1438_IL GIURAMENTO DI PAMFIR (Pamfir). Ucraina 2022; Regia di Dmytro Sukholytkyy-Sobchuk.
Il titolo originale del film di Dmytro Sukholytkyy-Sobchuk non è Il giuramento di Pamfir ma unicamente Pamfir, ovvero il soprannome con cui è conosciuto Leonid (Oleksandr Yatsentyuk), il protagonista. C’è, quindi, da parte dell’autore, la volontà di metterlo in evidenza, anche perché per due volte, nei dialoghi del film, ci si sofferma sul significato di questo termine, che Leonid ha ereditato da suo nonno e che pare sia il nome di una pietra. Tuttavia, il tema del nome, quindi dell’identità, può anche passare in secondo piano, in un film che ha un impatto scenico, una forza e una autonomia espressiva come quello di Sukholytkyy-Sobchuk. Il giuramento di Pamfir è un bel film, avvincente, teso, raccontato con la giusta capacità di far emergere qua e là i dettagli chiave, senza evidenziarli o sottolinearli in modo da renderli poi ridondanti, come troppo spesso capita nel cinema mainstream. No, quello che emerge a botta calda è un racconto che fila spedito e i particolari cruciali possono sfuggire, salvo venire in mente in seguito. Ad esempio tutta la storia dell’aborto di Olena (Solomiia Kyrylova), la moglie di Leonid, è una sorta di puzzle che si compone sottotraccia, con gli elementi disseminati lungo i dialoghi del film, rivelati poco a poco e che, se colti, vanno poi riassemblati dallo spettatore. La donna aiutava il marito nel contrabbando con la vicina Romania, un’attività molto faticosa: una corsa a perdifiato nei boschi sui monti Carpazi, sulle spalle il pesante carico. La ragazza era in cinta, e, in qualche modo, il padre di Leonid (Miroslav Makoviychuk) e la madre (Olena Khokhlatkina) si erano rifiutati di aiutarla: Olena aveva quindi avuto un aborto naturale.
La cosa aveva avuto naturalmente conseguenze: tra queste, le divergenze tra Leonid e suo padre, con questi che aveva perso un occhio in uno scontro con il figlio, e la promessa, quella del titolo italiano, fatta dal protagonista a sua moglie di smetterla col contrabbando. Questi dettagli suffragano le parole del regista che, a proposito del suo film, lo ha definito “un dramma che riproduce il mito biblico di Abramo secondo i canoni della tragedia greca”, ma l’opera non trascura l’influenza del cinema occidentale, mentre per l’ambientazione è determinante la tradizionale festa di Malanka, nella Bucovina ucraina, che Sukholytkyy-Sobchuk aveva già affrontato con il documentario Krasna Malanka nel 2013. In effetti, un confronto tra questo testo filmico e Il giuramento di Panfir, primo lungometraggio di finzione del cineasta, permette di comprendere come gli elementi raccolti in uno studio sul folclore locale possano poi tornare utili per portare sullo schermo elementi inusuali e sorprendenti, come appunto tutto il campionario di maschere e tradizioni della Malanka, una sorta di carnevale pagano, rielaborati abilmente dal regista in chiave ancora più stimolante. Il film, girato prima dell’aggressione russa, vero e proprio spartiacque della Storia ucraina e mondiale, è uscito in seguito, raccogliendo grandi consensi. Intendiamoci: Il giuramento di Panfir, come accennato, merita il successo già solo per il suo essere film di finzione, come opera da gustarsi per le quasi due ore di durata, senza altre motivazioni.
Però, il racconto insiste con la necessità dei suoi protagonisti, Leonid ma non solo, di andare all’estero, per cavarsela. Il finale, poi, lì ci porta, in Romania, nell’Unione Europea, come viene anche sottolineato. D’altra parte, se c’è evidente simpatia e orgoglio per le tradizioni locali, la situazione presentata nel paese dove si svolge la vicenda sembra senza via di uscita: il controllo e l’oppressione di Orest (Oleksandr Yarema) è totale, dal momento che questi è contemporaneamente boss malavitoso e capo delle guardie forestali, l’unica forza di polizia realmente operativa, vista la sostanziale inefficienza del presidio militare. Inoltre, l’uomo è proprietario anche dei locali usati come chiesa dal pastore (Zinoviy Symchych), che può così facilmente influenzare a piacimento, elemento decisivo per la piega negativa che prenderà il racconto. Nazar (Stanislav Potiak), giovanissimo figlio di Leonid, per impedire al padre di tornare all’estero prima della festa di Malanka, che vuole celebrale insieme al genitore, dà fuoco ai documenti di questi. Nel rogo, sviluppatosi in modo fulmineo, brucia però l’intera struttura adibita a templio. Per cercare di evitare eccessivi problemi al figlio, Leonid decide di ricorrere al contrabbando per ripagare i danni. Ma, facendo questo, si scontra con Orest, che non tollera concorrenza: la condotta orgogliosa di Leondid indispettisce ulteriormente il boss e la contesa diventa sempre più aspra.
Pestato a sangue, minacciato nei suoi affetti, Leonid è costretto a far compiere al figlio Nazar una missione di contrabbando per conto di Orest, passando all’interno di uno strettissimo tunnel, sotto una montagna. Leonid non si fida a lasciare andare solo il figlio e l’accompagna, finendo poi la sua corsa proprio nello stretto pertugio, elemento simbolico di una via che non presenta possibilità di scampo. A creare ulteriore sensazione di scoramento è il fatto che a tradire Leonid, informando i militari, è sua madre, naturalmente inconsapevole della presenza di figlio e nipote tra i contrabbandieri. Nel parapiglia, l’unico a riuscire a cavarsela è Nazar, che sbuca al di là del tunnel, in Romania. La Bucovina, è una regione a cavallo tra Romania e Ucraina e il ragazzo è in grado di capire e farsi capire dai rumeni, come il regista si premunisce subito di chiarire nella sfrontata battuta con cui Nazar saluta un pastore. Eppure, quando le guardie di frontiera lo individuano, sulla radura innevata, il giovane non risponde alle loro semplici domande: “Chi sei, ragazzo? Chi sei? Chi sei?” “Nazar”, la risposta che tutti attendiamo, non arriva. Nazar, il nome che, nel film, viene ripetuto allo sfinimento, oltre cinquanta volte, per quello che nemmeno è il protagonista, stavolta non si sente pronunciare. E allora viene il sospetto che l’intuizione avuta in principio, su quale fosse la chiave del film, non fosse poi così sballata. Forse un film che si intitola con il nome, o meglio, il soprannome, del protagonista, è lì che vuole andare, sulla sua identità. E se il personaggio principale non sa bene se è Leonid o Panfir –nomi che, per inciso, vengono comunque ripetuti anche loro molto spesso– ovvero se è l’onesto emigrante che lavora per mantenere la famiglia o il bullo del villaggio, perlomeno Nazar non dovrebbe avere dubbi. Eppure, a tu per tu con la Storia, la sua entrata in Romania, o meglio, nella Comunità Europea, tentenna, non sa ancora decidersi, forse proprio come l’Ucraina di qualche tempo fa.
Lo si è detto: Il giuramento di Panfir è un film girato prima del 24 febbraio 2022.
Solomiia Kyrylova
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