che
Kirk Douglas riesce a tratteggiare da par suo, combina una serie di guai,
ultimo dei quali addirittura uno stupro e, per riscattarsi almeno in parte,
deve sacrificarsi per il bene comune; Annalee, è una ragazza a cui piace fare
un po’ la civetta, e finisce addirittura suicida dopo lo stupro di cui si
diceva; Jeremiah, che è figlio di Rock, ma con cui niente a che spartire, ha il
tempo di ravvedersi e di morire almeno in modo dignitoso. In fondo è un film di
guerra, ed è normale che ci siano tante morti: forse Preminger vuole
sottolineare come ad essere sacrificata sia la gioventù, e quindi sia
l’innocenza che il futuro, della nazione. Ma l’impianto generale, troppo
disperso nelle tante tracce, fatica a definirsi, e tutta quanta l’opera appare
quindi frammentata come una gigantesca figura di Saul Bass, abituale
realizzatore degli stilizzati e originali titoli di testa di Preminger.
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