1433_STRNGLER'S WEB . Regno Unito 1965; Regia di John Llewellyn Moxey.
Il contributo di John Llewellyn Moxey ai film televisivi The Edgar Wallace Mysteries si arricchisce di un nuovo capitolo che sarà anche l’ultimo del regista nato in Argentina, visto che la serie era in imminente chiusura. Stranger’s Web conferma la qualità di Moxey che anche in quest’occasione riesce ad essere originale pur rispettando le consegne di rimanere all’interno delle coordinate di queste particolari produzioni. Stavolta si comincia subito con un omicidio e a finire all’altro mondo è Norma (Patricia Burke), un ex ballerina che viene strangolata ad Hampstead Heath, un parco nei pressi di Londra. Moxey gira questo incipit utilizzando il fuori campo con la solita perizia, con la macchina da presa a spalla che segue la donna tra la fitta vegetazione. Con un montaggio alternato introduce anche un uomo di cui si vede solo l’incedere inesorabile; forse l’assassino, a questo punto. In realtà, attirato sul posto dalle urla, è il classico bobby di quartiere che, dopo essersi unito ad una coppia di testimoni, trova accanto al cadavere della donna John Vichelski (Michael Balfour), ubriaco e in evidente stato confusionale. L’uomo era l’attuale compagno della donna e dalla brutale scena in flashback in cui la colpisce con un terribile manrovescio, si può capire che razza di violento ubriacone sia. La scena in questione, tra l’altro, oltre ad essere particolarmente forte, è ripresa anche successivamente, da altra angolazione, quasi a sottolinearne l’importanza del tema, la violenza domestica sulle donne.
Una situazione comune nell’Inghilterra del tempo e nella quale si rispecchia l’avvocato di Vichelski, Lewis Pratton (John Stratton), anche se a vederlo durante il colloquio non si direbbe. Ma poco prima era stato abbandonato dalla moglie, l’elegante Alicia (Marianne Stone), vittima anch’ella di violenza da parte di un marito che troppo spesso perdeva il controllo quando alzava il gomito. Come suo solito Moxey non è mai scontato e intanto comincia a mettere sullo stesso piano il presunto colpevole con colui che deve difenderlo e incarnerà l’eroe della vicenda. L’avvocato, infatti, assurge a ruolo di protagonista attivo e, grazie alla sua indagine, emerge il passato di Norma, nel quale viene coinvolto l’ex celebre attore Jackson Delacorte (Griffith Jones) che, da quando è rimasto sfigurato, vive in modo solitario. La relazione che un artista del rango di Delacorte aveva avuto con una ballerina come Norma cambia un po’ le carte in tavola e salta fuori anche un possibile movente che inguaierebbe l’uomo, ma con Moxey in regia il contro colpo di scena è sempre in agguato. In questo caso, poi, il nostro protagonista deve fare ammenda alla violenza sulla moglie di cui è responsabile e di cui si sono visti nell’inizio del film gli effetti. Per cui, la traccia rosa con il suo interesse verso la presunta nipote di Delacorte, Melanie (una severa Pauline Munro) è una falsa pista. La ragazza non è la nipote del vecchio attore e nasconde più di un segreto oltre ad essere la chiave per l’enigma giallo. Con la solita sagacia narrativa, che lo porta spesso a soluzioni che rompano la prevedibilità, Moxey risolve in modo del tutto inconsueto una storia che, come detto, ha come traccia portante la violenza sulle donne. E’ Melanie l’assassina, di quella che era sua madre, tra l’altro; coinvolta in questo difficile intrigo famigliare nel quale il vecchio Delacorte si rivela essere suo padre, la ragazza non può essere quindi una possibile sponda sentimentale per Lewis. Il quale oltretutto è già sposato e ha sulla coscienza qualche sganassone di troppo rifilato alla moglie. Per una volta, e a fronte di un problema scottante come la violenza domestica, Moxey ci concede un lieto fine: Lewis è raggiunto a casa da Alicia che ci ha ripensato dopo averlo lasciato per tornare dalla sorella. Il tenero bacio con cui la saluta il marito, evidentemente pentito per la violenza inferta alla donna, è quindi il congedo di Moxey dalla serie dedicata a Edgar Wallace. Un gran bel lavoro: sei film – a parte forse il primo, Death Trap, un filo ordinario ma comunque valido – uno più bello dell’altro.
Patricia Burke
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