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venerdì 9 febbraio 2024

SABATO TRAGICO

1435_SABATO TRAGICO (Violent Saturday). Stati Uniti 1955; Regia di Richard Fleischer.

Ad un ipotetico e assiduo frequentatore di cinema, nel 1955, assistendo a Sabato tragico di Richard Fleischer, le similitudini con il di poco precedente Giorno maledetto di John Sturges, salterebbero all’occhio evidenti. Non che, a vedere i due film oggi, non si colgano, sia chiaro. Ma di film che si assomigliano, volendo vedere, ce ne sono un mucchio. Ma, al tempo, dopo soltanto un paio di mesi, trovarsi ancora sullo schermo Lee Marvin e Ernest Borgnine, in una vicenda dal sapore noir ambientata in uno sperduta cittadina del far west, con un treno in arrivo… sarà mica un aggiornamento del film di Sturges, sarà venuto da pensare? In realtà no. L’analogia più concreta tra i due film è una sorta di commistione tra il noir e il western, utilizzata per portare allo scoperto le magagne dell’America che non si limitavano alle giungle metropolitane, come sarebbe stato lecito pensare guardando i film in bianco e nero degli anni Quaranta. Sturges e Fleischer, da buoni americani, sanno che il cuore pulsante degli States non è nelle avveniristiche città ma nella sperduta provincia: ed è lì che vanno a colpire, con i loro film. Giorno maledetto, quello di Sturges, è più secco e tagliente; con Sabato tragico Fleischer arriva al suo dunque attraverso una costruzione assai più articolata, ma comunque efficace. Secondo dopoguerra inoltrato, siamo nel west, a Bradenville, e stavolta il nome della cittadina non è del tutto secondario perché c’è un personaggio che vi fa indiretto riferimento; ma andiamo con ordine. Harper (Stephen McNally), è appena giunto in città; sembra un tipo a posto, elegantemente vestito, è accolto come commesso viaggiatore nel locale hotel. Tuttavia, la regia di Fleischer, la musica di Hugo Friedhofer e la spettacolare fotografia dagli schiaccianti colori DeLuxe di Charles G. Clarke, lasciano pochi dubbi: guai in arrivo. In effetti, Dill (Lee Marvin) e Chapman (J. Carrol Naish), che viaggiano in treno verso la cittadina, lasciano pochi dubbi, presto dissolti quando si congiungono ad Harper: i tre devono rapinare la banca di Bradenville. Ma non c’è solo questa traccia narrativa, perché, come detto, Sabato tragico ha una struttura particolarmente orchestrata. C’è la pista domestica, diciamo così, con il vero protagonista del film, Shelley (Victor Mature, calibrato alla perfezione nella parte), buon padre di famiglia, onesto e affidabile lavoratore. Suo figlio maggiore, quasi adolescente, lo incolpa per non essere andato in guerra e questo è il suo cruccio maggiore. Shelley è uno dei responsabili della miniera che sorge accanto alla cittadina e qui si innesta un altro sentiero narrativo: il figlio del suo boss, Boyd Fairchild (Richard Egan), è un ubriacone che annega nell’alcol il peso insostenibile dell’avere un padre di successo. Quell’alcol col quale, allo stesso tempo, prova a dimenticare i tradimenti della moglie Emily (Margareth Hayes). 

In questi intrighi d’alta borghesia famigliare si possono cogliere espliciti rimandi alle successive soap opera, ma, semmai, è la matrice melodrammatica dei torbidi drammi anni Cinquanta ad essere la fonte ispiratrice dei serial televisivi. Sabato tragico, oltre al citato innesto tra il crime-movie a tinte noir e il tema geografico western, descrive un’altra ambientazione, stavolta cronologica e più legata al secondo dopoguerra, dove la società americana raggiungeva l’apice ma, al contempo, non era più in grado di contenere le spinte centrifughe interne. La famiglia, come istituzione, si sta sgretolando: coppie in crisi – il rapporto tra Boyd ed Emily – padri che non hanno fiducia nei figli – Fairchild senior nei confronti dell’erede – figli che non hanno stima dei padri – l’accusa di vigliaccheria rivolta a Shelley da suo figlio. E nemmeno in società le cose vanno meglio: il direttore della banca, Revees (Tommy Noonan), è un guardone che, se non tradisce la moglie, è solo perché non ha il coraggio di affrontare la mira dei suoi occhi desiderosi, la bella infermiera Linda (Virginia Leith). La quale, è perfettamente conscia dell’effetto che fa su Revees e sugli uomini in generale, e non esita ad approfittarne. Il suo spettacolo alla finestra dell’appartamento in cui vive, dove si sveste con calcolata malizia, è ben oltre il limite accettabile da quello che, almeno negli anni Cinquanta, doveva essere ritenuto ‘onesto senso del pudore’. Perfino Miss Braden (Sylvia Sidney, quarantacinque anni portati non proprio benissimo), bibliotecaria del paese, si comporta come una volgare ladra, impossessandosi di una borsa lasciata incustodita nell’edificio dove lavora. Quando Reeves la scopre gettare la borsa, durante uno dei suoi raid notturni per spiare Linda che si spoglia alla finestra, non esita a puntare il dito. 

