102_NINOTCHKA Stati Uniti, 1939; Regia di Ernst Lubitsch.
“Garbo laughs” ovvero la Garbo ride! recitava direttamente il
manifesto del film Ninotchka del formidabile
regista Ernst Lubitsch: perché quel semplice gesto era una sorta di avvenimento
mai accaduto prima, visto che la divina (ovvero
l’attrice svedese) nei suoi film aveva sempre tenuto un’aria seria e
misteriosa. La si può infatti ricordare nei suoi ruoli affascinanti ma quasi
sempre un po’ inquietanti, come la
Mata Hari , spia
nell’omonimo celebre film, oppure la ballerina che si vuole suicidare in Grand Hotel, ma basta scorrere alcuni
dei titoli dei lungometraggi interpretati dalla diva per farsi un’idea del
tenore dei suoi ruoli: La donna divina,
La donna misteriosa, La tentatrice oppure un altrettanto
emblematico La via senza gioia. Questi
film citati, tra l’altro, risalgono ai tempi del cinema muto, che videro la Garbo affermarsi anche in
America: il suo esordio nel sonoro verrà fatto sospirare un bel po’ (forse per
paura dell’accento troppo europeo dell’attrice) e verrà salutato con Garbo Talks! come lancio promozionale,
ripreso quindi, nove anni dopo da quel Garbo
Laughs! che fu usato per Ninotchka.
Se i toni leggeri erano un po’ una novità per l’attrice svedese, non lo erano
certo per il maestro assoluto della commedia sofisticata Ernst Lubitsch:
nessuno meglio di lui era indicato per trovare quel lato della diva che fin’ora
era rimasto inespresso. Perché naturalmente Ninotchka
è un film leggero, una commedia spruzzata di umorismo, ben rappresentata dai
tre diplomatici russi Iranoff, Bulianoff e Kopalki (interpretati
rispettivamente da Sig Ruman, Felix Bressart e Alexandr Granach) inviati da
Mosca a Parigi per vendere i gioielli della granduchessa Swana (Ina Claire) in
nome del popolo sovietico, ma che verranno facilmente sedotti e corrotti dalle
comodità della vita occidentale.
E qui entra in gioco Ninotchka (la Garbo , naturalmente), un
austero funzionario sovietico mandato a controllare l’operato dei tre agenti
che non si decidono a concludere l’affare. Ovviamente non tutto andrà come
nelle previsioni, e la stessa Ninotchka incontrerà il conte Leon (Melvyn
Douglas) e il loro rapporto si svilupperà scombinando i piani originari della
funzionaria russa. La trama si snoda tra i classici equivoci di rito: Ninotchka
incontra casualmente Leon chiedendo indicazioni per la Torre Eiffel (che volendo
sottintende una qualche allusione fallica), ma non sa che proprio l’uomo è il
suo rivale in affari, in quanto amico della granduchessa, e che proprio lui deve
aiutare la nobildonna a riappropriarsi dei gioielli sequestrati a suo
tempo dai sovietici in nome del popolo russo.
E la traccia politica, almeno in un certo senso,
non è affatto secondaria, sebbene questo possa sembrare strano in un film di
Lubitsch: c’è un discorso pronunciato da Ninotchka, che può assurgere a vero e
proprio manifesto del cinema del grande regista nato a Berlino: Compagni! attacca con enfasi la ragazza
ubriaca di champagne, la rivoluzione è in
marcia, le bombe cadranno, la civiltà crollerà a pezzi. Ma per favore, non
adesso. Ecco, questo piccolo ritardo invocato da Ninotchka è in sostanza
quello invocato dallo stesso Lubitsch ed è
riproposto in tutto in film, laddove ogni cosa deve essere ripetuta o
deve essere riproposta con insistenza per poter essere accettata. La svolta del
film, che è la risata a cui si concede la Garbo , avviene dopo il tentativo, fallito, da parte
di Leon di sedurre all’umorismo
Ninotchka con le barzellette; sarà invece una successiva goffa caduta dalla
sedia ad ottenere lo scopo di far crollare il muro di seriosità dietro al quale
si nascondeva la donna. Ma le barzellette torneranno buone in seguito, quando Ninotchka le ricorderà, stavolta con nostalgia
divertita; o come la torre Eiffel, che non viene trovata nelle strade di Parigi
ma che la donna dimostrerà di conoscere a menadito sull’aereo che la riporta a
Mosca insieme ai tre buffi compatrioti. E che dire del cappellino, forse il dettaglio più
esplicito in questo senso: prima guardato con orrore e poi comprato e
indossato con vanità? O la stessa storia sentimentale con Leon, prima
rifiutata, poi accettata e se questo, in effetti, è un passaggio anche troppo
ovvio, più singolare che occorra un successivo viaggio all’estero della ragazza
(dopo Parigi, Costantinopoli) per veder trionfare l’amore tra i due
protagonisti. Questa necessità di ripetere, di
insistere, nasconde forse un tentativo di fermare un po’ il tempo, di
posticipare un attimo l’inevitabile: un po’ come i cinque minuti che ci si
prende prima di alzarsi la mattina dopo il suono della sveglia.
A Lubitsch non interessa se il capitalismo sia giusto o
sbagliato, se il comunismo sia il destino dell’umanità; il regista si muove in
quello spazio, in quel ritardo, prima che il possibile cambiamento avvenga.
Quello sfasamento temporale un po’ confuso in cui la granduchessa sta’
cominciando a perdere la sua finesse,
ovvero la capacità di risultare incomprensibile alle masse, o il domestico del
conte Leon teme di venir affrancato dal
suo ruolo subalterno e, cambiando il proprio stato sociale, di dover dividere
con lo stesso conte i suoi sudati risparmi. Insomma, il famoso Lubitsch’s touch: se tutto questo deve
accadere, se i nobili devono essere degradati a semplici cittadini e i
lavoratori debbano veder vanificati i frutti dei propri sacrifici, che accada
pure.
Non subito, però. Non adesso.
Ina Claire
Greta Garbo
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