94_DRACULA . Stati Uniti, 1931; Regia di Tod Browning.
Il film Dracula
del 1931 è riconosciuto da tutti come il classico dell’orrore che ha aperto la
gloriosa stagione dei film horror della Universal,
che lo studio porterà avanti, con alterne fortune, fin quasi agli anni
sessanta. I meriti specifici della pellicola dedicata al vampiro, tuttavia,
sono spesso riconosciuti un po’ a denti stretti, come se il film di Browning
non convincesse mai del tutto, almeno non a livello di meritarsi lo status di capolavoro (che invece gli spetta a
pieno titolo). In ogni caso, innanzitutto, c’è da rivedere un pochino la
questione della paternità di questo Dracula,
che è la prima versione ufficiale e
dichiarata dedicata al protagonista del libro di Bram Stoker: se il regista
indicato ufficialmente dai credits è appunto
il validissimo americano Tod Browning, molte fonti vi affiancano (probabilmente
con ragione) il nome del direttore della fotografia, il quotato tedesco Karl
Freund. E comunque risulta anche che il regista non abbia avuto l’ultima voce in
capitolo sull’opera, in quanto venne escluso dal montaggio finale della pellicola. La genesi particolare di questo
film è interessante e magari anche cruciale nel produrre l’atmosfera un po’
indefinita che si respira poi nel vederlo sullo schermo: durante la visione
dell’opera si avverte, infatti, un sentimento che sfuma nel disagio e
nell’inquietudine, più che provare paura o terrore. E forse, ma siamo sempre
nel campo delle ipotesi, i molti elementi che hanno concorso al risultato
finale, lo hanno ottenuto in modo casuale, questo risultato. Perlomeno non deve
essere coscientemente voluto da un'unica mente, perché, come abbiamo visto, Tod
Browning, che in qualità di regista ufficiale è a rigor di logica la persona
che ha influenzato maggiormente l’opera, non ebbe però l’ultima parola; e, a
onor del vero, mai aveva avuto, nel merito specifico, carta bianca.
Anzi, lo studio eserciterà un controllo attento
sull’operato del regista, fino alla scelta, supportata anche dalla
testimonianza di un attore (David Manners che nel film è Jonathan Harker), di
sostituirlo nel finale con Karl Freund. Lo stesso studio, nei panni nientemeno
che del figlio fondatore della Universal
stessa, Karl Laemmle Jr., del resto, aveva ingaggiato Bela Lugosi per il ruolo
di Dracula, scavalcando ogni velleità del regista di esprimere la propria
opinione. Ma va detto che, per questo specifico caso, si trattava di una scelta
logica, visto che la Universal aveva
acquistato i diritti della versione teatrale di Dracula, una rappresentazione
nella quale spiccava in modo eclatante l’interpretazione dell’attore ungherese
nel ruolo del conte.
Quindi, l’impianto teatrale, che lo studio ci tenne
a non sconfessare, essendo più economico rispetto ai set richiesti da un film
più spettacolare, è un primo elemento che deriva dalla scelta del soggetto,
ovvero non tanto il libro Dracula di
Bram Stoker ma la sua versione adattata al palcoscenico. A questo punto è opportuno
considerare l’importanza della presenza di Bela Lugosi nella definizione del
personaggio protagonista: la versione elegante, distinta, raffinata, il fascino
da gran seduttore, sono tutte caratteristiche da ricondurre all’istrionico
attore. Del resto Lugosi era appunto l’interprete anche della rappresentazione
teatrale da cui il film fu tratto e quindi la sua influenza sulle connotazioni
del vampiro è indiscussa. Per valutarne l’importanza, basta confrontare il suo Dracula con il Nosferatu di Murnau; quello era un vero mostro, mentre il conte di
Lugosi è un uomo, soprattutto per le raffinate ragazze inglesi della storia, dannatamente affascinante. Qui forse è
il caso di cominciare a parlare dei primi meriti riconoscibili al regista: è
probabile che Lugosi avesse la tendenza a enfatizzare eccessivamente queste sue
caratteristiche, era pur sempre abituato al teatro, e il rischio di rovinare il
tutto con una interpretazione troppo sopra le righe era da considerare. Invece
per tutto il film, fatto salvo forse un po’ il finale, lo stile recitativo
dell’attore ungherese è trattenuto, sospeso, e questo è uno degli elementi che
conferisce maggior sensazione di disagio, di irrequietezza interiore, alla
pellicola.