La reazione di Miss Braden è vibrante e lascia intendere che qualcosa, nel passato della cittadina, non sia stato poi così pulito e la fortuna del banchiere, elemento illustre della comunità, non sia poi così legittima. Non a caso la donna si chiama Braden, praticamente come Bradenville, la città stessa e, facendo la bibliotecaria, rappresenta la memoria storica del nucleo urbano. La stessa Sylvia Sidney, attrice gloriosa di Hollywood, alimenta l’importanza di quello che non può essere inteso unicamente come personaggio marginale. L’utilizzo in questo senso degli interpreti è suffragato poi da Ernest Borgnine nell’improbabile ruolo – ma reso in modo credibilissimo dal formidabile attore – del colono amish Stadt. Gli amish sono una congrega religiosa estremamente pacifista e chiamare, per interpretarne un adepto, un tipo focoso come Borgnine è quantomeno singolare. Ma tutto rientra nel piano orchestrato da Fleischer in regia, seppure l’origine del testo scritto sia un romanzo di William L. Heat. Comunque, in questo bell’ambientino descritto con tanta cura da Fleischer, irrompono i tre banditi, Harper, Dill e Chapman con un colpo, studiato nei minimi particolari, che sembra facile come bere un bicchier d’acqua. E, in effetti, il piano ordito da Harper è curato e originale, anche per eventuali spettatori abitudinari dei caper-movie, i film incentrati su una rapina ad una banca o roba simile. Quello che tradirà i criminali, è che il sonnacchioso paese di Bradenville è, in realtà, un vulcano sopito e quasi nessuno, nel film, si comporterà come farebbe l’uomo comune. 

Forse solo Shelley, che poi finirà per essere l’eroe del momento, sembra avere l’intenzione di lasciare strada ai banditi, pur di limitare i danni. Che è il comportamento logico e auspicato da Harper per riuscire nella sua impresa criminale. Ma gli altri personaggi hanno reazioni inaspettate e segno del loro disagio interiore che si manifesta apertamente in una situazione critica. A partire da Miss Braden che non vuole mollare i suoi soldi e protesta vibratamente contro i banditi, quasi che la rapina alla banca non sia un reato come scipparle i suoi risparmi. Ma ben più significativa è la reazione del codardo Reeves che, se non ha mai avuto il coraggio di dichiarare il suo interesse a Linda, non ci pensa troppo a prendere la pistola per difendere il denaro della banca. Della sua audacia farà le spese in prima persona, beccandosi una pallottola non letale, ma causando indirettamente la morte di Emily, proprio nel momento in cui la donna si era pentita dei continui tradimenti al marito. La svolta decisiva è, come prevedibile, lasciata nelle mani del personaggio più controverso, il mite Stadt che, messo alle strette dal Destino, prende due decisioni in contrasto con la propria fede. Prima consiglia Shelley di non cedere al ricatto dei banditi, e di tenerli inchiodati lì, mettendo a rischio la sua vita e quella della sua famiglia, bambini compresi. Poi prende direttamente il forcone per chiudere il conto a Dill, prima che questi finisca Shelley. Come si vede, la trama è particolarmente articolata ma, al netto delle peripezie narrative, ci sono degli aspetti generali che è interessante considerare. La situazione iniziale vede i personaggi del film, al di là delle convenienze di facciata, tutti con qualche grana da risolvere. Niente che non possa essere tenuto sotto apparente controllo, ma non del tutto chetato. Possibile – e chissà, magari anche probabile – che, con il tempo, suo figlio comprenda che Shelley non è un vigliacco, così come Boyd ed Emily riescano finalmente a trovare l’alchimia giusta. Stadt, osservando una rigida disciplina, elima ogni dubbio alla radice, mentre il tornaconto personale tiene sotto controllo gli impulsi fedifraghi di Reeves. È dunque questa, l’America? Bradenville è una cittadina ormai civilizzata di quello che, un tempo, era definito ‘selvaggio ovest’. È questa ipocrisia diffusa, il risultato della conquista del west? È questa la civiltà occidentale?

Harper, Dill e Chapman irrompono sulla scena, quasi provenendo da quel cinema noir espressione di un periodo appena precedente, ma catapultando la città ancora più indietro, ai tumultuosi tempi del far west. In questa situazione, alcuni personaggi riescono a compiere un salto di qualità, quasi che la violenza sia un ingrediente necessario all’America per non avvitarsi su sé stessa. L’esempio lampante è quello di Shelley, che lo scontro coi ladri trasforma da vigliacco imboscato in eroe cittadino – eccellente qui Mature, nella scena decisiva. Ma che dire di Stadt che, chiamato ad una scelta difficile, non esista a prendersi le proprie responsabilità, senza avvalersi dell’alibi religioso? Addirittura da applausi la performance di Borgnine nel già citato momento cruciale. Ma perfino Reeves ha un moto di coraggio, anzi più d’uno, visto che alla reazione durante la rapina aggiunge la confessione che rende a Linda, sul letto di convalescenza. Dal canto suo, la ragazza approfitta anch’ella dello sconquasso per dimostrarsi persona migliore e meno arrivista, sia nei confronti del banchiere che di Boyd. Lo stesso Boyd, che già aveva cominciato i suoi progressi poco prima dell’evento tragico, si ritrova ora certamente più maturo, in grado addirittura di piangere per il dolore anziché affogarlo nel whisky. Insomma, tutti, o quasi, trovano il modo di fare tesoro di un’esperienza drammatica come la sanguinosa rapina alla banca di Bradenville. È, quindi, questa la morale? Senza violenza, l’indole americana è destinata al declino, affondando nell’ipocrisia del mondo borghese. E, allora, la violenza può, sorprendentemente, avere un qualche valore benefico. È, in sostanza, davvero un elemento indispensabile e vitale, per la società americana? Forse è davvero così. Ma, nel caso, chiedere conto a Emily, che rimane uccisa durante la rapina, se il gioco valga davvero la candela.    




Virginia Leith 




Margaret Hayes 


Sylvia Sidney


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