E il fatto che questa scelta stilistica recitativa
di Lugosi si integri perfettamente nel quadro generale della messa in scena
della pellicola, ci rende lecito pensare che sia merito di Browning. Un altro
aspetto importante è la solennità della stessa messa scena, con lenti movimenti
di macchina che ci introducono nelle maestose scenografie; Browning rende
quindi il nostro approccio alla storia circospetto, ossequioso, intimorito, e
in questo gli è di grande aiuto il lavoro di Charles D. Hall, uno scenografo di
assoluto valore. Le ambientazioni, soprattutto quelle della prima parte rumena
su cui spicca la visita di Renfield (il bravissimo Dwight Frye) al castello, sono
vaste, imponenti e, immerse come sono nella loro oscurità, incutono paura di un pericolo ignoto che si può celare in uno dei molti spazi in ombra. Ottima anche la
scelta del tema musicale, Il lago dei
cigni di Tchaikovsky, sebbene in origine limitata ai titoli di testa: la
melodia è infatti perfetta per preparare una leggera increspatura
d’inquietudine nello spettatore fin già dall’incipit.
Infine tra i significati dell’opera, la metafora
sessuale che viene abitualmente abbinata al mito del vampiro, è certamente
sviluppata bene da Browning che dipinge un Dracula seduttore e in apparenza
assolutamente rispettabile. Non vengono mai mostrati esplicitamente i morsi
alla gola o i canini accentuati del vampiro e nemmeno si insiste sulle due
piccole ferite che egli lascia sul collo delle vittime. Il mostro, il diverso, non è così mostrato come qualcosa di deforme
(ad esempio il già citato Nosferatu
di Murnau) ma nemmeno troppo pittoresco od eccentrico come forse avrebbe finito
per essere Lugosi se avesse potuto andare a briglia sciolta. Il male, sembra dirci quindi il regista, si
può annidare dietro le apparenze più rispettabili. Ma, al di là di questi
significati simbolici e metaforici della storia narrata, il film ha una sua
importanza superiore, visto anche nel
contesto generale del tempo.
Spesso si cerca una motivazione specifica che giustifichi un determinato film
dell’orrore (ad esempio quella citata sessuale per il mito del vampiro)
dimenticando, forse, che la paura è un sentimento atavico e innato nell’essere
umano. E’ quindi quasi fisiologico che, a fronte di determinati periodi
storici, nel pubblico nasca una sorta di necessità di avere paura, di veder
cristallizzato, materializzato sullo schermo, qualcosa di cui aver paura per
poter sfogare un sentimento interiore crescente ma che non ha ancora avuto modo
di sgorgare liberamente.
Nel 1931 negli Stati Uniti si era nel pieno della Grande Depressione, in Europa ci si
preparava, con l’avvento di feroci dittature, ai nefasti tempi della Seconda
Guerra Mondiale. Se, a livello cinematografico, l’espressionismo tedesco si era nutrito di questo humus, Dracula di Tod Browning è forse il primo film che utilizza il
cinema hollywoodiano di genere horror con lo stesso meccanismo in
quella fase storica. Mettere in scena la paura, dare uno sfogo sullo schermo
cinematografico alle inquietudini e alle paure del periodo: e, per farlo, non
serve cercare chissà quali pretesti narrativi moderni o attuali, si può
tranquillamente attingere alla florida tradizione europea o alla letteratura
del secolo precedente. Non è tanto importante di cosa si ha paura, ma è necessario sfogarla; per questo, i
successivi film Universal degli anni
30, quelli del famoso Dark Universe,
sono popolati da mostri provenienti dal folklore europeo (licantropi),
dall’antichità (la mummia) o dai romanzi gotici del Romanticismo (Frankenstein), e non da qualche entità più
contemporanea o contingente alle reali insidie. E Dracula di Tod Browning assolve alla perfezione al compito di sorta
di apripista di questo nuovo corso,
perché introduce nello spettatore un inquietudine sottile, quasi preparatoria: il peggio deve ancora venire, sembra
sussurrarci il regista.
E aveva ragione.
Helen Chandler
Frances dade
proprio ieri sera mi sono riletto "Horror Cico", di Tiziano Sclavi... nel finale il messicano si rivolge ai mostri dicendo loro "e mi raccomando, di tanto in tanto continuate a mettere paura alla gente, che ne ha un gran bisogno"... :))
RispondiEliminaGrande messicano!
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